9. Perdere il controllo
Paradossalmente mi piaceva il trattamento che il figlio dei Kim mi riservava durante quei primi giorni di conoscenza: mi faceva sentire bene e mi faceva battere il cuore come mai prima di allora. Quando c'era lui nei paraggi mi batteva ancora più forte di quando facevo degli impietosi e stancanti allenamenti, le mie mani cominciavano a sudare e mi dimenticavo di qualsiasi cosa mi stesse attorno. Era assurdo ma allo stesso tempo tanto bello, così tanto che non avrei mai voluto che finisse.
A volte il suo atteggiamento era sufficiente, controllato, pareva usarmi come uno dei suoi dipendenti ma altre però aveva un trattamento particolare nei miei confronti e mi faceva sentire speciale. Il suo sguardo si posava su di me: sui miei occhi e sulle mie labbra in una maniera del tutto singolare, con le sue parole mi stuzzicava e mi provocava dandomi adito di confidare che prima o poi qualcosa tra noi sarebbe successo e poi le attenzioni che mi riservava, sebbene fossero misere, mi scaldavano come un abbraccio durante una folata di vento.
Il mondo sembrava essere un luogo ancora più pazzo e strano del solito quando mi ritrovavo a dover stare insieme a lui eppure quella pazzia mischiata alla stranezza mi faceva sentire vivo, come non lo ero mai stato.
Anche quella volta quando mi dissero di doverlo aiutare, mi ero sentito attraversare da un'ansia immotivata che mi aveva mozzato il respiro. Quando mi aveva domandato come stessi a causa dell'infortunio, mi ero sentito per la prima volta importante per qualcuno ma allo stesso tempo quando capii che lo aveva chiesto perché aveva bisogno di me, giurai di non volermi più illudere.
Lui era tutto ed era niente; quel dannato biondino dalle mille sfaccettature aveva il dono di saper mettere in piedi un senso di sicurezza e una certezza intorno alla quale ogni cosa girava secondo la sua volontà.
Senza fare troppe storie infatti afferrai il borsone che mi aveva lanciato accanto alle scarpe e lo seguii controvoglia, abbandonando così lo spogliatoio e camminando sotto gli occhi di tutto il personale che ci aveva però placidamente ignorato. Una volta in corridoio, avrei voluto fargli domande su domande; avrei chiesto come procedeva il suo lavoro o dove mi stesse portando sebbene conoscessi molto bene le strade della mia scuola. Potei intuire che la destinazione sarebbe stata l'ultima porta in fondo al lungo e stretto ambiente che stavamo percorrendo, ovvero la piccola palestra che di solito usavano i principianti oppure gli inesperti, come lui.
Avrei solamente voluto riempire il silenzio tramite un qualsiasi argomento, forse solo per il gusto di sentirlo parlare tuttavia, a sorpresa mi precedette.
"Come mai sei così silenzioso?" domandò ad un tratto, facendomi così sussultare.
Balbettai qualcosa senza però rispondere concretamente, facendogli intendere involontariamente quanto fossi in difficoltà e a disagio in quel momento. Non avevo timore di rimanere da solo con lui poiché d'altronde lo eravamo stati già un paio di volte ma mi resi conto di quanto in realtà fosse stato tutto più semplice il primo giorno, quando credevo che fosse una persona ordinaria e po' simile a me. Troppe cose adesso ci distinguevano e sapere della sua popolarità e della sua ricchezza mi facevano sentire quasi inferiore e dentro di me percepivo la paura di dire o fare qualcosa di sbagliato, non sapevo più chi avessi di fronte perché niente di quella notte sembrava più corrispondere alla realtà.
"Se parlo tanto ti infastidisco ma se sto zitto ti infastidisco lo stesso" mi ripresi evitando comunque la sua domanda iniziale e spezzando quel silenzio nauseante.
"Non è vero, mi piaci quando parli" disse sicuro e avrei voluto subito tempestarlo di parole, avrei tanto voluto chiedergli del perché si fosse comportato in quel modo in metropolitana, avrei voluto chiedergli chi fosse realmente, chi fosse la famiglia Kim e il motivo per la quale avesse degli atteggiamenti singolari che lo rendevano sempre una persona diversa da quella che aveva mostrato in precedenza. Quella sua imprevedibilità era forse l'aspetto che più mi incuriosiva di lui ma che allo stesso mi spaventava.
