64. La soluzione
Il cambiamento delle persone era spesso dovuto ad un brutto trauma o ad una voglia personale di volersi in qualche modo migliorare o riscattare; c'era qualcos'altro però che portava a modificare l'essenza di una persona ed era la presenza di un segreto all'interno del proprio animo. Ero certo che tutti portassero il peso di un qualsiasi segreto, come tale non vi era alcuna intenzione nel rivelarlo e difatti quella notte sia io che Jimin finimmo per cambiare per sempre.
Quel gesto che avevo compiuto, aveva per volere mio, coinvolto anche il mio migliore amico e dunque aveva paradossalmente rafforzato il nostro legame. Era bizzarro poter dire che ero felice che quel segreto avrebbe potuto tenerci legato per il resto dei nostri giorni e che ci avesse unito maggiormente, ovviamente però avrei di gran lunga preferito e scelto un altro modo per tenerlo stretto a me.
Era tossico quel pensiero di possessione nei suoi confronti però ero anche cosciente del fatto che in passato non fosse quella la mia reale intenzione, io volevo solamente essere aiutato. Volevo qualcuno di cui potermi fidare in maniera incondizionata ed ero certo di poter fare affidamento su di lui ma del resto era anche la prima persona che mi era venuta in mente e soprattutto l'ultima a cui potermi rivolgere davvero. Oltre lui non vi era nessun altro, malgrado quella costatazione però non ritenevo Jimin l'unica scogliera su cui appigliarmi bensì l'unica su cui avevo voglia di appigliarmi davvero e quel volere faceva la differenza. L'arancione si era sempre dimostrato parecchio indulgente nei miei confronti, alle volte anche misericordioso come se gli facessi pena eppure gradivo le sue premure non richieste e ancora di più l'affabilità delle mie pretese.
Forse quel suo atteggiamento non dipendeva affatto da me; era semplicemente quello che era tenuto a fare un buon amico e Jimin decisamente lo era mentre io a differenza non credevo di esserlo. Jimin rappresentava per me un'immensa colonna; quella che mi sosteneva più di qualsiasi altra cosa e appariva stabile persino più della stessa terra che toccavo con i piedi. Lo avevo sempre saputo sin dall'infanzia, quell'avvenimento però era riuscito a dare una conferma a tutto ciò che avevo sempre creduto verso di lui e il nostro legame; ero consapevole che avrebbe potuto tranquillamente spargere del sale sulla mia ferita per causarmi più male ma non l'aveva mai fatto, al contrario aveva provato a curarla cercando di starmi accanto e cercando di trovare una soluzione attraverso quel silenzio e quel rispetto che mi donò in maniera del tutto naturale.
Era una situazione completamente nuova e terrificante per entrambi, lo sarebbe stato per chiunque ma specialmente per due adolescenti che andavano ancora a scuola e che non avevano mai dovuto affrontare alcun tipo di problemi, considerato che erano spesso protetti dalle figure di quei genitori che erano soliti a trattare i propri figli come due principini, continuamente avvezzi alla comodità e alla fortuna.
Lui era senza dubbio come me e lo determinava non solo l'amicizia che legava le nostre ricche famiglie ma anche il fatto che i genitori di Jimin fossero i dottori più bravi e rispettati della Corea, tanto da instaurare un buon rapporto persino con mia madre, che preferiva avere unicamente relazioni lavorative piuttosto che intime. Avevano partorito il mio legame con l'arancione ma ora che a me non rimaneva più alcun componente della famiglia e allo stesso modo, ai genitori di Jimin non rimanevano più degli amici su cui contare, spettava a noi continuare ad alimentare e sviluppare quel rapporto.
Eravamo rimasti solo noi due: io e lui contro ogni cosa.
E così come accadde quella notte.
"Jimin che facciamo?" ogni volta che le parole provavano ad uscirmi di bocca, riuscivo a percepire dentro di me una una gran voglia di piangere. La voce mi si spezzava e non riuscivo a trattenere le lacrime sebbene mi sforzassi di farlo; mi veniva di getto, era più forte di me ma non potevo permettermelo.
Avevamo bisogno di una visione pragmatica della situazione, sarebbe stato imprudente agire frettolosamente motivo per cui ci prendemmo un tempo indeterminato per poter pensare sul da fare, allo stesso tempo però sapevamo di non averne abbastanza. Non dovevamo essere precipitosi poiché avrebbe solamente peggiorato quella condizione già parecchio inclinata ma non potevamo neppure distenderci sulle foglie d'alloro considerato che il sole sarebbe sorto a momenti e che presto qualcuno avrebbe messo piede in cucina.
Dovevamo far sparire quel maledetto cadavere.
