65. Ritorno alle abitudini

Prima di capodanno avevo lasciato Busan con il cuore pieno di gioia ma quando ero tornato, pareva che l'avessi lasciata tutta nella grande città di Seoul; non mi rimaneva un briciolo di quello che credevo fosse un'illimitato e incontenibile stato emotivo che mi aveva reso vivo sino a quel momento ma al ritorno a casa, non mi era neppure rimasto il cuore.

Sentivo che nella vita non mi rimaneva più nulla se non quello stato perenne di sofferenza; mi sentivo destinato a quel male come se avessi fatto di tutto per meritarlo e ciò che prima avevo desiderato di vivere con tutte le mie forze, ora era ciò che speravo di non vedere mai più.

Dal giorno in cui avevo scoperto e realizzato che Taehyung fosse stato per me solo un errore e uno sbaglio che non avrei mai dovuto commettere, la mia vita si era trasformata in qualcosa che avrei presto voluto dimenticare. La sua assenza si era trasformata in un vuoto all'interno del mio stomaco: tutto quello che prima era gioia, felicità e tanta spensieratezza ora era tristezza, rabbia e infinite lacrime poiché le uniche cose a cui credevo erano crollate, così come le mie ultime speranze.

Il ricordo di quello che avevo vissuto con Taehyung ora mi faceva rivoltare l'anima.

Lui era un assassino e sarebbe rimasto tale anche con il passare degli anni. Non importava quanto tempo fosse trascorso da quel gesto che aveva compiuto, non importava la ragione per cui l'aveva fatto: nulla poteva prendere la forma di una giustificazione perché quell'azione sarebbe rimasta per sempre cucita sulla sua pelle. Avrebbe potuto staccare qualche punto e donarlo a me, così come aveva fatto con Jimin. Avevano fin da subito condiviso quel momento, tanto che l'arancione si era dovuto addossare una colpa non sua, a lui andava bene poiché probabilmente il bene e la protezione che provava nei suoi confronti era immensa e superava di gran lunga il timore di essere scoperti ma soprattutto il ribrezzo che sarebbe dovuto scaturire dopo una tale confessione, io al contrario non l'avrei mai fatto a quel tempo e probabilmente non l'avrei mai fatto.

Quella notte Jimin, anche se colto alla sprovvista, non era riuscito a provare quel sentimento verso il suo migliore amico mentre io, anche a distanza di anni lo avevo provato eccome. Taehyung era il mio fidanzato e come tale avrei dovuto amarlo e stimarlo ad ogni evenienza, il sentimento che mi legava al biondo era ben differente da quello che da sempre aveva avuto con il suo compagno di vita eppure malgrado quella evidente oggettività, non ero riuscito a reagire come invece avrei dovuto e come magari loro si aspettavano da me; l'unica cosa che ero riuscito a fare era scappare lontano dal suo sguardo e dai suoi tocchi invitanti cosicché non avessero potuto tentarmi o convincermi a cambiare idea su di lui. La verità era che se avessi avuto un minimo di controllo sulle mie emozioni o sulla mia impulsività, avrei anche potuto rimanere in contatto con Taehyung solo nel tentativo di lasciarlo parlare o anche solo per discutere o litigare ma non ero riuscito a farlo perché avevo troppa paura di poter cedere dinnanzi a lui. Avevo il timore che averlo di fronte mi avrebbe potuto far scordare tutto quello che mi aveva raccontato o che avrei preso a fingere che nulla fosse successo nelle strade di Seoul pur di stargli accanto, in quel momento di completa instabilità però la mia mente continuava a ripetere che non sarebbe stato corretto farlo, motivo per cui presi le distanze.

Non era giusto per me. Per il rispetto che dicevo di provare verso me stesso e non ero giusto neppure per lui che probabilmente meritava di essere amato per com'era realmente.

In quei giorni sentivo di non poterlo più amare e quella constatazione sebbene fosse la più legittima, dentro di me mi sentii morire. Come avrei mai potuto fare una cosa del genere? Come potevo lasciar andare Taehyung per sempre? Ma soprattutto come avrei potuto comandare il mio cuore in quel momento tanto fragile?

Da una parte mi ritrovai a dover pensare ad una conclusione adatta per noi e per la nostra relazione travagliata ma dall'altra non era ciò che realmente avrei voluto fare; con quale coraggio avrei potuto guardare i suoi occhi, gli stessi che avevo osservato quando gli avevo promesso che avremmo superato tutti i suoi problemi insieme e dirgli che avevo intenzione di lasciarlo. Io stavo male al solo pensiero di compiere quel passo tuttavia ero determinato nel voler mettere una pietra sopra alla nostra storia e sopra quel capitolo della mia vita che avevo aperto e nella quale mi ero immerso con tutto me stesso. Ero confuso e sebbene non fossi ancora certo delle scelte che avrei preso, pensai spesso a quali parole avrei dovuto usare per troncare quella relazione tossica.

Riflettei sul nostro futuro e per qualche secondo pensai persino che saremmo potuti restare amici, scacciai immediatamente quel pensiero poiché non solo io non l'avrei voluto nemmeno più come amico ma soprattutto sapevo già di non essere in grado di farlo, non dopo quello che era successo tra di noi. Sarebbe stato impossibile parlarsi e toccarsi come due amici dopo l'amore e la passione che ci aveva travolti ogni qual volta che ci ritrovavamo da soli; avevo spesso creduto che la cosa più bella della nostra storia fosse il sesso e la complicità che ci legava e dunque era scontato che come amici o come qualsiasi altra relazione non avremmo funzionato.

In ogni caso, la sua confessione aveva cambiato tutto; ora anche la morte veniva associata a Taehyung e al viso angelico, tutto mi ricordava lui o i suoi gesti e che fossero stati atroci o piacevoli, poco mi importava. La verità era che avevo paura di potermi trovare sottoterra per causa sua e di fare dunque la stessa fine del padre. Mi sentivo una persona di merda anche solo nel pensare una cosa del genere tuttavia sapevo fosse normale avere un timore di quella portata. Se era stato capace di farlo una volta, avrebbe potuto farlo una seconda e pure una terza.

