8. "Mi serve il tuo aiuto"
Mi aveva riconosciuto, sapeva fossi io.
In quel momento non riuscii a pensare completamente a nulla, la mia mente era vuota ma il mio cuore batteva talmente forte che il dolore alla caviglia sembrò svanire poiché quello che mi fece provare lui, dentro di me, lo superava di gran lunga. Percepivo sia il petto che i polmoni bruciare come se avessero appena sfiorato una fiamma proveniente da un vulcano che avrebbe a breve ruttato. Provai a dire qualcosa di intelligente e consono a quel momento tuttavia riuscivo a partorire solo frasi a metà e senza alcun senso.
Con una mossa veloce il suo braccio finì per avvolgere la mia vita e potei supporre che poi di proposito mi strinse a sé. Mi tenne stretto proprio come quel giorno in metropolitana; le sue braccia intorno al mio bacino mi provocarono diversi brividi dietro la schiena e mi misero di nuovo in imbarazzo, sensazione che lui sembrò notare. Stranamente non fece nessun commento che avrebbe potuto mettermi ancora di più a disagio e si limitò a sorridere in modo dolce.
"Ti sei fatto male?" mi domandò dolce cercando di mettermi in piedi, senza però togliermi le mani di dosso e sebbene dalla mia gola salì un gemito di dolore, cercai di camuffarlo e scossi la testa per dargli una risposta negativa. "Vuoi che ti accompagni in infermeria?" chiese subito dopo, evidentemente preoccupato dal mio responso non molto certo.
"No, non c'è ne bisogno davvero. Non è nulla" cercai di convincerlo e mi allontanai di poco, scrollandomi di dosso il suo tocco rassicurante.
"Sei sicuro?" insistette incerto e nonostante apprezzai molto il suo intento, rifiutai nel modo più gentile possibile. Non mi andava di essere aiutato, non perché non ne avessi realmente bisogno ma perché da un lato era come se gli facessi perdere del tempo per lui prezioso quindi malgrado la sua insistenza, decisi che ci sarei potuto andare da solo.
Difatti durante il pomeriggio mi recai nel piccolo studio paramedico della scuola, dove mi feci controllare giusto per sicurezza, scoprendo che non fosse nulla di grave. Per fortuna il dolore diminuì con del ghiaccio e solo dopo aver applicato anche la pomata, mi sentii meglio tanto da camminare senza alcuno sforzo.
Mi sentii sollevato ma allo stesso tempo non ero affatto soddisfatto da quell'incontro; ero sicuro di aver fatto una figura pessima ai suoi occhi e dopo quell'avvenimento si sarebbe sicuramente chiesto se valesse la pena usufruire dell'aiuto che avrei potuto dargli, appurata la mia inutilità. Mi sentivo frustato e inappagato poiché sebbene si fosse ricordato di me, non ero riuscito a dare il meglio di me stesso in un contesto che mi apparteneva e che generalmente mi valorizzava.
"È come se avessi vinto io" era quella la frase che aveva mormorato ad un centimetro del mio viso quando mi prese per non farmi cadere per terra, riferendosi ovviamente alla sfida di basket. "Ma spero che avrai un'altra occasione per dimostrarmi che sei davvero il migliore in questa scuola" sentenziò fomentando il mio spirito agguerrito e il mio lato competitivo che ero solito a nascondere, tuttavia usciva sempre fuori durante le Olimpiadi scolastici o in generale nello sport.
Io volevo essere il migliore perché sapevo di poterlo essere; se non avessi preso una storta l'avrei battuto senza alcun dubbio, motivo per cui quell'inconveniente mi mandò in bestia. Mi ritrovai a rimuginare su quell'errore per l'intera giornata fino a comprendere che l'unica cosa a darmi sollievo e dunque a farmi sentire meglio, fosse la speranza di avere un'altra opportunità in futuro e di farmi quindi valere; ero desideroso di fargli capire quanto bravo fossi in realtà.
Dopo quell'accaduto non lo vidi più nei paraggi; probabilmente lui e la sua troupe avevano deciso di utilizzare quel giorno solo per dare una veloce occhiata al liceo e soprattutto alla palestra, considerato che avrebbero dovuto fare dei lavori importanti. Gli scatti invece sarebbero avvenuti solo nei giorni a seguire, non sapevo quando di preciso ma sapevo di dovermi tenere pronto poiché di conseguenza al suo arrivo sarebbe poi anche intervenuta la mia assistenza nei confronti di Kim.
