Lo zio Sherlock.


Mio padre conosce a memoria la strada, suona alla porta e una donna anziana ci apre.

"Buongiorno Miss Hudson le ho portato il nuovo inquilino." 

Si scosta e la signora mi squadra attenta, improvvisamente mi abbraccia piena di entusiasmo. Quel gesto inaspettato mi sorprende, non reagisco e sembro quasi scortese.

"Così tu sei Sherrinford, il figlio di Mycroft!" Si rivolge a papà con fare intrigante.

"Chi se lo sarebbe mai aspettato da lui." Lo indica con la mano e lui non batte ciglio. 

La padrona di casa mi dà una pacca sulla schiena e mi spinge dentro, mentre lui gira il viso dall'altra parte ridacchiando.

Salgo una stretta scala interna e mi ritrovo in una stanza ingombra di ogni tipo di oggetto curioso, quasi non si riesce a camminare, però per lo meno, è pulita. Intravedo un caminetto con due poltrone. 

Un uomo giovane e magro che indossa una giacca nera e sotto una camicia bianca con il collo aperto si alza e ci raggiunge. Assomiglia a mio padre, e in alcuni tratti anche a me.

"Bene, quindi tu sei mio nipote Sherrinford. Sono lieto di conoscerti." Ha il volto cordiale, un sorriso aperto mentre mi tende la mano. Tremo, quando lo ricambio, ma lui fa finta di niente e già mi piace il suo modo di fare.

Mycroft mi lascia con lui ed entra in cucina, c'è un uomo che si arrabatta ai fornelli. Ha i capelli castani e quando si volta per salutare noto che ha uno sguardo simpatico che mi mette subito a mio agio.  Deve essere il dottore che si occuperà di me, perché gli consegna la lettera di Greg, il medico della clinica governativa. Mi sale un po' d'ansia, spero non sarà il solito tizio saccente e irritante, che mi renderà la vita un tormento.

"Tranquillo Sherrinford, il dottor Watson è una persona comprensiva, devi avere fiducia." 

Lo zio ha una strana capacità di leggermi dentro, mi sorride bonario e mi spinge sulla poltrona con un gesto deciso.

"Lascia che mio fratello parli con John e rilassati. So che la giornata è stata difficile e ci vedi per la prima volta, ma andrà tutto bene." 

Si appoggia allo schienale e porta le mani sotto al mento. Poi continua con una leggerezza che sa di burla.

"Finché non arriverà Rosie, e allora..." Ride vedendo la mia faccia. Stendo le mani sulle ginocchia non riuscendo a capire il suo grado di serietà.

"Rosie, la figlia del dottore? Ma perché? È così vivace? Quanti anni ha?" Biascico stupito, cercando di capire come comportarmi con la nuova cugina.

"Quattro intensi anni figliolo, e vivace non basta per definire Rosie. Lo vedrai." 

Sogghigna divertito. Inizio a lisciarmi la stoffa dei calzoni più volte, riflettendo. I bambini mi piacciono, solo che, a volte, non so come comportarmi. All'istituto ne ho visti tanti, abbandonati e impossibili da consolare.

Mi giro per cercare mio padre e vedo che è ancora vicino a John, mi piacerebbe sentire quello che dicono perché è evidente che stanno parlando di me.

Sherlock mi appoggia una mano sul ginocchio cercando di attenuare il mio disagio. "Sherrinford, stai tranquillo! Lo fanno per il tuo bene." Tento di nascondere le mani, che hanno iniziato a tremare ancora una volta, infilandole nelle tasche dei pantaloni.

"Ne hai abusato parecchio di quella roba?" Lo zio ha un'aria serafica mentre mi osserva. "Dovevi controllarti, non lasciarti andare, l'ho usata anch'io, ma nel modo giusto." Ridacchia e china la testa riccia. "Ero la disperazione di tuo padre. E lo sono ancora."

È una frase che mi lascia perplesso visto che papà è un tipo freddo, poco empatico. "Mycroft ti controllava? E perché?"

"Diciamo che lui ha una certa attitudine a proteggere la sua famiglia. Non credo te ne libererai facilmente, ora che ne fai parte." Mi stringe il ginocchio, come a sottolineare la mia nuova appartenenza.

Gli restituisco un sorriso tirato, non mi piace ricordare di quanto e di come mi facevo di coca visto che, stupidamente, ho compromesso anche il mio cuore.