Cosa c'era di sbagliato in quella mia insicurezza? Perché mi sentivo in difetto e stavo male nel solo partorire quei pensieri?

Avrei dovuto fare chiarezza dentro di me prima di tornare alla normalità ma era più difficile di quanto avessi mai potuto immaginare; non riuscivo a mettere in ordine tutti i miei complessi, i miei dubbi e le paure che erano state scaturite dal passato di Taehyung. Non riuscivo a comprendere se il suo fosse stato un errore di una spropositata gravità oppure un volere all'interno delle sue viscere che si trascinava da anni ma che non aveva avuto il coraggio di far esplodere prima di quella notte: le azioni che aveva compiuto erano senza dubbio state agevolate sia dalla droga sia dall'alcool che circolava all'interno del suo corpo ma anche dalle continue provocazioni o alle regolari botte che il padre gli riservava da anni, motivo per cui il mio era un continuo oscillare tra il pensiero che avesse fatto bene e il pensiero che fosse davvero un mostro.

Il mostro che Taehyung aveva da sempre detto di essere. Ora quel mostro lo vedevo anch'io.

"Jungkook la cena è pronta" sentii mia madre sull'uscio della porta e mi mossi da sotto le lenzuola per far comprendere che fossi sveglio. "Ho preparato qualcosa" la sua voce era titubante, come se avesse paura di disturbarmi.

"Non ho fame" mormorai mettendomi le mani sugli occhi quando sentii il rumore dell'interruttore. La lampadina del lampadario si illuminò d'un tratto ed essendo stato per troppo tempo avvolto nell'oscurità, quell'accensione mi sembrò come un colpo di pistola e difatti sussultai per poi lamentarmi a voce più alta. "Mamma spegni per favore" quasi piagnucolai.

"Jungkook sono preoccupata" disse e non potei far altro che sgranare gli occhi a quella sua affermazione. Era forse la prima volta che le sentivo dire una frase di quel genere, una frase che stava bene sulla bocca di ogni madre. "Stai mangiando poco ultimamente e sai meglio di me che non ti fa bene" continuò riferendosi senza dubbio al mio scompenso cardiaco e facendomi così riflettere per qualche secondo. Il medico oltre a prescrivermi la terapia farmacologica, che stavo naturalmente seguendo in maniera regolare, mi aveva anche stilato un'equilibrata dieta da seguire e di fianco le attività che avrei dovuto compiere per mantenere uno stile di vita sano ma inutile dire che non stavo facendo nulla di tutto quello.

Non avevo alcuna voglia di alzarmi dal letto, non avevo voglia di occuparmi di me stesso e stranamente non avevo fame, non riuscivo neppure ad ingerire un piccolo boccone. Taehyung era riuscito anche a chiudermi lo stomaco e i miei genitori l'avevano sicuramente capito, ovviamente non potevano sapere la ragione per cui stavo soffrendo tanto ma era scontato che avessero intuito qualcosa; specialmente dopo aver conosciuto Taehyung e dopo averci beccato in stanza mezzi nudi.

Sentii la mano di mia madre toccarmi la coscia da sopra le coperte e senza accorgermene, le lacrime mi rigarono il volto, scoppiando così nell'ennesimo pianto silenzioso. Il suo tocco era leggero ma prese ad accarezzarmi, potei intuire tramite quel semplice gesto che dentro di sé fosse consapevole di dover dire qualcosa, sapeva di dover provare a consolare quel figlio che forse per la prima volta nella sua vita, stava soffrendo per amore tuttavia non fece nulla di tutto quello. La distanza tra di noi era talmente grande che le parole che avremmo voluto sputare, alla fine non uscivano mai dalle nostre bocche poiché sebbene avessimo lo stesso sangue nelle vene non ci conoscevamo abbastanza per affrontare anche solo un discorso insieme. Mia madre aveva preferito allontanarsi, spegnere di nuovo la luce e lasciarmi lì, sotto le coperte, al buio, senza domandare cosa mi passasse per la testa e senza nemmeno forzarmi nel mettere qualcosa tra i denti.

Pensai che non dovesse importarle più di tanto, ma d'altronde non importava neppure a me, motivo per cui scrollai le spalle e mi girai dall'altro lato del letto.

"Fanculo" sussurrai portandomi le lenzuola sino alla fronte e sebbene quella parola venne dal profondo del mio cuore, non capii bene a chi fosse indirizzata. Avrei potuto rivolgerla a mille situazioni ma soprattutto a mille persone che mi circondavano, sentivo di poter essere in grado di odiare tutti quanti, quando in realtà l'unica persona che meritava davvero il mio odio era Kim Taehyung.

Lo stessa persona però che avrei voluto amare incondizionatamente.

Perché ero sempre così contraddittorio con me stesso? Perché non riuscivo a prendere anche solo una decisione che avrei potuto poi mantenere?

Forse cominciavo ad odiare anche me stesso, per colpa sua. O forse io mi odiavo sin dal principio?

Il mio telefonino poggiato sul comodino squillò tramite una leggera vibrazione e sbucai dalle coperte per visualizzare chi fosse: Yoongi.

Se fosse stato qualcun altro probabilmente non avrei risposto, poiché non avevo davvero alcuna voglia di chiacchiere con nessuno tuttavia ero stato proprio io a dirgli di chiamarmi quando sarebbe uscito dall'ospedale, dunque afferrai il dispositivo e strisciai in alto sulla cornetta verde per accettare.

"Ehi Yoongi" dissi con la voce impastata, pareva che non fossi nemmeno più abituato a parlare tuttavia ero diventato bravo a camuffare il pianto.