"Quindi a cosa ti servo?" decisi allora di continuare a parlare. "Perché mi hai fatto chiamare?" fui più specifico.
"Devi lottare contro di me"
"Cosa?" il tono di voce si alzò senza che lo volessi realmente. "Non voglio" mi precipitai a dire, cercando di capire a cosa si riferisse ma soprattutto se fosse vero o se mi stesse solamente prendendo in giro.
"Jeon Jungkook ti aiuterà per qualsiasi cosa tu abbia bisogno" ripeté con un tono di voce che non gli apparteneva affatto, difatti in lui colsi una leggera ironia come per ricordarmi che quelle erano le stesse parole che il giorno prima il professore aveva usato per presentarmi. "Non vorrai mica tirarti indietro?" chiese serio fermandosi nel mezzo del corridoio per scrutarmi da vicino.
Automaticamente feci un passo indietro e sgranai gli occhi quando il suo viso si ritrovò ad un centimetro dal mio; in quel preciso istante difatti mi ritrovai a pensare che non avrei mai voluto deludere le aspettative che il preside si era fatto su di me ma soprattutto non volevo deludere me stesso che avevo accettato, anche con un certo impeto quel compito non del tutto semplice. Mi chiesi perché avrei mai dovuto lottare contro di lui ma allo stesso tempo pensai di doverlo compiacere poiché era quello che lui mi aveva chiesto di fare.
"Ho già scattato le foto per il basket perché sono abbastanza pratico ma per la seconda sezione di foto vorrei che tu mi insegnassi alcune mosse della lotta, sono un professionista e vorrei che tutto fosse perfetto" mi spiegò tranquillo ricominciando a camminare ma per un'istante ebbi l'impressione che mi volesse al fianco, dunque aspettò qualche secondo, giusto il tempo di farmi raggiungere il suo passo e affiancare la sua figura, e dopo di che prese a muoversi. Forse era stata solo una mia impressione, una bellissima impressione che mi fece sorridere. "Ho già avvisato il mio fotografo che per poter fare i prossimi scatti, ho bisogno di qualche allenamento" parlò frettolosamente e sembrò abbastanza deciso nel voler imparare qualcosa riguardo la lotta.
"Ma non ho ancora capito cosa dovrei fare io"
"Devi stare zitto" disse alzando lo sguardo al cielo, ormai rassegnato e così mi forzai di chiudere la bocca e mi concentrai sulle sue mosse: una volta arrivato davanti all'ingresso, si mise la mano in tasca e con una piccola chiave aprì la porta della palestra, facendomi così entrare per primo. Quel biondino si stava letteralmente impossessando della mia scuola e pensai che se fosse rimasto un'altra settimana probabilmente sarebbe diventato anche il nuovo preside.
"Questa è la mia preferita" esclamò guardandosi attorno mentre io poggiai lo zaino per terra.
"Perché?"
"Perché è isolata" scrollò le spalle. "Non c'è nessuno che ti dice come stare composto o come comportarsi davanti agli altri"
"Pensavo che fossi tu a decidere tutto" gli dissi poiché sembrava avere tanto potere e autorità al punto di poter decidere per lui, oltre che su tutti gli altri. Come sempre però ognuno di noi teneva per sé un segreto o cercava semplicemente di nascondere qualcosa agli occhi della gente.
"Lo pensavo anch'io all'inizio" parlò con un tono nostalgico, come se si stesse riferendo a tanti anni addietro. "In realtà ho deciso per così troppo tempo che non posso più cambiare le cose" continuò facendomi aggrottare le sopracciglia; cercai di comprendere quelle parole, le studiai affondo ma ci avevo riflettuto talmente tanto che alla fine persero ogni senso e valore e di conseguenza io finii per perdere il filo logico di quel discorso. Le risposte che mi dava ogni qual volta che io mi spingevo un po' più in là nel chiedere qualcosa di personale, avevano quel pizzico di mistero che mi mettevano soggezione ma allo stesso tempo le sentivo colme di una tristezza e di un vuoto che non sarei stato in grado di descrivere a parole. Quelle frasi che usava nel tentativo di spiegarsi, mi parvero tutte spezzate da un qualcosa più grande di lui, come se non avessero una fine ben precisa o forse al contrario una fine delineata l'avevano ma non era affatto bella.