Era assurdo come il corpo di mio padre continuava a procurarmi fastidio persino da morto, quel concetto non mi turbava molto tuttavia quando ricordai di averlo ucciso con le mie stesse mani mi vennero dei piccoli brividi sulla schiena. Cercai di non darlo a vedere, volevo essere più forte ma non riuscii a prendere una posizione, giusta o sbagliata che fosse, non ero in grado di prenderla poiché la testa mi scoppiava e non ero lucido abbastanza per poterlo fare. Volevo che Jimin mi guidasse interamente; pendevo dalle sue labbra e in ogni caso mi sarei affidato a lui visto che i miei pensieri in quel momento erano caotici e non avrebbero dunque portato a nulla di buono.
"Devi prima tranquillizzarti Tae, poi troveremo insieme una soluzione" parlò calmo, a differenza mia. "Devi darti una ripulita" consigliò abbassando lo sguardo sulle mie mani, copiai il suo gesto e protesi le mani sotto i miei occhi per poter capire a cosa si riferisse. Erano interamente ricoperte di sangue malgrado avessi precedentemente provato a ripulirle sul mio vestiario, tant'è che dando uno sguardo anche a quello, mi accorsi che era macchiato qua e là da un rosso fuoco che mi fece venir voglia di strapparmi i vestiti di dosso. Avrei voluto strapparmi anche la pelle e automaticamente mi venne di strofinare i palmi delle mani nel tentativo di eliminare quella sostanza liquida che era diventata appiccicosa e ruvida dai troppi minuti che erano trascorsi.
"No, Jimin ho come l'impressione che qualcuno ci stia guardando" mi lamentai voltandomi dietro di noi e cercando qualcosa che non c'era tra le tende della finestra.
"Non c'è nessuno a parte noi" constatò osservandosi in giro abbastanza sicuro di ciò che aveva detto; voltò la testa sia a destra che a sinistra come per attestare che non fosse presente alcuna persona, oltre noi due. "Beh si, in realtà ci sarebbe anche un'altra persona" mormorò riferendosi al cadavere all'interno della mia cucina.
Era surreale quella situazione ma era ancora più surreale il fatto che Jimin trovasse tempo di ironizzare anche in un contesto che ispirava soggezione come quello. Perché non condividevamo la stessa paura? Perché non era spaventato da ciò che avevo fatto? Qual era il suo segreto?
Non riuscivo a comprendere se fosse solo tanto stupido da non rendersi conto della gravità di quel momento, se fosse ammaliato dalla mia figura tanto da non reagire come invece mi ero aspettato oppure perché conoscendomi da anni, sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Io in quei minuti di completo subbuglio avevo apprezzato il fatto che non avesse giudicato le mie azioni o non avesse trovato neppure un secondo per urlarmi addosso e difatti scacciai i miei dubbi su di lui e mi ritrovai a ringraziarlo mentalmente, poiché di grida ne avevo a sufficienza nella mia mente.
Continuavo a pensare di essermi rovinato più di quanto non fossi prima tuttavia la presenza di Jimin mi rasserenava la coscienza. La verità era che macchiava anche la sua però per me era come dividerci quella grande fetta di colpa, ragion per cui mi sentii meglio tanto da riuscir a fare ciò che mi disse. Con le gambe tremolanti mi diressi nel bagno più vicino e come una calamita a me attratta: l'arancione mi seguii con un passo svelto come se avesse una paura fottuta di rimanere da solo con il morto.
Quando arrivai dinnanzi al lavabo mi poggiai con entrambe le mani sul bordo del marmo bianco e provai semplicemente a sospirare, venne fuori però una respirazione irregolare e del tutto incontrollata. Era come se stessi per avere un attacco di panico, sapevo che prima o poi sarebbe arrivata una reazione di quel tipo e sapevo anche che sarebbe stato fuori dal comune non averla.
Avevo appena tolto la vita ad una persona che aveva il mio stesso sangue, che mi aveva cresciuto e per quanto si fosse potuto comportare male con me in passato, rimaneva comunque mio padre, l'unico componente che rimaneva della mia famiglia. Guardandomi allo specchio per la seconda volta quella notte, mi sentii crollare perché realizzai in quell'istante che non mi rimaneva più nessuno.
Buttai un grido di dolore e a quel punto le mie gambe diventarono molli; avrei solo voluto piegare le ginocchia e stendermi per terra, proprio come il corpo di mio padre nella stanza accanto.
