Mycroft, Sherlock e...Eurus

Alla sera mi dimettono con una lettera piena di raccomandazioni mediche. Greg è venuto a salutarmi ha parlato con papà con una severità inusuale, ma alla fine lo ha compreso e assolto. Soddisfatto, con un largo sorriso, mi ha comunicato che la cura procede bene. Lasciamo la clinica sollevati, anche se un po' tesi. Mycroft chiama al cellulare John e lo avverte che rimango con lui a Pall Mall. Mi concedono un po' di riposo lontano da Baker Street.

Abbiamo un nuovo autista, sempre attento e solerte, però mi dispiace di non rivedere il volto amichevole di Albert. Anche l'auto è diversa, l'altra è finita in officina.

"Tutto bene?" Mi chiede Mycroft sollecito vedendomi stranito mentre salgo in auto. Non ho ancora rimosso i ricordi della sparatoria. E lo rassicuro annuendo silenzioso.

Il viaggio non è lungo, Mycroft mi osserva per assicurarsi che stia bene, ma le rughe sulla fronte tradiscono il tormento della decisione che deve prendere e la paura di mettermi in pericolo lo preoccupa.

La villa Holmes è immersa nel tramonto quando arriviamo, mi ricordo poco di quel posto, ci sono stato solo poche ore. Papà scende dall'auto continuando il suo ostinato silenzio e questo comincia a rendermi nervoso.

La casa è ordinata come l'avevo trovata la prima volta. Nulla è fuori posto, niente è lasciato al caso.

"Sherrinford vuoi salire nella tua camera a riposarti?" Mi chiede sollecito appena varcata la soglia.

"Sto bene, vorrei oziare di fronte al camino." Mi sorride e mi scorta fino in soggiorno, mi lascio cadere nella stessa poltrona di settimane prima.

Mi piace vedere il fuoco che crepita e sembra danzare. Mi rilasso, mentre Mycroft sistema le mie cose.

Lascio papà alle sue riflessioni silenziose, ma rovescia due volte le tazze, e brontola mentre raccoglie i cocci.

Cerco di alzarmi per aiutarlo ma mi ferma. "Faccio da solo, non preoccuparti."

"Papà smettila di tormentarti." Lo rimbrotto sapendo che è in difficoltà, ma non riesce ad aprirsi perché nessuno lo ha mai aiutato a condividere le sue scelte.

Mi fissa e borbotta qualcosa che non capisco, inaspettatamente arriva Anthea e l'atmosfera si alleggerisce.

Finalmente respiro meglio, almeno potrò scambiare due parole. Lei entra con la sua solita allegria, ha portato del cibo da preparare per cena.

Mi guarda accigliata, le indico papà che è girato di schiena e sta pulendo il disastro che ha fatto. Allargo le braccia in segno di resa.

Lei infila tutto nel frigorifero, e si china ad aiutarlo.

"Attento ai cocci, capo." La sua voce è dolce, cerca di smussare la tensione di papà.

"Perché mi ha chiamato?" Aggiunge studiandolo, Mycroft si alza, butta i rimasugli e lei spazza gli ultimi vetri rimasti. Aspetta che lui si sciolga. Quando torna dalla cucina inizia a parlare del mio piano. Si siedono sul grande tavolo del soggiorno uno di fronte all'altro.

"Sherrinford ha elaborato un'idea per liberarsi di Auberton. Potrebbe funzionare, ma lo metterebbe in pericolo e sono molto combattuto." Si passa la mano sulla nuca, massaggiandola con forza.

"Ne ho già parlato a Sherlock mentre aspettavo che lo dimettessero. Lui mi ha risposto che la decisione spetta a me, ma che è d'accordo con suo nipote. Ora voglio sentire cosa ne pensi tu." Ascolto silenzioso il racconto che le fa Mycroft, Anthea diventa seria, picchietta le dita sul cellulare, lo appoggia sul tavolo.

Quando la voce di papà si smorza, risponde con pacatezza. "È bravo, ce la può fare, capo, ho visto come si comporta nel pericolo. Il mio consiglio è di provarci." Mi guarda e stavolta mi sorride. "Se lo conosco, non starà a guardare ed è meglio fare come dice. Lo seguiremo costantemente." Torna a fissare il volto teso di Mycroft.

Papà annuisce, si fida di lei, si alza e viene da me. Sono sprofondato nella poltrona che aspetto la sua decisione. E parla senza distogliere gli occhi dai miei, gli costa molto appoggiarmi ma mi concede la sua fiducia.

 "Va bene figliolo, faremo come dici. Non farmi pentire della mia scelta."

Annuisco fiero della sua concessione. Mi alzo e gli vado vicino, voglio assicurarmi che comprenda.

"Sai che il mio comportamento nei tuoi confronti sarà spiacevole, ma non dubitare di me, papà."

Risponde con un breve sorriso. "Non lo farò, sai che sarò sempre al tuo fianco. Tu cerca di non metterti in pericolo."