Era la prima volta che non mi comportavo da egoista nei confronti dei miei migliori amici; ero solito ad interrompere la comunicazione ad ogni minima e sgradevole circostanza che mi si presentava davanti, mi comportavo spesso da egoista e finivo per chiudermi in me stesso ogni qual volta che mi ritrovavo ad avere un problema o ogni qual volta che litigavo con Taehyung, inclinando dunque anche il mio rapporto con Hoseok e Yoongi. A differenza del passato però non avevo coinvolto anche loro nel mio silenzio o nel mio rifugio poiché loro sapevano tutto; non vi era alcun bisogno di spiegare nulla perché si trovavano con me quando mi sentii tremare la terra sotto i piedi. Generalmente quando qualcosa mi turbava o mi faceva stare male, mi isolavo dal mondo intero finché non avrei risolto tutto da solo, non avevo mai accettato l'aiuto di nessuno e non ero solito a voler espormi o parlare con qualcuno poiché non avevo alcuna voglia di spiegar le motivazioni per la quale stavo tanto male; quella volta permisi ai miei migliori amici di starmi accanto perché erano già a conoscenza di tutta la questione che mi aveva portato ad una sofferenza che mai avrei creduto di poter provare. Hoseok e Yoongi, a differenza di mia madre, avevano saputo comprendermi e supportarmi ma in egual modo furono in grado di lasciami degli ritagli di spazi che avevo necessità di avere.

"Jungkook volevo farti sapere che mi hanno appena dimesso, sto andando a casa di Hobi" mi fece sapere con un tono di voce abbastanza pacato; quella ovviamente era un'altra ragione per la quale eravamo rimasti in contatto malgrado mi sarebbe piaciuto evaporare come molecole all'interno di un bicchiere lasciato per troppo tempo al sole.

Il breve ricovero di Yoongi.

Il menta aveva ovviamente preso la decisione di lasciare Seoul con noi e sebbene stesse bene, lo avevamo pregato e poi quasi obbligato a farsi ricoverare in ospedale una volta rientrati a Busan e difatti così fece; passò una settimana sotto l'attento controllo di dottori specializzati e psicologhi che avevano confermato l'ipotesi di Yoongi. Ciò che io e Jimin avevamo scoperto in passato e ciò che lui aveva avuto modo di ricordare solo dopo il rude racconto di Taehyung era vero e non solo testimoniato dalle prove sanitarie e registrate in clinica ma anche convalidate dagli esperti analisti che lo avevano interrogato come se fosse un raro esemplare appena approdato sulla terra. Inizialmente sebbene quella questione a noi fosse risultata strana però ora avevamo colto il significato di qualcosa di cui eravamo rimasti all'oscuro per molto tempo; Yoongi aveva avuto problemi con il contatto fisico sin da quando lo avevamo conosciuto, per noi era solamente una delle tante caratteristiche della sua personalità ma a detta dei dottori era qualcosa di molto più profondo e complesso. Aveva da sempre avuto paura delle mosse troppo veloci e difatti a scuola non era mai riuscito a rendere nel boxing o in generale negli sport in cui bisognava lottare; non avevamo mai capito il motivo di quella sua fobia ma ora era tutto più chiaro.

Yoongi dopo il coma aveva finito per rimuovere parte della sua memoria al fine di difendere la struttura psichica del suo cervello; durante il ricovero avevamo avuto modo di comprendere appieno quella situazione grazie all'intervento dei medici. Ci avevano spiegato che quel bambino che era stato in possesso di un evento traumatico, aveva appositamente ma anche apparentemente dimenticato quella esperienza violenta nel tentativo di difendersi da quel ricordo che lo avrebbe poi negli anni portato a stare male tuttavia il suo subconscio non aveva mai dimenticato l'odio che provava verso il padre motivo per cui non erano mai andati d'accordo.

Tutti quegli eventi avevano reso quella questione finalmente chiara ma ora stava solo a Yoongi decidere come comportarsi con quella figura che da sempre aveva disprezzato, era tutto nelle sue mani e ovviamente sia io che Hoseok, l'avremmo appoggiato ad ogni sua decisione.

Ad ogni modo dopo quell'informazione, chiusi la chiamata poiché mi bastava sapere che stesse bene per tornare nel mio confortevole limbo e difatti mi ritrovai anche a dover rifiutare un paio di volte il loro invito; non ne avevo voglia e non mi sarei forzato di uscire finché non sarei stato un po' meglio dato che ero cosciente che poi non sarei stato in grado di mantenere vivo né alcun contatto e né alcuna conversazione.

Ero stremato sebbene non facessi nulla dalla mattina alla sera; mi ero preso una lunga pausa di riflessione, forse anche troppo lunga nel tentativo di mettere in chiaro le mie emozioni ma più cercavo di trovare le risposte dentro di me e più le mie domande aumentavano. Non riuscivo a parlare con nessuno, non usciva la voce e non riuscivo neppure più pensare, la mia mente non era più in grado di formulare delle frasi di senso compiuto poiché l'unica cosa di cui sentivo davvero il bisogno era sparire completamente. Non volevo vedere nessuno, neppure il mio riflesso allo specchio. Avrei voluto chiudere gli occhi e addormentarmi con la musica nelle orecchie, le tempie doloranti dall'insopportabile mal di testa e gli zigomi bagnati dalle troppe lacrime cosicché non fossi stato più in grado di capire nulla.

Era quello che avrei voluto più in assoluto; non farmi più colpire da nessun tipo di sofferenza e pian piano scomparire per sempre.

Avrei voluto andare via, non mi bastava più rinchiudermi in camera per non vedere nessuno o per fingere che tutto quello che da sempre mi era stato attorno, da un momento all'altro, non esistesse più. Non era stato sufficiente isolarmi da tutti poiché il dolore non era solo causato dalle persone a me al mio fianco ma era un dolore che avevo creato io; quel dolore aveva ormai un valore intrinseco, era parte di me, della mia mente e persino delle mie ossa. Io avevo fomentato tutto quel male all'interno del mio corpo tanto da non voler mangiare, tanto da farmi venire l'ansia ad ogni rumore attorno a me, quel male si era ormai trasformato nella mia essenza e non sapevo come cacciarlo via.

Avrei dovuto reagire prima che le cose peggiorassero ma il buio era talmente ampio che non sapevo dove posizionare i piedi nel tentativo di non cadere, non sapevo più dove fosse l'interruttore della luce e non sapevo dunque come migliore quella situazione avvolta ormai dall'oscurità.

