Le solite divergenze.
La prima serata che trascorro a Baker Street è piacevole, tutti sono indaffarati a preparare la cena.
Anthea ha portato un cambio per Mycroft che si è rimesso in ordine, ora è senza giacca, con le maniche della camicia arrotolate che aiuta Watson in cucina. Vederlo così indaffarato e preso ad affettare verdure mi rende felice. Infondo merita anche lui il calore della famiglia.
Rimango vicino a Rosie, voglio tranquillizzarla perché ha già sofferto abbastanza per colpa mia.
Ceniamo tutti insieme anche se avverto che mio padre non è proprio a suo agio. Sherlock se ne avvede e brontola. "Avanti Mycroft, non morirai per una serata in famiglia."
Lui si ferma con la forchetta a mezz'aria. "E' la tua famiglia fratello, non vorrei invadere i tuoi spazi."
Sorride sarcastico e prima che Sherlock risponda, John tronca l'argomento.
"Cerchiamo di essere civili e responsabili," guarda i due Holmes seccato, "è la prima serata di Sherrinford, non fatevi riconoscere subito con le vostre beghe famigliari."
Rosie ride. "Papà, ma fanno sempre così!" Si volta verso di me con il cucchiaio e li indica. "Hayc, lo fanno apposta, ma poi si cercano sempre."
Sorridiamo tutti alle parole della bambina, Mycroft ingoia un altro boccone e la guarda bonario. "Hai ragione nipotina e poi la cena è buona." Guarda il piatto di Rosie. "E i tuoi piselli dove sono finiti? Piccola furbetta." Aggrotta la fronte e guarda me.
A lei non piacciono i piselli, perché me li sono ritrovati tutti sul piatto. Rosie mi guarda complice nel crimine, le faccio l'occhiolino e prendo tutta la colpa.
"Beh, ne ho presi un po' da mia cugina, perché li ho trovati buonissimi."
Borbottano tutti, suo padre ci squadra. "Chissà perché piacciono così tanto a Hayc e non a te Rosie? Non fare la furba."
Gli Holmes sghignazzano e John si innervosisce.
"Bada Hayc, che da ora ti controllo, e se ti scopro, vai a mangiare lontano da mia figlia." Mi rivolge uno sguardo severo poi aggiunge ironico. "Se le dai troppa corda la peste se ne approfitterà sempre di più."
So che ha ragione ma Rosie è troppo dolce per proibirle qualcosa.
"Va bene John, sarò un cugino serio e attento, d'accordo piccola?" Ci guardiamo e lei mette un finto broncio, ma solo per poco, perché le pizzico il nasino e sorride felice appoggiando la testolina sul mio braccio.
John brontola. "Siete incorreggibili." Si alza e mi allunga le mie medicine.
Forse cambio espressione perché Rosie mi tira la maglia e sentenzia decisa.
"Non sono cattive, Hayc, chiudi gli occhi che vanno giù in fretta."
La mangerei di baci, mentre mi allunga il bicchiere colmo d'acqua che traballa nelle sue manine insicure e si accerta che le prenda.
Non smette di guardarmi e capisco cosa vuole. Le spalanco la bocca e le faccio vedere che sono sparite.
"Bene, guarirai subito Hayc, papà è bravo." Scende dalla sedia cantando una filastrocca, il suo compito l'ha svolto: curarmi. Poi vola allegra dalle sue bambole.
Stringo le labbra quando si gira, dimostra un grande impegno ma sono un po' allarmato perché temo si affezioni troppo.
Papà se ne accorge ed è gentile. "Non pensarci Sherrinford, lasciati guidare dalla sua innocenza. Non le stai facendo nulla di male." Appoggia la mano al mio braccio e mi rassicura.
Mi fa cenno di seguirlo. "Scusate se vi porto via la futura massaia." John gli sorride guardando Sherlock che per tutto il tempo ci ha osservati in silenzio.
"Fa pure, mi aiuta tuo fratello, vero?" Si rivolge allo zio che lo guarda incuriosito. "Ma ho preparato la tavola!" Protesta ma un'occhiata di John lo zittisce, si alza e finisce per aiutarlo.
Seguo Mycroft fino al caminetto, liberiamo le poltrone ingombre dai giocattoli della cugina e ci sediamo uno di fronte all'altro.
C'è qualcosa che deve dirmi e non sembra tranquillo. Si porta le mani unite sotto al mento e si fa serio.
"Sherrinford, devo tornare a Pall Mall, domani lavoro e tu devi stare con loro." Mi studia ha gli occhi fissi su di me. Devo dimostrarmi responsabile anche se mi si stringe lo stomaco.
"Lo so che non posso venire con te, ma quando potrò rivederti? Se potessimo stare insieme di più, non mi dispiacerebbe."
Nella testa si fa strada la paura che lui non voglia prendersi il peso della mia infermità, lasciandomi a casa dello zio. Non riesco a mascherare la delusione e lui è bravo a leggermi dentro, così solleva la mano e la agita in aria.
"Avanti, non farti venire idee strampalate lo sai che ho un lavoro...difficile e per ora non puoi rimanere da solo." Sbuffa un po' risentito, forse logorato da questa situazione dove non riesce ancora a collocarmi.
Abbasso la testa deluso, eppure voglio capire perché quel lavoro che lo allontana da me mi dà i brividi.