Rilassa le spalle, ma è un gesto forzato, vedo il dolore dentro ai suoi occhi, gli tocco il braccio per fargli capire che so quanto gli costa. Accetta quel contatto, ma è rapido a mascherarsi, si schiarisce la voce.

"Bene, ora passiamo la serata in tranquillità, e domani a Baker Street comincerai la tua recita, ma bada a Rosie. Dentro casa rimani il cugino amorevole che sei."

Ci ritroviamo tutti d'accordo, invita Anthea a restare, lei accetta quella concessione inaspettata. Siamo sereni, parliamo e ci scambiamo opinioni sul cibo. Cuciniamo insieme, io aiuto quel tanto che riesco. Lui, ai fornelli, dimostra un aspetto che non conoscevo, è abile e attento, lei lo aiuta discreta, apparecchio e trascorriamo una serata piacevole. Mi concedono un po' di vino. E mi accaloro vedendo le due persone che amo di più. Papà mette della musica di sottofondo e lascia a me la scelta. E scopro di avere i suoi gusti. Amiamo il pianoforte entrambi e mi rivela che sa suonarlo.

Mi sento a casa, Anthea si dimostra una perfetta compagna per entrambi. È colta e ha un'intelligenza pronta, papà si lascia andare. È in camicia e gilè con le sue buffe giarrettiere sulle maniche, sorride spesso, anche se i suoi occhi nascondono la preoccupazione.

Siamo in armonia, la recita del figlio bastardo, per ora è messa da parte.

Quando Anthea va a preparare il caffè, prendo la mano di mio padre che è seduto al mio fianco.

"Fidati andrà tutto bene, ti libererai di Auberton e staremo meglio. Però devi stare sereno."

È sorpreso che io senta la sua tensione, e rimane zitto, incapace di pronunciare una sola parola, però mi stringe più forte la mano.

Anthea ritorna portando il caffè e percepisce la nostra intesa, fa finta di nulla e approva silenziosa. Conosce bene papà e sa che lui ha bisogno di sentirsi rassicurato. Il caffè è buono ma lo posso solo assaggiare.

Passiamo altro tempo insieme e finita la cena, sistemiamo tutto. Mi concedono di aiutarli, ma mi sgridano spesso, perché non vogliono che mi affatichi.

"È stata una piacevole serata, ora devo andare capo." Si rivolge a Mycroft che le sorride soddisfatto.

"Buona notte signori Holmes." Ride mentre esce vedendoci sorpresi per quel saluto insolito.

Indugiamo seduti di fronte al camino, sprofondati sulle poltrone, e vista la confidenza che si è stabilita fra noi gli chiedo di Virginia. Cerco di essere gentile per non urtarlo.

"Papà, i miei nonni materni sono vivi? Mamma era figlia unica?"

La domanda improvvisa lo spiazza, si raddrizza sulla poltrona, accavallando le gambe.

"Che domanda curiosa figliolo! Sì, i suoi genitori sono ancora vivi e ha una sorella gemella, Vittoria." Liscia con le mani la pelle logora della poltrona. "Perché mi chiedi questo?" Diventa improvvisamente sospettoso.

"Vorrei conoscerli, mi piacerebbe capire perché non hanno voluto tenermi." Alza le sopracciglia e la sua stretta sulla poltrona si fa più forte, scuote la testa e mi guarda con amarezza.

"Sherrinford, certe cose devono rimanere sepolte, non ti vollero allora, come credi di recuperare adesso?" Risponde irritato come se il passato fosse sempre lì a tormentarlo.

"Concedimi solo di vederli. Hanno il sangue di mamma, a me non importa altro." Modulo la voce per essere credibile, mentre in realtà mi sento agitato per il suo rifiuto.

"Voglio capire, papà." Sa perfettamente che l'avrò vinta. Sbuffa avvilito, si massaggia la fronte che significa altro mal di testa in arrivo.

"E sia, finita questa storia li conoscerai. Dopotutto hai ragione, fui io che sbagliai con Virginia, io la misi incinta, fui un sempliciotto inesperto e alla fine non la cercai." Mi sento avvampare per questa amissione di colpa che in realtà non ha, e sbotto di colpo. Ha il volto scuro e le sue mani non sono più sicure, stringe le dita attorno al bordo della giacca.

"Devi smetterla di angustiarti, sai perfettamente che non fu colpa tua. Furono loro a non volermi." Alzo la voce e lui sembra sorpreso. Non voglio che si senta colpevole di una scelta che gli imposero i Sinclair. Lascia la poltrona e si avvicina al tavolino e si versa del brandy. C'è una calma apparente in lui, sa che voglio capire e mentre si volta guardando il bicchiere, balbetta.

"Ci sono anche i miei genitori, i nonni Holmes che dovrai conoscere." Lo rimarca quasi avesse paura che me ne fossi scordato, e lui ama la sua famiglia.