I giorni erano passati come un battito di ciglia, erano giornate tutte uguali; nulla cambiava mai e forse non ero neppure più intenzionato a voler cambiare quelle ore colme di niente.

Mi sentivo in gabbia, una gabbia che veniva chiamata casa e nella quale io mi obbligavo a stare poiché non ero intenzionato nemmeno più ad uscire, stavo male come non ero mai stato prima e persino la luce del giorno mi metteva a disagio; sentivo un peso al petto, mi faceva male lo stomaco e gli occhi mi bruciavano dal continuo pianto.

In quei giorni avrei voluto provare a metabolizzare tutto quello che era successo nel tentativo di superarlo e andare definitivamente avanti tuttavia non ne ero stato in grado, al contrario credevo di aver peggiorato le cose all'interno del mio animo.

Per un'attimo la mia mente sembrò partorire una possibile soluzione come quando ai personaggi dei cartoni animati si accendeva una lampadina al di sopra della propria testa, allo stesso tempo però sentivo di essere bloccato dalla paura di poter compiere un tale gesto. Credevo sul serio di dover superare la storia che avevo intrapreso con il figlio dei Kim ma per farlo era come se avessi bisogno di un altro fattore, volevo un motivazione in più per la quale avrei dovuto scappare da lui.

Era come se sapere dell'omicidio non fosse sufficiente, avrei voluto vedere quel crimine con i miei occhi per poter disprezzare Taehyung appieno tuttavia non potevo di certo tornare indietro nel tempo. Avevo bisogno di vedere o di toccare le prove di quell'atto tanto disumano ma non sapevo dove avessero sepolto il corpo del padre, così pensai che possedessi un'ultima via da imboccare.

Non mi rimaneva altro che cercare e recarmi alla villa nella quale il piccolo Taehyung aveva vissuto sino alla morte dei suoi genitori, la stessa che aveva nominato durante la sua confessione per le strade buie di Seoul. Non aveva detto nulla a riguardo ma sapevo che non sarebbe stato difficile trovarla in qualche maniera: era la stessa villa in cui non solo avevano abitato i celebri e rispettabili imprenditori Kim ma anche quella in cui per anni erano state organizzate degli invidiabili veglioni e delle straordinarie ricorrenze che probabilmente nessuno avrebbe mai dimenticato.

Mi bastò davvero poco per reagire alla mia stessa idea e secondo poi per potermi mettere all'opera.

Percepivo la necessità di compiere quel passo per potermi sentire meglio e difatti solo qualche oretta dopo, senza un motivo ben preciso, uscii di casa e mi recai nella scena del delitto.

Era come se ancora non credessi alle parole che mi erano state dette e così mi convinsi di aver bisogno di vedere con i miei occhi la concretezza di quello che Taehyung mi aveva rivelato.

Il tragitto fu più duro di quanto avessi mai potuto immaginare; quella villa non era affatto vicino casa mia e per qualche istante credetti di svenire per la troppa stanchezza. Forse perché non ero più abituato a tanta fatica o forse per il fatto che non mangiavo bene da giorni, mi sentii sfiancato da quel percorso e mi parve il più arduo che avessi mai intrapreso, per un attimo credetti di non riuscire a raggiungere la mia meta e avvilì anche mentalmente.

Una volta pentito di quella scelta, mi ritrovai a chiedermi il motivo per cui avevo deciso di compiere un gesto di quella portata e l'unica ragione che mi venne in mente, fu quella di capire se ciò che mi aveva detto combaciava al vero ma soprattutto volevo sapere se ci fosse altro, dietro tutta quella storia, che ancora non sapevo.

Durante il cammino mi ritrovai a rammentare tutte le volte in cui Taehyung si era definito un mostro e anche tutte le volte in cui dinnanzi a me, aveva perso il controllo finendo così in una rissa che lo avrebbe tranquillamente portato ad avere un altro morto sulla coscienza.

Insieme ai miei passi, anche i miei pensieri si fecero sempre più cupi e difatti avevo talmente fatto vagare la testa, che non mi ero neppure accorto di essere arrivato a destinazione. Alzai lo sguardo quando mi ritrovai davanti ad un cancello arrugginito e riempii i polmoni d'aria quando vidi la bellezza ma anche l'opprimente e malinconico aspetto di quella villa.

Pensai di dover scavalcare ma quando provai a spingere la inferriata, si mosse sola e difatti entrai nonostante il groppo alla gola.

Quando percorsi il viale abbandonato, mi sembrò quasi di poter vivere ciò che non avevo mai vissuto sulla mia pelle o con i miei occhi, motivo per cui cercai di riviverlo attraverso gli occhi scuri di Taehyung; il ricordo delle parole del biondo mi risuonavano nella testa da giorni e mi tormentavano l'anima poiché qualsiasi cosa facessi non riuscivo a superarle né tantomeno a dimenticarle. Mi faceva male ricordare il momento in cui si confidò con me, mi faceva male ricordare le frasi che aveva utilizzato e mi faceva male persino la maniera in cui aveva raccontato tutto; con quella sua solita espressione fredda e anche con una certa indifferenza che mi creava disturbo e che mi faceva credere che non fosse affatto pentito delle sue azioni passate. Tuttavia cercai comunque di rielaborare gli eventi di quella notte, non perché fossi un masochista che amava infliggersi delle affilate coltellate proprio sul petto ma al contrario perché volevo superare quel male, provando ad essere partecipe di tutto quello che era successo in quella casa.

Mi sentii uno sconosciuto e a tratti anche un ladro. Mi chiesi come fosse possibile che una villa tanto bella e rinominata fosse stata lasciata in quella maniera bruta e sconcia; probabilmente la scelta di non vendere ma nemmeno di non utilizzare quella grande casa, era stato volere del figlio considerato che quasi sicuramente non era stato pronto per lasciare andare quelle mura tanto familiari per lui ma neppure di continuare a viverci, almeno non dopo quello che aveva fatto proprio nel grande salone in cui approdai. Sarebbe stato molto più facile convivere con se stesso se non avesse avuto attorno a se delle stanze o dei mobili che gli avrebbero ricordato giorno dopo giorno tutto il male che aveva dovuto subire ma allo stesso modo tutto il male che aveva compiuto. Sarebbe stato meglio vivere in un posto dove semplicemente non ci sarebbero stati ricordi dolorosi.