"Zio, non credo che ci sia un modo giusto per usarla. Io stavo male e mi serviva." Mi sento avvampare e cerco di fargli capire che ho vissuto anni di disagio.

Torna a fissarmi in modo strano, sta sfruttando quel raro dono della deduzione che gli permette di vedere oltre la facciata delle persone. A volte lo uso anch'io. Batte le mani aperte sui braccioli ed esclama deciso.

"Starai bene Sherrinford, se ci ascolterai ne uscirai, sano e pulito, mettiti comodo per ora non voglio sapere altro, quando vorrai io sarò pronto ad ascoltare."

Annuisco, mi sento rassicurato, tolgo le mani dalle tasche e mi accorgo che non tremano più. Sorrido e inizio ad esplorare la stanza con lo sguardo, sarà la mia prossima casa per i giorni a venire. È ingombra di carte e di giocattoli. Alcune bambole sono finite vicino a un teschio che è in bella mostra sul camino.

Improvvisamente sento la voce di papà. "Sherrinford vieni a conoscere il dottor Watson. È lui che si prenderà l'incarico di seguirti."

Mi chiama con voce autoritaria dalla cucina, loro due stanno ancora guardando la lettera, fisso due secondi Sherlock cercando sicurezza.

"Vai, se sopravvivrai a mio fratello avrai la mia approvazione, nipote." Lo guardo incuriosito, non capendo che tipo di rapporto li unisca.

Sono strani i due fratelli Holmes, freddi e distanti ma legati da un legame profondo che percepisco ma non riesco a decifrare.

Dentro alla piccola cucina che si affaccia sul soggiorno c'è il dottor Watson che mi allunga la mano con gentilezza.

"Quindi Sherrinford, sei il figlio di Mycroft e nipote di Sherlock. Ci voleva un altro Holmes in giro per Londra." Ride vedendo la mia faccia perplessa, mi fa accomodare sulla sedia davanti al tavolo.

"Calmo ragazzo non farò altro che aiutarti, non avrai paura di me? Sono un medico, ma prima di tutto, sono un amico."

Mio padre sorride, si appoggia alla sedia e ripone la lettera sul tavolo.

"Fa quello che ti dice Watson e presto starai meglio."

Il dottore mi sfiora la mano e mi stringe appena il braccio, poi inizia a leggere la lettera e mi spiega quello che dovrò fare. Ascolto, mentre guardo mio padre che si allontana e ci lascia soli. Va a sedersi con il fratello e si mettono a parlottare.

Mi perdo, un po' confuso da tutte quelle novità che rischiano di agitarmi e John Watson se ne accorge.

Allontana con noncuranza la lettera e attira la mia attenzione.

"Non pretendere troppo da Mycroft, non è mai stato un uomo molto espansivo. Magari non ammetterà apertamente di volerti bene, ma è leale e affidabile, sarà sempre al tuo fianco proteggendoti come ha fatto con suo fratello. Ha un modo tutto suo di dimostrare affetto alle persone che ama."

Abbasso la testa, non mi consola sapere che sarò protetto, vorrei essere amato. Con gli occhi continuo a guardare mio padre davanti al camino nel fondo della stanza, lui è il mio unico punto di riferimento in quei giorni.

Il dottore sospira un paio di volte e allungandosi per colmare la distanza fra noi, mi prende la mano, la sua voce diventa gentile.

"Non ci conosciamo Hayc, ma devi solo cercare di avere fiducia. Devi fare quello che ti viene detto, dal tuo medico e da me. Non puoi più permetterti di sgarrare, hai tirato la corda fino al limite."

Capisco, ho combinato un bel po' di guai, lo guardo dritto negli occhi, perché al punto in cui sono non posso far altro che chiedere il suo aiuto. Lui comprende e si fa serio.

"Bene, per la tua cura ci penserò io. Tu prendi le medicine che devi. Due volte al giorno le compresse prima di mangiare. E un'iniezione un po' più impegnativa, una volta la settimana. Se ti fanno stare male devi dirmelo. Qualsiasi cosa ti succeda devi parlarne." 

 Si passa una mano fra i capelli castani intuendo che sono giovane e faticherò ad adattarmi alle regole.

Quella sua immotivata apprensione mi crea un altro tremore alle mani che cerco di nascondere sotto al tavolo, ma lui se ne accorge e stringe le labbra perplesso.

