Prima della resa dei conti
Non so quanto ho dormito, ma la porta della stanza si apre e distinguo John con Rosie in braccio.
"La piccola peste insiste per stare un po' con te. Che ne dici Hayc?"
Il capitolo Serge sembra accantonato, mi sorride mentre mi sporgo da sotto la coperta e vedo il visino di Rosie imbronciato.
Ci penso un pò per farla penare, poi sbotto allegro. "Va bene cugina, vieni ti faccio posto." John si tranquillizza, mi vede sereno dopo la bufera del pomeriggio, la mette giù e lei trotterella verso di me.
Aggiunge serio. "Tra un'ora ceniamo e ci siamo tutti." Annuisco, mentre la piccola sale nel letto.
"Ci sarò, grazie John." Lui abbassa la testa e approva.
Esce mentre sua figlia si infila nel letto agitando un libro di fiabe. Appena il padre scompare mi guarda seria.
"Che hai fatto? Sembrano tutti tristi. Papà ha detto a Sherlock che sei fragile, che puoi romperti come il vetro."
Mi prende il volto con le manine. "Non mi sembri di vetro. Cosa vuol dire? Che se cadi vai in pezzi?"
Non riesco a risponderle, però le accarezzo la testolina bionda.
"Vuol dire che sono pieno di paure e faccio delle cose stupide. Mi arrabbio per ogni cosa che mi fa sentire solo."
Lei stringe la bocca. "Ma io ti voglio bene, perché devi avere paura? Io non ti lascerò mai." Mi abbraccia così forte che non mi fa respirare.
"Nemmeno tu mi lascerai, vero? Lo hai promesso." Lo sussurra al mio orecchio, mentre le ricambio l'abbraccio.
"Lo farò, ma ora leggiamo la tua favola, presto ci chiameranno per la cena." Si calma e si stende vicino e inizio la sua storia. Non so per quale motivo stare con lei mi calma, mi rende sereno e riduce la mia tensione.
John lo sa, è per quello che l'ha portata da me, lui è attento più di tutti.
La favola si diffonde nella stanza, il mondo brutale di Auberton se ne esce dalla finestra come fosse assorbito da un enorme imbuto. Tutto il resto rimane nella stanza, pieno di posti fantastici, di castelli, di draghi, di principi azzurri e principesse adorabili. Rosie ama quella storia più di tutte le altre, la rileggo senza fermarmi.
Io, sono un principe coraggioso dall'armatura lucente, che combatte un drago cattivo, che sputa fiamme e che brucia i poveri contadini. Alla fine ne esco vittorioso e sposo la mia principessa di nome Rosamund, bionda e con le trecce lunghe.
Come sarebbe bello che fosse vero!
Che fosse tutto così semplice. Ma non lo è.
Non lo è mai, sir Auberton il drago, di solito ingoia tutto quello che gli sta intorno e brucia ogni speranza, lasciando cenere e rimpianti.
Se non sono coraggioso come il principe, non vincerò.
Rosie percepisce qualcosa, si gira a guardarmi. "Ci devi credere, Sherrinford, altrimenti non vale, il drago ti mangerà."
Gli occhi le si fanno umidi, la avvicino cercando di tranquillizzarla, inizio a farle il solletico. Ride e si dimentica tutto. Giochiamo a fare la lotta fino a quando non ci chiamano per la cena.
Trovo la scusa che devo vestirmi e la mando in cucina. Chiamo Serge, devo mettere fine a tutta questa storia, nel bene o nel male.
Lo incalzo dicendogli che ho bisogno di vederlo, perché temo che mio padre si sia insospettito dopo che Anthea mi ha visto con lui, e devo rimediare in fretta. Gli racconto che ho sottratto tutte le password, ma quel bastardo di papà ha inserito delle contro misure e dobbiamo sbrigarci, perché sono a tempo, diciotto ore al massimo.
Lo devo incontrare il giorno dopo, per le dieci. Mi preleverà lui, che è ancora incazzato ma che diventa quasi gentile.
Chiudo la chiamata e rabbrividisco. La paura è una brutta bestia, inizio a sudare e mi passa la fame. Penso malinconico che potrebbe essere la mia ultima sera.