Inizialmente la proposta del preside non aveva allettato molto, mi ero fatto prendere dal panico poiché non credevo di essere abbastanza per quel lavoro tuttavia con il passare delle ore mi ritrovai a cambiare idea. Cominciai ad essere curioso, stimolato da quell'incarico a me donato e per un'attimo credei quasi di essere felice, considerato che avevo il vantaggio di trascorrere del tempo insieme a lui.
Ero incoerente? Sì, abbastanza.
Quella costatazione però non mi sottrasse nell'accettare, volevo davvero tentare e solo dopo averci pensato davvero a lungo, compresi che mi sarebbe piaciuto non solo stare insieme a lui con un scopo ben preciso ma anche dimostrare a me stesso, oltre che a tutti gli altri, di essere in grado di eseguire un compito di quella portata.
"Passami un'altra bottiglia" esclamò Hoseok seduto nella sedia girevole della scrivania, allungando il braccio verso la mia direzione dal momento che ero stato l'ultimo ad aver fatto un sorso. Come da pianificazione ci eravamo riuniti a casa sua da tutto il pomeriggio, dopocena però decidemmo che era tempo di una bella ubriacata e così rubammo le bottiglie più care dal signor Jung. Volevamo semplicemente divertirci ma quel determinato giorno nulla pareva aver effetto su di noi; l'alcool noi diede quella solita energia ma bensì un senso di malumore generale e senza nessun movente.
Io ero sdraiato sul letto morbido e due piazze di Hoseok, perso a fissare il soffitto già da un po' mentre Yoongi se ne stava seduto in un angolo e si limitava a giocare con il cellulare.
"Non penso di poter tornare a casa in queste condizioni" avvisai il castano, massaggiando le tempie in senso antiorario. Le nostre abitazioni non erano molto distanti ma non avevo forze sufficienti per potermi alzare dal materasso, ancora meno per poter camminare verso casa mia.
"Lo sai che puoi restare qui tutte le volte che vuoi ma sappi che ti faccio dormire per terra" disse indicando un angolo della sua camera. "L'ultima volta che abbiamo provato a dormire nello stesso letto non è andata affatto bene" provò a ricordare quando ci stringemmo nel tentativo di entrare tutti al di sotto delle lenzuola ma finimmo per passare tutta la notte a lamentarci, a imprecare e a cercare di coprire i nostri corpi infreddolito, scoprendone di conseguenza un altro. Viverlo non era stato bello per niente tuttavia quando divenne un ricordo, prese una piega molto più piacevole e ricordavamo quella notte bianca con il sorriso; ora ci faceva sempre ridere e difatti tutti e tre ridacchiammo al pensiero di quella sera che parve infinita.
Ad ogni modo non avevo bevuto molto, almeno non più delle altre volte ma la testa mi girava talmente tanto da non riuscire neppure a tenere gli occhi aperti. Dei tre quello che reggeva meglio l'alcool era senza dubbio Hobi, forse per l'abitudine delle mille feste organizzate in queste quattro mura o forse perché semplicemente aveva il fegato di ferro.
"Dormirò abbracciato a voi due" indicai prima l'amico più vicino e poi quello più lontano, subito però Yoongi rispose con una faccia disgustata.
"Prova anche solo a sfiorarmi con un dito e ti ritrovi sotto terra"
"Ma io ho bisogno di affetto" ribadii.
"E ti aspetti davvero di trovarlo in lui?" mi fece notare Hobi, riferendosi al menta.
In tutti quegli anni di amicizia avevamo entrambi constatato che Yoongi avesse seri problemi con il contatto fisico ma nessuno, neppure lui, sembrava conoscere il perché. Sapevamo solo che fosse cambiato dopo la morte della madre ma non eravamo a conoscenza di alcun dettaglio e avevamo anche paura di chiedere o di prendere quell'argomento, nonostante fosse il nostro migliore amico da sempre.
"Trovati qualcuno da scopare e non rompere a me" sentenziò buttandosi nel letto a pancia in giù.