"So quanto ci tieni, li conoscerò quando vorrai." Gli sorrido e per alleggerire la conversazione continuo non sapendo quello a cui incontro.

"In casa dello zio Sherlock c'era una vostra foto di quando eravate bambini a Musgrave, ed eravate in tre. Una era una bambina con le treccine. Chi era papà?" Mi sporgo in avanti per osservarlo meglio, e gli trema la mano mentre sente questa domanda

Manda giù in un fiato il liquore. Tossisce e sussurra afono.

"E' uno dei terribili sbagli che ho fatto nella mia vita, quel segreto che i tuoi nonni non mi perdonano: aver nascosto l'esistenza di mia sorella."

Si lascia cadere nella poltrona, gira il bicchiere fra le mani.

Mi racconta di Eurus, di quella sorella sfortunata, troppo intelligente, che si è persa, di come ha ucciso delle persone.

Parla con dolore dell'incendio che, ad appena sette anni, provocò a Musgrave dopo aver fatto sparire il piccolo amico di Sherlock, Victor.

Eurus era una bambina pericolosa, lo zio Rudy, fratello della madre, si adoperò per farla ricoverare in un istituto. Ma poco dopo diede fuoco anche a quello. Lo zio capì quanto fosse incontenibile e decise di darla per morta per proteggere la famiglia. La fece rinchiudere in una prigione segreta, dove rimase per anni. 

Quando Rudy morì, lui che aveva preso il suo posto, continuò a mantenere lo stesso segreto nella convinzione di proteggere i suoi genitori dalla pazzia di Eurus. In seguito Sherlock scoprì tutto e la volle incontrare insieme a lui e a Watson. Ma Eurus si vendicò, spingendoli in un perfido gioco di morte, costringendo Sherlock nella scelta di uccidere lui o Watson: famiglia o amicizia. 

Alla fine ne uscirono vivi, ma lei si perse definitivamente e andò "oltre." Un posto mentale dove nessuno può raggiungerla.

Le ultime frasi gli escono deboli.

"Vi mise uno contro l'altro? E Sherlock che fece?" Chiedo con il cuore a mille.

"Lo costrinsi a scegliere me, sapevo che voleva bene a Watson e che voleva una famiglia, ma alla fine si rifiutò di uccidermi, puntò l'arma contro sé stesso e lei sorpresa da quel gesto lo fermò." Papà prende un respiro profondo e continua con voce piatta. 

"Ci ritrovammo prigionieri ma vivi, e Sherlock riuscì a salvarci tutti." Si blocca assorto, lo sguardo perso, poi continua senza guardarmi.

"Andiamo a trovarla una volta al mese, alla prigione di Sherrinford dove quasi ci uccise tutti, un'isola che ha curiosamente il tuo nome. I tuoi nonni credono di recuperarla e Sherlock suona il violino insieme a lei. Unico punto di contatto con la realtà che le è rimasto."

So che gli dispiacerà quello che voglio fare. Ma sento la necessità di sapere tutto sul passato della mia nuova famiglia. "Voglio conoscerla papà."

Si alza di scatto, quasi grida. "Nemmeno per sogno, non ti avvicinerai a lei, è pericolosa"

Lo rimarca con forza e le mani lo tradiscono per quanto tremano e non riesce a nascondere la paura che lo attanaglia. "Se sono vivo è perché Sherlock mi ha risparmiato, non avresti un padre adesso. Saresti veramente un orfano."

Si massaggia le tempie con troppo vigore. È terrorizzato da Eurus, non ha superato il trauma che ha subìto.

Ma quello che ha detto è vero, lo stavo per perdere senza saperlo in un modo assurdo.

Lo raggiungo e gli sono vicino. "Senti papà devi superarla, ora fa parte del passato. Lascia che la veda quando sarà possibile, ti aiuterà e ti sentirai meglio. Lo faremo insieme." Scuote la testa e non accetta, è intransigente, si allontana mentre mi dà di spalle scuotendo la mano.

"Ne riparleremo, non ora, non adesso." Urla e non è da lui, È scosso, so che non si è mai perdonato per quello che ha fatto, per quello che è successo, forse capisco perché non frequenta spesso i genitori.

Come abbia potuto vivere con quel peso non riesco a comprenderlo.

Lo raggiungo mentre è di spalle e si sta versando altro brandy, gli fermo la mano.

"Non serve papà, ora basta bere."

Rimane gelato, mette giù la bottiglia, tiene il bicchiere vuoto tra le mani, lo prendo e lo appoggio mentre si gira a guardarmi, ha gli occhi umidi in volto il dolore di decisioni sbagliate.

"Ho rischiato di non conoscerti mai, figliolo." Mormora abbassando la testa. Sappiamo che è vero, che sarebbe bastato poco.

"Ma sei qui papà, perché nonostante tutte le vostre liti, Sherlock ti ha sempre voluto bene e ora ci sono anch'io con te. Non dimenticarlo mai."  

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