John entra nella stanza e vede la mia faccia contratta. "Hai chiamato Serge?"
"Sì, e ho una fottuta paura John, ma non dire nulla agli Holmes. Non voglio che lo sappiano, so che poi capirmi." Le mani mi tremano e lui se ne accorge.
"Sta tranquillo, Sherrinford! Sei un Holmes, e saprai fare il tuo dovere." Si punta con le braccia conserte sulla porta e sorride ironico. "Ma ora smettila di tremare, non ti si addice. O vuoi che ti riempia di sedativi? Stupido."
Scuoto il capo ridendo. "Santo cielo! No di certo! Ma finisci sempre per offendermi, dottore."
"Ormai la lista degli insulti l'ho finita, vieni a mangiare. C'è anche tuo padre, cerchiamo di rimanere sereni, ok?"
Mi prende per le spalle, e mi abbraccia, gli mormoro all'orecchio.
"Papà ha capito qualcosa di oggi?"
"Beh, lo sai che è lo smart one. Ha redarguito Sherlock che sia più comprensivo con te."
"Mi dispiace. So quanto lo zio tiene a papà."
Gli tremo addosso, si stacca e mi allunga un buffetto sulla guancia.
"Non pensarci, vi capirete con il tempo. Sono fratelli e hanno un legame di sangue, cerca di capire Hayc." Annuisco consapevole che devo guadagnarmi un posto anche nel cuore dello zio.
Quando usciamo sono tutti presenti, Rosie è presa dalle sue bambole. Papà e Sherlock sono al solito posto di fronte al camino. Lo zio pizzica il violino mentre parla con lui.
John va in cucina, ormai è il cuoco di casa, ma sembra non dispiacergli.
Mi avvicino a loro due e li metto al corrente. "Domani alle dieci Serge mi viene a prendere due strade più in là."
Mi fissano, Sherlock vede la mia guancia segnata e stringe le labbra, appoggiando il violino.
"Sei sicuro di farcela?" Mycroft mi guarda severo, dopo quello che ho fatto non si sente tranquillo.
Lo rassicuro perché è ora di sistemare quel viscido di Auberton.
"Papà, voglio finire questa storia. Domani devo chiudere tutto."
Sherlock approva, porta le mani incrociate sotto al mento, mentre Mycroft lo osserva intuendo una leggera tensione.
"C'è qualcosa che devo sapere?" Sogghigna fissandoci entrambi. "Vi state studiando!"
"No, niente." Scuoto la testa con troppa forza. "Nessun problema papà."
Sherlock agita la mano per rassicurarlo, non vuole pesare sul fratello con inutili discussioni per quello che ci siamo detti.
"Bene, allora visto che non c'è nulla, chiaritevi. Vado ad aiutare John."
Brontolando sarcastico si alza velocemente e va verso la cucina. Sherlock sorride e mi fa segno di sedermi.
"Impossibile nascondergli qualcosa, Hayc, quindi smettila di angustiarti e andiamo avanti, dimentica quello che è successo. Dammi del tempo." Mi appoggia la mano sul ginocchio. "Tu vedi di non farti del male domani. Pensa anche a te."
Abbasso la testa e porto la mia mano sulla sua.
"Siete la mia famiglia zio, non ho altro. Darei la vita adesso per tenervi vicini. E soprattutto per papà."
Continuo cercando di mascherare l'angoscia.
"Se mi succede qualcosa, stagli vicino, non è forte come sembra, e ora che vi siete riconciliati, conto su di te." Apre la bocca per dire qualcosa, ma si ferma, le nostre mani si sfiorano in un mutuo accordo, poi mi alzo di scatto e vado verso la cucina.
Per tutta la serata evito qualsiasi discorso su quello che mi aspetta domani.
Prima che papà vada a casa, lo aiuto a indossare il crombie nero. Gli porgo l'ombrello.
"Notte papà. Sai che ti voglio bene." Non ho quasi voce, mi butto fra le sue braccia e lo tengo stretto, lui non ha il tempo di reagire.
"Grazie per tutto quello che hai fatto per me."
lo lascio muto e volo rapido a chiudermi in camera.
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