Le condizioni della villa non erano malridotte, tutt'altro, per non essere abitata già da diversi anni era persino mantenuta bene: i pavimenti erano ricoperti di marmo bianco e lucido sebbene fosse ricoperto di tantissima polvere e da alcuni scatoloni vuoti lasciati lì per chissà quale ragione mentre altri, molto più grandi erano ricolmi di libri vecchi, probabilmente usati dal padre e da soprammobili inutili che qualcuno aveva sicuramente riposto all'interno di quei cartoni con il semplice scopo di rivenderli o solo spostarli. Le stanze che mi si presentarono dopo l'ingresso ampio e luminoso, furono ancora più belle di quella iniziale tuttavia ad ogni passo, l'ansia dentro di me aumentava a dismisura. Le pareti erano colorate da un giallo crema sottile, quasi impercettibile mentre le grosse finestre con le anti scorrevoli erano coperte da una tenda trasparente che lasciava entrare i raggi del sole e difatti riflettevano il colore stesso dei muri, donando così una lucentezza esagerata. Il soffitto invece era arricchito con simmetrie e dipinti che mi ricordarono l'essenza del biondino e la passione per l'arte che aveva confidato di condividere con la madre e difatti immaginai un piccolo bimbo curioso di conoscere tutti i personaggi disegnati sul proprio tetto e da quanto potesse essere affascinato nell'alzare la testa e ritrovarsi immerso in quello che era uno dei suoi interessi più grandi. Alcune stanze erano interamente vuote mentre altre parevano essere totalmente immacolate; sembrava viverci ancora qualcuno e il solo pensiero mi creò dei brividi lungo la colonna vertebrale.

Quando superai la cucina e la sala pranzo, tristemente rimasta con un solo tavolo e qualche sedia, mi si presentò il salone che era forse la camera più grande e spaziosa, la stessa nella quale erano presenti delle scalinate che avrebbero portato poi al piano superiore; non avevo alcuna intenzione di intrufolarmi anche nelle stanze più intime come la cameretta del giovane e adolescente figlio dei Kim e tantomeno nella camera da letto dei due imprenditori. Ancora fui colpito da un sgradevole sensazione poiché sebbene quella casa in quel momento fosse vuota, solo qualche anno prima erano accadute delle crudeltà inimmaginabili che mi metteva il terrore e una bruttissima nausea addosso; quelle pareti erano state testimoni di tutti quegli episodi e avevano vissuto tutto quel rumore per poi essere lasciate a marcire, avvolte in un silenzio che donava una pace e una serenità che non avevano mai provato prima.

Quella sensazione fu coperta per qualche secondo da delle cornici che trovai al di sopra di un mobile sporco, mi avvicinai e allungai la mano senza neppure prima pensarci. Ne afferrai una e riconobbi immediatamente la donna che era presente anche in una cornice riposta all'interno dello studio di Taehyung; era senza dubbio la madre ma in quella determinata foto non era sola, bensì affiancata da una figura maschile che doveva sicuramente essere il marito. Mi ritrovai a guardarlo con disprezzo ma neppure qualche secondo dopo mi ritrovai a scorgere delle impressionanti somiglianze con il figlio: era un bell'uomo e pareva essere tutto d'un pezzo, così proprio come mi appariva Taehyung. Aveva gli occhi scuri e con una forma tagliente, le labbra erano carnose e i capelli lisci e castani, era molto alto e la sua figura era ben slanciata forse anche grazie al pantalone largo e a vita alta che indossava, era di un beige scuro così come la giacca che ricopriva quasi del tutto la camicia bianca che stava al di sotto, aveva una mano in tasca e quel portamento elegante e curato nei minimi dettagli, mi sembrò uguale a quello del mio biondino.

Trovai più similarità con il padre che con la madre ma questo mai mi sarei permesso nel dirlo poiché sapevo l'odio che provava nei suoi confronti e difatti nemmeno qualche secondo dopo, mi ritrovai a provarlo anch'io, tanto che dovetti lasciare la cornice come se attraverso quel semplice tocco mi fossi appena scottato. I miei occhi però continuarono a vagare di fianco a quella e notai tutte le altre foto che ritraevano un piccolo, basso ma soprattutto ancora un puro e ingenuo bambino dai capelli scuri; per me Taehyung era da sempre stato il mio biondino poiché quei capelli luminosi e setosi lo avevano caratterizzato sin dal primo istante e lo avevo soprannominato in quella maniera non solo perché mi aveva proibito di conoscere il suo nome ma perché erano talmente singolari che li avrei riconosciuti anche in una folla di persone. Non riuscivo a riconoscerlo con i suoi capelli naturali ed era come se quel colore sancisse il cambiamento di Taehyung, non avevo mai conosciuto la parte buona di lui ma avevo conosciuto la sua anima già macchiata, se inizialmente avevo creduto di poter cancellare quella macchia dal suo cuore adesso avevo una paura fottuta di aver macchiato anche il mio, motivo per cui volevo far qualcosa per dimostrare a me stesso di non far parte di quel crimine.

Dovevo mettere un punto definitivo alla storia con Taehyung ma prima di poterlo fare, avevo bisogno di altre risposte poiché non averle, mi avrebbe portato a macinarmi il cervello ed era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento. Improvvisamente e senza alcun controllo delle mie mani, mi misi a tastare al di sopra dei mie indumenti in cerca del cellulare poiché d'istinto e per la prima volta dopo tanti giorni, mi ritrovai ad avere la necessità di sentire la voce di quello che in teoria continuava ad essere il mio ragazzo.

Scorsi la rubrica sino a trovare il suo numero; sospirai prima di prendere una decisione ma alla fine cedetti e premetti la cornetta cosicché il telefono di Taehyung, dall'altra parte della città, avesse potuto squillare con il mio nome sopra.