Dal riflesso dello specchio potei notare Jimin con un'espressione del viso che non avevo mai visto sulla sua faccia: era più impensierito e frastornato di quanto volesse far credere e mi focalizzai su quegli occhi pur di non lasciarmi cadere al di sotto del lavandino. Prima che potessi tirare su con il naso, le gocce mi rigarono le guance e mi poggiai completamente con le braccia difatti, abbassando lo sguardo non mi accorsi che i passi di Jimin si avvicinarono alla mia figura. Me ne accorsi solamente quando mi toccò la schiena in maniera delicata, un tocco quasi inesistente ma io l'avevo percepito e ancora di più quando le sue dita cominciarono a fare su e giù sulla mia colonna vertebrale.
"Non posso tornare indietro lo capisci?" piagnucolai pentito. "Sono rovinato"
"Ma possiamo sempre andare avanti Taehyung, lo so che può sembrarti una frase fatta ma è così" malgrado la fermezza che mise in quelle parole però non mi convinse affatto. Era impossibile farlo. "Io sono qui per te e ti giuro che ci sarò in ogni caso, qualsiasi cosa accadrà ti prometto che staremo insieme" non dubitavo di lui, mi aveva già dimostrato abbastanza per poterlo mettere in discussione e poi era l'ultimo dei miei pensieri. I suoi incoraggiamenti erano decisamente persuasi ma non erano fondati e quella concezione mi faceva paura più di qualsiasi altra cosa. "Possiamo ancora cavarcela" continuò spostando afferrandomi un braccio per farmi voltare verso di lui. Con entrambi i pollici mi asciugò le lacrime e poi con il palmo della mano mi accarezzò ancora sino alla mascella come per eliminare ogni parte bagnata del mio viso.
"Devi avere fiducia" disse aprendo il rubinetto e portando con un gesto delicato le mie mani al di sotto dell'acqua corrente. Parlava come se avesse già trovato una soluzione e così cedetti a quella supposizione malgrado non gli avessi chiesto alcuna spiegazione, d'altronde lo avevo chiamato perché volevo che mi aiutasse, che mi guidasse nel tentativo di uscire indenne da quel guaio e sembrava volersi prendere quel carico senza curarsi delle possibili conseguenze.
L'acqua mi sollevò leggermente ma non feci nulla per ripulirmi dal sangue, fece tutto Jimin e difatti il mio sguardo si concentrò solo sul suo volto, sui suoi lineamenti nel mentre che lui prese a strofinarmi le mani con le sue e il lavabo, dapprima perfettamente bianco, si riempì di acqua rossa e dunque di sporcizia. Me le lavò per bene con il sapone e facendo tanta schiuma mentre io cercai solo di scacciare le altre lacrime che minacciavano di uscire, prima di quel momento non sapevo nemmeno che si potesse provare tutta quella voglia di piangere. Non avevo mai versato tutte quelle lacrime prima di quel giorno, neppure per il funerale di mia madre.
"Come ti senti?" chiese semplicemente alzando le pupille. Aggrottai le sopracciglia a quella domanda perché anche uno sconosciuto avrebbe potuto intuire che stessi male, un male che prima di allora mi ero stato totalmente ignoto e un male che non sarei stato mai neppure in grado di spiegare a voce alta. Era come ricevere tante pugnalate al petto ma senza aver la possibilità di morire davvero, si riusciva a percepire ogni colpo ma non si poteva far nulla per sfuggirgli. Un dolore dovuto, inevitabile e lancinante che non avrei potuto dimenticare. "Non voglio che mi rispondi bene o male" specificò vedendo la mia reazione, poi si voltò per prendere un asciugamano e solo dopo aver rimosso le goccioline sulla sua pelle, me lo passò cosicché potessi fare lo stesso.
"Sei sollevato?" provò ad indovinare. Lui sapeva il rapporto che avevo con mio padre ed era anche a conoscenza di tutte le cose brutte che avevo dovuto subire a causa sua e forse quella insensibilità e quella sua calma era stabiliti proprio da quella cognizione. Non provava pietà verso quell'uomo spietato al contrario per me l'aveva sempre provata, ragion per cui mi sosteneva anche in quell'assoluta pazzia. "O sei solo spaventato dalle possibili conseguenze?" mi stava interrogando, studiando e mi sentii quasi costretto a parlargli del mio stato d'animo poichè un po' gli spettava ma d'altro canto, prima di agire avrei solo voluto starmene in silenzio.
Jimin mi fece semplicemente sapere quali domande gli echeggiassero per la testa ma non aveva, neppure per un secondo, preteso una risposta da parte mia. Aveva rispettato la mia scelta di non parlare e il mio desiderio di pace così ci sedemmo in un angolo del bagno e mi tenne per mano per tutto il tempo, non riuscii a identificarne la quantità ma mi sembrò di essere come caduto in un oblio di dimenticanza e di totale quiete con una sfumatura d'intensa protezione, che mi fece sentire quasi intoccabile.