"Possiamo organizzare un'orgia a casa tua dato che è libera" continuai a stuzzicarlo.
"Ancora per poco" rispose con un tono serio e lì la mia voglia di scherzare terminò; io e Hobi ci guardammo non sapendo bene cosa dire nonostante entrambi sapessimo perfettamente a chi lui si riferisse.
"Sta tornando?" chiese semplicemente senza giri di parole ma dall'altra parte non ci fu nessun tipo di risposta.
Il tardo pomeriggio passò in un baleno e benché nessuno di noi avesse il reale desiderio di ripetere quell'evento che ci aveva quasi traumatizzato, dovemmo a causa della sbronza rimanere a dormire da Hobi, con la differenza che quella volta non ricordai nulla di quel sonno e di conseguenza fu bello svegliarsi insieme a loro.
La mattina seguente ci recammo al liceo e inaspettatamente le lezioni cominciarono ad essere più pesanti sebbene fossero ancora i primi giorni di scuola; ai professori importava solo di spiegare e dunque tra qualche settimana sarebbe cominciato il periodo delle interrogazioni e compiti in classe. Mi ero ripromesso di essere sempre preparato e di ottenere degli ottimi voti per dimostrare ai miei genitori di potercela fare, oltre questo non dovevo dimenticare il mio principale obiettivo, dovevo trovare al più presto un lavoro ma non avendo qualcosa di preciso nella mia mente, mi sarei accontentato di qualsiasi tipo di lavoro pur di guadagnare qualche soldo.
Durante un'abituale lezione mi ritrovai a provare a scrivere il mio curriculum anziché prendere appunti sulla materia dal professore spiegata, in ogni caso però qualche secondo dopo fui disturbato da un uomo che entrò in aula senza neppure prima bussare. Alzai lo sguardo attento e iniziai a scrutarlo: indossava una camicia bianca con sopra un gilet di pelle nera, i pantaloni erano eleganti e dello stesso colore mentre in viso portava degli occhiali da sole che gli dava un aria poco raccomandabile.
Aveva interrotto le lezioni in maniera leggermente scortese ma l'insegnante non sembrò essere turbato, al contrario gli chiese gentilmente di cosa avesse bisogno.
"C'è un certo Jeon Jungkook?" chiese senza alcuna premessa e allo stesso modo, senza aspettare una risposta, continuò a parlare. "Deve uscire"
Tutti gli alunni si girarono verso la mia direzione e mi fissarono insistentemente mentre io misi via tutto ciò che non centrava con la lezione e cercai un consenso, che mi diede subito dopo, per potermi alzare dal banco. Non avevo avuto il tempo per chiedere a me stesso cosa avessi intenzione di fare o di comprendere se avessi voluto seguire quell'uomo o meno, mi risuonò nella testa però una voce che diceva "Tanto vale andare a vedere cosa desiderano i piani alti" e così non mi rimase che uscire dalla classe.
Chiusi la porta alle mie spalle e seguii l'uomo al piano inferiore: lavorava senza dubbio per il biondino e quando entrai in palestra vidi con sorpresa che tutti si erano ambientati abbastanza bene. Chiaramente era stato vietato l'accesso a noi studenti, non potevamo seguire i nostri consueti allenamenti pratici finché non avrebbero finito i loro scatti. La palestra era piena di attrezzature costose come pannelli di luce, macchine fotografiche e c'erano persino le makeup artist e le hairstyles; quell'ambiente non aveva più le sembianze della nostra sporca e usata palestra ma pareva una sala per shooting. Momentaneamente erano stati dunque sospesi tutti gli sport e nessun studente poteva più mettere piede all'interno di quel settore, al di fuori di me che ideologicamente possedevo un pass speciale per poter entrare.
Il pass speciale era ovviamente la parola del preside così mi intrufolai e subito dopo mi liberai anche della sorveglianza dell'uomo che era venuto a prendermi in classe. Non volevo essere controllato da nessuno poiché era scontato che non mi sarei limitato a stare fermo e buono in un angolo; la mia presenza doveva pur essere utile a qualcosa e malgrado non avessi ancora capito a cosa, cercai un volto conosciuto o aspettai che qualcuno mi riconoscesse.