Lo stomaco prese a bruciare tutto d'un tratto mentre la mia gola si seccò. Provai a deglutire ma non vi fu alcuna traccia di saliva all'interno della mia bocca e così provai semplicemente ad inumidirmi le labbra prima di cominciare a parlare, poiché sapevo di doverlo fare così come sapevo che avrebbe accettato quella chiamata. Per un'intera settimana mi ero ritrovato a leggere messaggi in cui mi pregava di vederci o di chiamarlo, non l'avevo mai fatto poiché non mi sentivo ancora pronto ma ora che avevo trovato il coraggio di compiere quel passo che Taehyung stava impazientemente aspettando, ero cosciente che da li a poco avrei sentito la sua vicinanza poiché lui non si sarebbe mai fatto scappare quella mia accortezza. Né io e né lui eravamo mai stati abituati al distacco o alla rispettiva lontananza, eravamo sempre stati insieme anche nei momenti più brutti o nei momenti in cui non regnava affatto la pace, dunque quella per noi era stata la prima volta motivo per cui io avevo una paura fottuta di sciogliermi come neve al sole, la solo rumore della chiamata accettata.

"Jungkook" avevo sentito dall'altra parte della cornetta solo dopo un paio di squilli e il cuore mi si fermò d'un tratto, sgranai quasi gli occhi nel sentirlo di nuovo poiché solo tramite quella parola riuscii a sentirlo vicino a me, di nuovo, dopo tanto tempo. Per un momento tutta la mia rabbia era svanita poiché se avesse risposto un banale e consueto "pronto" allora avrei stretto i denti e avrei sfogato la mia frustrazione nel giro di qualche secondo ma il fatto che mi avesse chiamato per nome, mi riaprii una ferita ancora troppo grande e sanguinante. In quei giorni di lontananza non avevo fatto in tempo a rimarginarla e faceva talmente male che non ero neppure riuscito a disinfettarla per paura di poter peggiorare le cose, aspettavo solo che si chiudesse da sola e che si formasse una cicatrice così ampia che non avrei mai dimenticato. Il mio nome pronunciato dalle sue labbra rimaneva il suono più bello che potessi mai sentire, ancora più bello dei suoi gemiti o delle parole dolci che mi aveva riservato; quel nome detto da lui mi faceva sentire vivo poiché mi rendeva partecipe di qualcosa. Era come se esistessi davvero tramite quel suo richiamo probabilmente perché avevo cominciato a vivere dal momento stesso in cui mi aveva conosciuto e chiamato ma allo stesso tempo mi aveva ricordato tutto quello che eravamo stati e tutto quello che non avremmo più potuto essere.

"Jungkook ci sei? Stai bene?" la sua voce non era la stessa di prima, non era quella che riconoscevo io sebbene le sue parole mi ricordassero lui. Il suo tono era preoccupato, turbato da quella mia improvvisa telefonata e la sua voce tremava ma non potei capire se fosse per l'emozione di quel mio gesto o solo per la sorpresa di ciò che non si aspettava. Taehyung aveva provato a contattarmi diverse volte, aveva usato i messaggi, le chiamate insistente e l'aveva fatto anche con il cellulare di Jimin, credendo forse che avessi bloccato il suo contatto e sebbene da un lato avessi voluto farlo, dall'altro non ne trovavo il coraggio poiché non ero ancora pronto per sancire una fine. Non volevo mettere un punto, al contrario avrei voluto vedere sino a dove si sarebbe spinto e cosa mi avesse detto se avessi continuato con quel fastidioso gioco del silenzio; mi veniva naturale non rispondere poiché dentro di me non ero pronto per affrontare una discussione o anche solamente sapere cosa lui avesse da dirmi con un tale urgenza tuttavia non ero in grado di cancellarlo completamente dalla mia mente e dalla mio quotidianità. Una parte di me era felice di ricevere quelle attenzioni da parte sua e non avrei mia voluto che finissero poiché mi faceva capire e mi ricordavo ogni volta che afferravo quel dispositivo, che ancora lui mi pensava e che era desideroso di avermi di nuovo.

Quel pensiero mi faceva star bene, era come se mi desse soddisfazione quella sua voce tremolante eppure dentro di me mi sentivo uno schifo poiché ero consapevole di essere un vero e proprio egoista nel gioire di quella sua condizione; non che mi piacesse vedere o sentire Taehyung star male ma solo l'idea che stesse soffrendo per quello che mi aveva fatto, un po' mi appagava e mi dava quasi conforto. Mi rendeva meno solo in quel turbine di sofferenza che pareva essere senza fine e mi piaceva pensare che condividessimo quel tipo di dolore, anche se non riuscivo più a comprendere se fossi io o se fosse lui il colpevole di tutta quella situazione, allo stesso tempo cominciavo a chiedermi se fossi io, un problema tanto quanto lui.

Passarono solo diversi secondi dal suo richiamo ma a me parvero infinte ore in cui ci accontentammo anche del silenzio pur di stare insieme, pur di sentire i nostri respiri tramite la cornetta che separava tutta quella distanza che avevo cercato di costruire durante quei giorni che parvero però, meno lunghi di quell'attimo che condividemmo nella speranza di dirci tutto quello che non eravamo mai stati in grado di dire ad alta voce. Se da un lato lui sperava in una mia parola, che fosse buona o cattiva io dall'altro cercai di ricordare il motivo per cui avevo digitato il suo numero che ritraeva la dolce foto che si era scattato nel suo studio dopo che avevamo per la prima volta compiuto quel gesto che ci aveva unito in una maniera ancora più profonda; ricordavo perfettamente quel giorno e il modo in cui mi aveva fatto sentire tuttavia non mi focalizzai nell'ammirare quella fotografia poiché sennò non avrei mai più trovato la forza per poterlo sentire. Ad ogni modo alla fine cedetti e per quanto avessi voluto sin da subito parlare e riversare tutto il mio odio verso di lui, sentimento nuovo che credevo non avesse mai potuto far parte della mia essenza, era bastata una sola parola per farmi sciogliere tutte le viscide del mio corpo.