"Vedo che ti spaventi parecchio, ti fai prendere dall'ansia. Devi superare i tuoi attacchi di panico."

"Non vado in panico, sono solo nervoso!" Mi sento punto nel vivo, non voglio che mi prendano per un ragazzino debole e stupido. Watson tronca subito l'argomento, perché mi vede in difficoltà.

"Sherrinford è una giornata difficile per te, ma le cose si accomoderanno." Si alza e mi dà un buffetto sulla guancia. "Ora vado a prendere mia figlia a scuola, dovrai convivere con Rosie, che non ti risparmierà nulla. Preparati." 

Si volta in fretta e se ne va ridendo.

Prendo la lettera e la porto sopra alla credenza, sistemo le sedie da bravo ragazzo educato.

Giro un po' per la stanza, con le mani penzoloni lungo i fianchi, mentre sento crescere dentro la voglia di andarmene. Non riesco a prendere le misure a questa nuova situazione, sono sempre stato solo, e mi disturba la confusione. Raccolgo dei libri di favole da terra e li ripongo con cura senza sapere perché.

C'è di tutto in quella casa. Non assomiglia per niente a quella di mio padre a Pall Mall, dove regna l'ordine assoluto.

John mi passa davanti e approva il mio gesto, esce salutando tutti. Torno verso i due fratelli Holmes che subito mi ordinano di sedermi con loro.

"Sherrinford, libera quella poltrona piena di libri e mettila qua." È abbandonata in un angolo, la svuoto e la trascino vicino a loro.

Mycroft compiaciuto se ne esce con una frase che irrita il fratello. "Ora sono tre le poltrone, come gli Holmes di questa casa."

"È anche di Watson, non scordartelo mai, ora lui fa parte della famiglia." Lo zio replica categorico e mio padre solleva le sopracciglia, sembra non essersi ancora adeguato alla situazione del fratello minore.

Riprendono a stuzzicarsi, lo trovo un comportamento infantile eppure sento che si vogliono bene, anche se continuano con questa logorante disputa, fatta di frecciatine e risposte irritanti.

Non c'è che dire, hanno un legame particolare: mio padre che tormenta l'ombrello e lo zio sprofondato nella poltrona con le mani giunte sotto il mento, si confrontano, si studiano, eppure Sherlock lo sta aiutando, perché mi ha accolto nella sua famiglia. Decisamente un rapporto complicato in cui mi sono inserito io.

La mia confusione è evidente.

"Sherrinford, non farti troppe domande, non fare quella faccia sconvolta. Capirai col tempo, sappi che ora, il nostro legame è molto migliorato." 

Mio padre ha parlato in modo glaciale, ma Sherlock si gira e mi fissa divertito come un gatto che si è appena divorato il topo: Mycroft.

Io balbetto. "Mi immagino come poteva essere prima!" Non so che pensare, ma poi mi rilasso vedendo mio padre disegnarsi un sorriso sincero in volto. "Ti deve sembrare tutto così strano, non mi stupirei se volessi scappare a gambe levate." Smette di accanirsi sull'impugnatura e appoggia l'ombrello.

"Intanto cerca di guarire, lo zio e John avranno cura di te. Loro sono la tua nuova famiglia."

"E tu papà che parte hai?" Chiedo allibito come mi stesse scaricando a loro.

Tossisce e risponde deciso. "Io sono tuo padre, che c'entra? Ma siamo una sola famiglia che ti sarà comunque vicina." Stordito dalla nuova situazione insisto.

"E tu ci sarai in questa famiglia?"

"Certo che sì, figliolo. Ne abbiamo parlato, farò il possibile per starti vicino." Sbuffa, un po' risentito.

Lo zio interviene cercando di restituirci una serenità che non riusciamo ancora a trovare.

"Prendetevi del tempo, non vi conoscete." Si rivolge a me che mi agito nella poltrona. "Sherrinford, mio fratello, e del resto anch'io, non siamo molto esperti a esternare i sentimenti. Figurati lui che è soprannominato l'uomo di ghiaccio." 

Ride mentre guarda Mycroft che solleva gli occhi in alto e soffia come un mantice.

Sherlock continua gentile. "Intanto cerca di guarire, io e John avremo cura di te. Non farti travolgere dalla fretta e dal rancore. "

Mi schiarisco la voce, un pò stordito dalla nuova situazione ma, alla fine sono curioso e voglio proprio vedere come va a finire in questa strampalata famiglia. 

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