I suoi occhi si posarono su di me in modo dolce come se volesse dirmi di più ma non riusciva, quella volta però giurai che non l'avrei pressato e che non avrai fatto le mie solite domande fastidiose, avrei semplicemente rispettato la sua discrezione. Difatti cambiai argomento.
"Allora, quando cominciamo?" chiesi sfregandomi le mani per il freddo ma anche per la volontà di mettermi al lavoro mentre lui mi sembrò quasi sollevato dalla mia reazione.
"Quando ti spogli" disse con un sorrisino quasi perverso. Aveva il potere di far aumentare in modo spropositato la barra della tensione sessuale, anche con uno sguardo innocuo mentre ogni sua parola sembrava un riferimento ad un rapporto carnale. La capacità che aveva nel cambiare focus mi faceva scoppiare la testa e allo stesso tempo mi entusiasmava, tanto che il mio corpo si ritrovava ricoperto da scariche di piacere che scorrevano su e giù come scheggie impazzite.
Non sapevo cosa mi stesse passando per la testa e non riuscii a distinguere le mie emozioni poiché prima di allora non avevo mai provato determinate reazione vero una persona di sesso maschile. La verità però era che adoravo quella nuova sensazione di imbarazzo mischiata con la reale voglia e con la consapevolezza di volerne sapere di più.
"Ho messo il kit di kick boxing nel borsone, quando ti sblocchi fammi un fischio" disse prendendo in giro la mia momentanea inerzia. A quel punto mi sarei anche dato un paio di ceffoni da solo cosicché avessi potuto riprendermi da quella situazione surreale. Pensai a quanto stupido fossi stato e mi picchiai mentalmente dopo aver compreso che intendeva dire che mi sarei dovuto cambiare per potergli fare lezione, così afferrai di nuovo il borsone ma prima di andarmi a cambiare, mi fermai dinnanzi a lui.
"E tu?" chiesi semplicemente.
"Io devo fare il modello, non posso mica sudare"
Vai a farti fottere Kim.
Non riuscivo a capire se fosse serio, se volesse procurarmi fastidio o se volesse semplicemente mettermi in ridicolo; alla fine però mi cambiai davvero e indossai dei pantaloni della tuta, una maglia a maniche corte nonostante giù ci fosse un freddo invernale e infine gli stessi guantoni.
"Sono pronto" dissi svogliato. Vestivo spesso in quel modo date le gare e gli allenamenti dunque sarei dovuto essere abituato tuttavia davanti a lui non mi sentivo particolarmente a mio agio.
"Perché tieni il muso, stai bene conciato in questo modo" lo guardai male e camminai fino a raggiungerlo.
"Vuoi parlare o combattere?"
"Cosa? No aspetta io non intendevo sul serio" si affrettò a dire coprendosi il viso con le braccia ma con una giravolta alzai la gamba e lo colpì dritto nel torace. Andò velocemente indietro ed io mi misi in posizione di difesa per fargli capire che l'incontro sarebbe andato avanti. "Non posso fare a botte con te, ti prego smettila" parlò ancora ma nella mia testa avevo ormai deciso che quello sarebbe stato un ottimo modo per fargliela pagare. "Voglio solo imparare alcune mosse per poter posare davanti i fotografi, non voglio davvero combattere contro di te" cercò di giustificarsi ma mi protesi verso di lui centrandolo ancora una volta, ripetendogli ciò che mi disse all'inizio.
"Devi lottare contro di me" gli rinfrescai la memoria.
Cominciò solo a sussultare dinnanzi ai miei colpi secchi e incessanti e in men che non si dica, indietreggiò fino a toccare il muro. A quel punto notai sul suo viso un'espressione fin troppo sofferente che mi fece fermare immediatamente; lo sentii respirare in maniera troppo eccessiva, come se stesse per avere un attacco di panico o che avesse la necessità di avere con se un inalatore. Mi levai i guantoni e provai ad alzargli il mento per poter constatare la sua salute.
"Che diavolo ti prende?" chiesi spaventato ma il tono di voce risultò essere quasi infastidito. Lui però mi guardò come mai prima di allora, non mi rispose e sembrò quasi spaventato.