Il mio cuore era da sempre stato gelatina dinnanzi a lui a differenza del suo, di marmo in cui mi ci scontravo ogni volta che provavo ad avvolgerlo.

"Dimmi la verità Taehyung" avevo creduto di poter risultare forte e deciso tramite quell'avvertimento, avrei voluto che quelle parole uscissero più come un ordine o almeno era quello che avrei voluto notasse tuttavia il mio tono somigliò moltissimo a quello che aveva usato lui precedentemente. Avevamo gli stessi sentimenti in corpo ed erano gli stessi che si riversavano in ogni nostra frase o in ogni nostro gesto.

Avrei tanto voluto chiedergli come stesse, volevo avere la conferma che anche lui come me era stato male e continuava a stare male per ciò che era accaduto e per ciò che entrambi eravamo riusciti a rovinare, dopo tutti i sacrifici e i passi avanti che avevamo compiuto nel tentativo di essere felici insieme. Avevo paura che da un giorno all'altro avessimo potuto prendere coscienza che non eravamo fatti per completarci, che sarebbe stato meglio dividere le nostre strade per sempre e che per stare bene non avevamo bisogno l'un dell'altro.

"Te l'ho già detta tutta Jungkook" si giustificò ancora prima che potessi porgli una domanda e ancora una volta il mio cuore fece le capriole nell'udire il mio nome, fuoriuscire dalle sue labbra. "Ma proprio come ho sempre creduto non eri affatto pronto per scoprirla né tantomeno per poterla sopportare" sussurrò facendomi finalmente innervosire e quasi sorrisi poiché era quello di cui avevo bisogno in quel momento; volevo che i nervi si impossessassero del mio corpo e che lo guidassero nella scelta più giusta poiché sicuramente sarebbe stato più facile per me parlare senza dar adito ai miei sentimenti di decidere per me.

"Hai ucciso solo tuo padre?" trovai il coraggio di dire.

Quella domanda mi stava tormentando il cervello sin dall'istante in cui avevo scoperto tutto quello che aveva fatto; la paura si era impadronita dei miei pensieri e persino della considerazione che da sempre avevo avuto nei suoi confronti. Non riuscivo a vederlo più con gli stessi occhi con cui l'avevo sempre guardato e quella sensazione mi soffocava, i dubbi diventarono eccessivi e insopportabili da sopportare e mi rendevano vittima di un'angoscia che non credevo di meritare. Nella mia testa ero cosciente di aver commesso degli errori ma in cuor mio avevo la coscienza pulita, sicuramente molto più della sua e avevo il timore che se avessi ancora condiviso la mia quotidianità con lui, avrei potuto macchiarmela. Volevo prima capire se valesse la pena compiere quel passo pur di averlo nella mia vita, ero davvero pronto per rinunciare a tutti i miei ideali per l'amore che dicevo di provare nei suoi confronti?

In quei giorni ero persino arrivato a chiedermi se lo amassi sul serio o se fossi solo convinto di amarlo dopo tutto quello che avevamo passato insieme; avevo provato a ripercorrere tutta la nostra storia in modo logico e pensai che forse non era vero amore quello che mi legava a Taehyung. Quell'ipotesi mi fece male ma mi fece anche tanto riflettere: sin dal primo giorno lui aveva fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare per farmi innamorare e probabilmente se qualcun altro si fosse comportato con me in egual maniera, mi sarei innamorato lo stesso. Con il cuore che tremava ma anche con la rabbia ancora in corpo, arrivai alla conclusione che io non ero realmente innamorato di Taehyung ma ero solamente tanto invaghito dei suoi atteggiamenti misteriosi che alla fine mi avevano portato a fari credere di essere innamorato; la verità era che aveva ammaliato la mia anima fragile tramite quello che mi aveva detto e tramite tutto quello che aveva fatto per me.

"Che stai supponendo?" domandò e conoscendolo, potei intuire che anche lui stava iniziando ad innervosirsi e quasi sicuramente quella chiamata avrebbe preso una svolta che non avrebbe aiutato nessuno dei due o forse avrebbe solo peggiorato le cose.

"Voglio sapere se hai ucciso qualcun altro" dissi serio e fermo nella finalità di mettere fine a tutti i miei pensieri ambigui che non mi lasciavano più vivere sereno.

"Hai paura di me Jungkook?" chiese e potei immaginarlo socchiudere quei suoi occhi taglienti e tanto infidi che mi misero i brividi sebbene in realtà non li avessi visti. Non rispose al mio quesito e continuò così a lasciare quel dibattito aperto non facendomi capire però se l'avesse fatto poiché voleva evitare di dare una risposta o se fosse solo tanto mortificato e quasi umiliato da ciò che gli avevo chiesto.

Sarei tanto voluto rimanere concentrato su quella conversazione ma la mia testa era sempre solita a vagare in continuazione, facendo nascere dentro di me sempre mille e dubbi nuovi. Ero il peggior nemico di me stesso e se avessi continuato con quel tono ma soprattutto con quel modo scortese avrei finito per diventare anche il suo nemico e non solo l'idea mi spaventò poiché non avrei mai voluto che accadesse, specialmente dopo quello che avevo scoperto su di lui. Un brivido percorse il mio ventre e capii che quello che mi frenava di più nel perdonarlo o anche solo nell'avere una sana ed equilibrata discussione con lui, era la fottuta paura che avevo nei suoi riguardi; forse nel fondo delle mie emozioni sapevo che non avrebbe mai potuto farmi del male ma la ragione continuava a ripetermi che se era stato capace di farlo una volta, avrebbe potuto rifarlo ancora ed io non volevo che quella relazione terminasse in una maniera tanto bruta e infelice.

In ogni caso se l'avessi lasciato andare per la sua strada, saremmo comunque rimasti infelici per sempre l'uno senza l'altro, quindi cosa avrei dovuto fare?