"Quanto difficile, padre? Se sei costantemente seguito dalla scorta!" Rialzo la testa con lo sguardo duro.
Aggrotta la fronte e si massaggia la nuca. "Un lavoro che ha richiesto sacrificio, Sherrinford, e uno di questi è stata la scelta di non avere legami. So di essere un uomo solo e complicato, ma ciò non vuol dire che non avrò cura di te."
Un brivido mi percorre la schiena, la paura di perderlo diventa un peso insostenibile, lui allontana lo sguardo.
"Sei in pericolo, papà? Dimmelo, non mentirmi inutilmente." Mi trema la voce e non abbandono il suo volto che si è incupito.
Lo sento che non è al sicuro e vorrei non sentirglielo dire, ma lui annuisce e abbassa la testa, mi risponde con la voce roca. "Posso esserlo a volte, ma ho preso tutte le precauzioni possibili. E ora devo tener conto anche della tua sicurezza."
Mi assale la rabbia e mi alzo di scatto, gli giro le spalle perché la paura di perderlo ha il sopravvento e tutto l'amore che ho sempre voluto è in quel padre che potrei perdere per la Governance
Non ce l'ho con lui, ma per quella sfortuna che mi trascino dietro da quando sono nato e che non mi abbandona: Sono ammalato e lui è spesso in pericolo, non ho nessuna certezza di un futuro sereno.
Mycroft mi raggiunge, mi prende per le spalle e mi gira, le sue mani non sono così forti come mi aspetto, è in difficoltà e non sa come gestire il nostro rapporto.
"Te lo ripeto, Sherrinford non sei più solo, hai una famiglia adesso, non sarai mai più abbandonato a te stesso." Lo ribadisce con forza per sottolineare che niente mi porterà alla vita dissoluta di prima.
Lo guardo sarcastico, ho sempre pensato che fosse lo "Smart one" e invece sembra perdersi quando si tratta di sentimenti, così glielo dico alzando la voce.
"Non voglio la famiglia! Forse non comprendi che io voglio stare con te! Tu sei mio padre, non loro."
Con la mano indico il resto della parentela radunata in cucina che si è fatta silenziosa lasciandoci lo spazio necessario per chiarirci. Fortunatamente Rosie è nella sua cameretta. Alza le sopracciglia e mi fissa sconcertato, poi biascica due parole.
"Non posso fare altro per adesso, ragazzo, la mia vita era unicamente il mio lavoro. Devi accontentarti di questo per ora."
Mi esaspera questo suo modo di essere, mi sento nuovamente all'angolo, la mia rabbia aumenta e grido.
"Già, papà! Come vederti uscire e non sapere se ti rivedrò! Grande! Non dovevi cercarmi se eri consapevole di non potermi dare che vestiti e scarpe nuove. Tu mi abbandoni nuovamente, sapendo che sto male."
Stringe con forza le labbra, anche la mascella è tesa. L'ho ferito, non se lo aspettava questo rimprovero sembra non capire che sento il bisogno di conoscerlo e di stargli vicino.
"Non ti ho abbandonato e so perfettamente la situazione della tua salute." Sibila risentito con le mani che gli tremano, le mette in tasca. Si volta per andarsene, afferra il cappotto e il suo amato ombrello.
"Non ho voglia di discutere di queste stupidaggini, sei solo fonte di continue emicranie!"Si volta a fissarmi ma la sua voce è piatta, minacciosa. "Fa il tuo dovere e io farò il mio." E se ne va salutando appena.
Mi sento precipitare in un abisso d'incomprensioni, ho rovinato tutto, mi porto le mani nei capelli disperato di averlo lasciato uscire così, dopo tutto quello che ha fatto.
Sento la mano dello zio sulla spalla che stringe forte, cerca di confortarmi, mentre John mi osserva a distanza.
"Non avere paura, sa badare a sé stesso, ma adesso deve pensare anche ai rischi che corri tu per essere suo figlio. Il lavoro che fa è complicato, ma lo sa fare bene e di solito è lui che mi toglie dai guai."
Lo abbraccio, ma lui da buon Holmes non sa come reagire, mi batte la mano sulla spalla, come segno di massimo affetto. "Mi dispiace di averlo offeso." Gli sussurro all'orecchio.
La voce dello zio è incrinata.
"Ti vuole bene Hayc, non sai quanto, ma devi dargli tempo." Mi stacco da lui imbarazzato con gli occhi lucidi. "Mio fratello è una persona chiusa e poco emotiva, sapere di te lo ha destabilizzato. La sua vita non comprendeva una famiglia, non l'aveva mai cercata."
Mi solleva il mento con la mano, mi guarda dritto negli occhi. "Datti da fare e guarisci in fretta, diventa il figlio premuroso che sei, e aiutalo a capire che sei tutto ciò di cui ha bisogno."
Ha ragione mi comporto come uno stupido adolescente.
"Scusami zio, sono un imbecille, ma a volte provo un forte rancore senza capirne il motivo, perdo il controllo e lo allontano facendogli del male."
Sherlock mi regala un sorriso sornione, mi trascina verso la camera perché si è fatto tardi.
"Va a riposare e stai sereno." Poi aggiunge gentile. "Siete due caratteri simili, vi volete bene ma vi lasciate trascinare dalla paura, così finite per soffrire tutti e due. Non ti sembra una cosa stupida, nipote mio?"
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