Avevo forse esagerato?
"Lasciami" disse mettendo le mani sul mio petto cosicché potessi fare forza e spingermi per allontanarmi da lui, non riuscendoci però, colsi quel momento costringerlo a guardarmi tramite una salda preso sul suo viso.
"Non volevo farti del male"
"Non mi hai fatto un cazzo" esclamò e quella volta riuscì a spostarmi e quasi persi l'equilibro. "Non è questo il punto ok?" urlò con la voce spezzata dal pianto. "Non devi toccarmi mai più, non istigarmi a fare cose che non vorrei. Hai capito?" parlò frettolosamente ma non sembrò arrabbiato come invece avrebbe voluto farmi credere.
Io ero confuso e non capii a cosa si riferisse, non capii il motivo di quella reazione tanto eccessiva ma non provai neppure a chiederglielo.
"Non farmi perdere il controllo" bofonchiò infine, abbassando lo sguardo e scivolando con la schiena contro la parete, fino a sedersi per terra. Quelle poche parole mi rimbombarono nel cervello poiché mi chiesi più volte cosa potesse significare per lui perdere il controllo.
Intendeva dire che non avrebbe voluto perdere le staffe o era qualcosa di molto più grave? Non sapevo cosa dire, né cosa pensare quindi decisi di lasciar perdere le parole e mi sedetti accanto a lui.
"È meglio rimandare, puoi ritornare a lezione" disse come se fosse stranito che io fossi ancora lì.
"No, mi piace stare qui" provai a rimettere le cose in sesto. "Sai è anche la mia palestra preferita" gli feci sapere sebbene non l'avesse chiesto e difatti il biondino mugolò qualcosa di risposta, dopo di ciò i minuti a seguire divennero silenziosi e quasi monotoni.
Giorno dopo giorno cominciavamo a condividere qualcosa di più, a parlare di noi stessi e scoprire pian piano quel che ci turbava ma soprattutto ciò che si celava dietro le nostre differenti personalità.
Senza neanche accorgercene stavamo costruendo un rapporto del tutto nostro, era indubbiamente particolare e probabilmente senza futuro, considerato che se ne sarebbe andato presto dalla mia scuola ma quella convinzione non mi preoccupava affatto, anzi, mi spingeva maggiormente a godere di quegli attimi insieme a lui.
Forse stavo sbagliando tutto o forse stavamo mettendo le basi per un inizio, a chi importava?
Non conoscevo neppure il suo vero nome eppure mi ero impuntato talmente tanto sulla sua persona che non facevo altro che pensare a lui. Mi dava fastidio la maggior parte delle volte, dovevo ammetterlo, ma magari era proprio quello che mi piaceva di lui, il continuo stuzzicarci a vicenda e il suo repentino cambio d'umore, così come fece quel giorno.
Non era solo il tipico ragazzo misterioso; c'era sotto qualcos'altro ed io ero intenzionato a scoprirlo e magari aiutarlo. C'era qualcosa di dannatamente interessante in quel biondino e ad essere sincero non sapevo con certezza cosa mi attraesse di lui, forse i suoi occhi profondi e dolci allo stesso tempo oppure il suo modo smisurato di credere in se stesso.
Non riuscii a trovare risposta alle mie domande, era troppo presto per poter inquadrare completamente una persona ma l'unica cosa che mi interessava in quel preciso istante era rimanere di fianco a lui. In quel silenzio, in cui si percepivano persino i respiri e i battiti del nostro cuore, feci una promessa tra me e me: avrei a tutti i costi compreso chi fosse realmente e non mi sarei fermato a ciò che lui avrebbe deciso di mostrare...
Spazio Autrice
Ciao ragazzi come state? Io non tanto bene, ho fatto il tampone stamattina e sono risultata positiva al covid, spero di guarire velocemente ma oltre le mie interessantissime condizioni fisiche volevo scusarmi con voi per aver saltato l'aggiornamento di venerdì e ringraziarvi per tutto.
E poi volevo anche dirvi di amare Taehyung anche se in questo momento della storia può risultare un po' strano e incomprensibile, lo capiremo presto FORSE...
Beh arrivati a questo punto, vi ricordo di indossare la mascherina e di stare sempre attenti, ci vediamo venerdì se non mi arrivano gli zombie in casa.
-Federica
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