Sembrava che non ci fosse alcuna maniera per poter sfuggire al dolore e nonostante provassi a guardare la nostra storia da diversi punti di vista, continuava a sembrarmi offuscata e senza alcun futuro e anche quando provavo ad immaginare differenti versioni di quello che saremmo potuti essere, mi ritrovavo a far finire male tutte le versioni.

Ancora una volta, forse anche per l'ultima, la mia testa tornò al giorno in cui lo conobbi e tutto ora mi sembrò più chiaro; credevo di aver trovato una persona da aiutare ma allo stesso tempo una persona che avesse potuto aiutare me. Taehyung pareva essere tutto quello che da sempre avevo cercato sebbene non lo stessi cercando sul serio; il suo sguardo colmo di emozioni positive e negative mi aveva stregato come se le sue iridi fossero un miscuglio di pozioni che avevano avuto in me un effetto incantatorio al primo sguardo mentre i suoi tocchi erano per me pura magia eppure qualcosa dentro di me continuava a ripetermi che non dovevo fidarmi di lui. Ero sempre stato combattuto tra due pensieri contradditori che mi rendevano confuso e incerto tanto da farmi scoppiare la testa, considerato che non ero mai stato in grado di decidere quale tra le due avesse potuto evitato uno sbaglio che probabilmente sarei finito per portarmi dietro per il resto dei miei giorni: uno di questi prevedeva di non affezionarmi a lui, di non aiutarlo affatto poiché poi lui avrebbe potuto rovinarmi ed io a differenza sua non avrei avuto nessuno al mio fianco, che avrebbe potuto aiutarmi da una tale caduta mentre l'altro pensiero mi consigliava di fidarmi di lui, non avrebbe potuto farmi del male e di lasciarmi andare, forse per la prima volta nella mia vita, alle emozioni che la sua vicinanza mi scaturiva e senza neppure accorgermene avevo già scelto su quale delle due opzioni affidarmi.

Allora avrei tanto voluto fare la scelta giusta e per qualche tempo avevo anche creduto di averla fatto tuttavia ora avevo compreso di aver fatto quella sbagliata e che ancora avrei dovuto pagarne le conseguenze. Mi sentivo uno stupido poiché sin da subito il mio istinto mi aveva avvisato sulla sua persona ma avevo appositamente messo quella mia convinzione nel dimenticatoio pur di non farmi influenzare da tutto ciò che la mia testa cercava di dirmi: Taehyung quel giorno in metropolitana non mi aveva di certo fatto una bella impressione ma con il tempo, aveva fatto in modo che cambiassi idea sino ad apparirmi perfetto.

Se avessi potuto vedere quel Taehyung con gli stessi occhi con la quale lo guardavo adesso, mi sarei subito accorto di quanto fosse tossico per me un tale rapporto, malgrado quella consapevolezza e quella attuale convinzione però ora ero troppo coinvolto per poter stoppare quella relazione che appariva malata ad ogni angolazione esistente. Non era rimasto neppure un solo fattore positivo o salvabile di quello che avevamo creato, avrei dovuto gettare tutta la frequentazione e persino quella relazione alla quale mi ero aggrappato con le unghie e con i denti per tornare a stare bene e mi sentii uno stupido nel non riuscire a compiere quel passo.

Tornando indietro mi resi conto di quanto il mio iniziale pensiero non fosse andato molto lontano da ciò che era realmente Taehyung e soprattutto capii quanto giusta fosse la sua stessa definizione, nei propri confronti: il mio bellissimo e affascinante biondino era davvero il mostro che aveva detto di essere.

Quella sera non riuscii a comprendere se Taehyung fosse davvero un mostro con il viso di un angelo o se fosse solamente un angelo con il viso di un mostro, purtroppo però quello non ero mai riuscito a comprenderlo. Sapevo potesse essere entrambi, alle volte era uno mentre altre volte era l'altro ma in tutte e due le versioni eccelleva in una maniera impeccabile.

"Non credo di doverne avere più" sussurrai a quel punto rispondendo alla sua domanda, con un dolore indescrivibile al petto.

"Che vuol dire?" chiese nervoso. "Che se l'avessi saputo prima avresti provato paura nei miei confronti?" parlò ancora forse intuendo già la risposta e potendo immediatamente cogliere il punto della mia discussione.

"No, sto solo dicendo che non c'è più bisogno di provare paura nei tuoi confronti" scrollai le spalle anche se non poteva vedermi. "Ma in generale io non voglio più provare nulla per te" confessai con un senso di repulsione. Era senza dubbio la rabbia e la delusione a parlare per me ma mi accontentai perché in fondo era quello che avrei voluto che anche la mia ragione fosse d'accordo con quella mia decisione; non volevo più dare spazio a Taehyung, neppure un solo ritaglio della mia vita.

"Jungkook non capisco dove vuoi arrivare" continuò facendosi prendere dal panico.

"Io ritorno alle mie abitudini Taehyung" trovai finalmente il coraggio di dire, riferendomi alla vecchia vita che conducevo. Una vita che sarebbe risultata vuota, senza senso e a tratti anche banale e noiosa poiché ovviamente quella vita, che mi pareva di aver dedicato tutta a lui, non comprendeva la presenza di Taehyung. "Farò finta di non averti mai conosciuto, io non posso più vederti" dissi ancora cercando di mettere una fine a quella tortura.

"Non puoi o non vuoi?" domandò forse speranzoso di potermi far cambiare idea. "C'è una grande differenza"

"Non ha alcuna importanza adesso" dissi semplicemente per poi allontanare il dispositivo dal mio orecchio, lo guardai come se stessi guardando il suo viso e qualche secondo dopo, portai un dito per poter cliccare la cornetta rossa cosicché avessi potuto chiudere definitivamente quella chiamata, che indicava anche una definitiva chiusura alla mia storia con lui.

"Addio Taehyung"

Spazio Autrice

Non potete capire la difficoltà nel scrivere questo capitolo, spero vi sia piaciuto e mi scuso per il ritardo ma non avendo più bozze, impiego molto più tempo ad aggiornare.

Lasciate un commento se vi va, un bacino.

GRAZIE PER LE 25 MILA VIEWS <3

-Federica

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