"Ehi ragazzino" disse difatti una donna sulla trentina d'anni, mettendo una mano sulla mia spalla e facendomi sussultare per la sorpresa. "Kim ti sta aspettando negli spogliatoi, ti conviene andare"
"Cosa?" esclamai visibilmente allarmato.
"È stato lui a chiedere di te" mi informò, scrollando le spalle.
Senza accorgermene riempii i polmoni d'aria, cercando invano di far calmare l'agitazione dentro il mio stomaco, il giorno precedente era venuto a conoscenza del mio nome e sarebbe stato quindi più facile per lui torturarmi e obbligarmi a compiere i suoi ordini. Io non volevo risultare spocchioso ma avevo una forte consapevolezza dentro me stesso: lui non aveva bisogno di me o di nessuno in generale per svolgere il suo lavoro ed ero certo che se al posto mio ci fosse stato qualcun altro, non l'avrebbe mai chiamato.
Aveva desiderato la mia presenza perciò mi incamminai verso gli spogliatoi ed entrai a passo lento dentro le docce maschili senza però aprire bocca, mi limitai a cercarlo con lo sguardo fino a quando non lo trovai davanti un armadietto. Mi era di spalle quindi mi rilassai e mi poggiai sul muro aspettando che finisse di infilarsi la maglia bianca e di sistemare la cintura dei pantaloni, dopo di ciò si scompigliò i capelli biondo e parlò prendendo il suo rolex poggiato sulla panca.
"Mi stai spiando?" sussurrò con voce roca, facendomi sussultare.
"No" mi venee da rispondere subito.
"Allora ti stai nascondendo?" continuò senza però voltarsi.
"Sto solo aspettando che tu finisca" dissi quasi in un lamento, probabilmente per paura di non riuscire a sostenere una conversazione con lui, perché se da un lato mi incuriosiva dall'altro quasi lo temevo. Avevo paura di un confronto e non perché fosse un ragazzo ricco e potente ma perché lui era dannatamente imprevedibile ed io forzatamente imperturbabile.
"Hai fretta?"
"Ero a lezione"
"Non sai quante persone vorrebbero essere al tuo posto in questo momento" finalmente si girò verso di me facendo incrociare ancora il nostro sguardo, tuttavia proprio a causa di ciò, da quell'istante non sarei più stato in grado di rispondere con quel tono. La sua bellezza avrebbe indotto facilmente in errore chiunque quindi non mi meravigliai del fatto che le persone avrebbero fatto di tutto pur di passare del tempo con lui, io d'altro canto sapevo che la mia fosse solo una maschera, la verità era che ero desideroso di scoprire ciò che stava dietro quel filo di ostentazione e arroganza.
Era li che volevo stare in quel preciso istante, però forse non l'avrei mai ammesso a voce alta, ne tantomeno con lui di fronte.
"A me non importa" affermai alzando le spalle, quasi incurante.
"Sì, ho notato" sussurrò chiudendo con il lucchetto un armadietto abbastanza familiare.
"Ma quello è il mio!" esclamai puntandogli un dito e sgranando gli occhi quando mi ricordai del numerino che differenziava i diversi proprietari.
"Beh in qualche posto la mia roba doveva pur stare" disse menefreghista, lanciandomi una chiave che prontamente afferrai. "Per ora ci tocca dividerlo" continuò avvicinandosi per poi sfiorarmi il mento con un dito.
Era insopportabile? Sì, decisamente.
Mi veniva da sorridere? Sì, cazzo.
"Come va la caviglia?" mi chiese ad un certo punto e quasi mi stupii per la premura che neppure i miei genitori avevano avuto in certe occasioni della mia vita, tant'è che neanche quella volta erano venuti a conoscenza del mio malessere.
"Va meglio, credo"
"Bene, perché mi serve il tuo aiuto" disse lanciando un borsone ai miei piedi per poi superarmi e uscire dallo spogliatoio.
Spazio Autrice
Non so come ringraziarvi per le 1K visualizzazioni cioè WOW grazie grazie graziee!! Se c'è qualcosa che posso fare per voi, contattatemi in privato (non un bonifico perché non saprei come aiutarvi) per il resto sono sempre disponibile. Fatemi sapere se continua a piacervi e che dire... ci vediamo venerdì.
-Federica
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