Pensai molto alle parole di Jimin, il silenzio attorno a me aveva rafforzato il rumore all'interno del mio cervello e sebbene avessi voluto solo chiudere gli occhi e godermi quell'attimo di tranquillità; i rimorsi e le domande che io stesso mi porsi, non me lo permisero. Mi ritrovai non solo a ricreare un ciclo ripetitivo delle mie azioni precedenti ma anche a riflettere sulle questioni a me rivolte; se da un lato Jimin non voleva forzarmi a rispondere dall'altro sapevo di dover rispondere almeno a me stesso.
Ero davvero sollevato dalla morte di mio padre?
Strinsi la mano del mio amico ancora più forte e cercai di prendere coscienza di come mi sentivo realmente, di ciò che provavo all'interno delle mie viscere piuttosto che sulla semplice pelle.
Sospirai.
Era scontato che stessi reagendo male, che fossi spaventato o che provassi dolore fisicamente tanto quanto mentalmente perché probabilmente sarebbero stati sintomi che qualsiasi essere umano avrebbe provato dinnanzi ad una tragedia come quella. Non erano quelli i fattori che consideravo assurdi, piuttosto il fatto che il mio unico pensiero fosse rivolto al mio futuro: non mi importava che una persona fosse appena morta, né tantomeno che l'avessi uccisa a mani nude, non era quello il principale motivo della mia sofferenza ma in realtà il mio malessere era causato dalla paura di essere scoperto, dalla tensione di dover subire qualcosa a cui non ero pronto o essere punito per un qualcosa che non era affatto intenzionale ma che mi ero ritrovato a fare, quasi incoscientemente.
Il cognome Kim era tanto importante da evitarmi la galera? Era ovvio che no, niente e nessuno l'avrebbe potuto fare se non me stesso o una possibile soluzione che avrei prima dovuto ideare. Io rimanevo un criminale benché portassi il cognome più importante della Corea, magari le forze dell'ordine avrebbero anche chiuso un occhio se avessi avuto accanto a me la potente figura di mio padre che avrebbe persuaso persino il giudice che avrebbe dovuto dare la sentenza della mia pena. Quella figura però non poteva esserci, non poteva salvarmi perché la sua autorità non esisteva più. Avevo eliminato tutto quello che era stato mio padre ma non mi era sufficiente, volevo che nessuno lo ricordasse perché in fondo non volevo ricordarlo neppure io e secondo poi, volevo prendere il suo posto nel mondo.
In quell'istante credei di dover prendere il suo lavoro, la sua casa e i suoi colleghi e farli miei nel meglio delle mie possibilità, dovevo essere migliore di lui cosicché nessuno avrebbe rimpianto la sua assenza, nessuno compreso io che ero il figlio.
Dovevamo far sparire il corpo.
Dovevamo agire ma non ne ero ancora in grado. Mi mancavano le forze per poterlo fare in maniera pratica ma sapevo che fosse la cosa più giusta da fare. Non potevo mollare, dovevo demordere e prendere il posto di quell'uomo pregevole, far vedere alla mamma di essere in grado di poter gestire tutto quello che prima gestiva lui, di potermi espandere nel mondo più di quanto non avesse fatto lui; io avevo vendicato la morte di mia madre e adesso doveva rendere viva e significativa quella vendetta.
Lo dovevo a lei perché ero certo che non avrebbe voluto vedermi arrendere a quello sbaglio, dovevo reagire perché sapevo che era quello che mi avrebbe detto di fare e dunque mi ritrovai a credere fermamente alle parole di Jimin. Noi due insieme avremmo potuto farcela.
Avrei dovuto dire qualcosa, come per fargli capire di essermi ripreso leggermente dallo shock e di essere dunque pronto per compiere un passo più grande di entrambe le nostre gambe tuttavia un rumore esterno mi precedette.
Vi era qualcuno al di fuori di quel bagno? Qualcuno aveva beccato la disumanità che avevo compiuto? O era sempre e solo un'impressione proveniente dalla mia mente, dettata dalla paura?
Non riuscivo più a distinguere la realtà dalla mia inventiva.
Se qualcuno avesse messo piede nel mio salone si sarebbe sicuramente accorto di ciò che avevo fatto e poi sarebbero conseguiti i medici e infine anche le forze dell'ordine, non potevo espormi sino a quel punto ma non ero neppure in grado di sbirciare fuori la porta del bagno per controllare se ciò che avevo sentivo era fondato o meno. Quando voltai lo sguardo verso Jimin mi resi conto che aveva il mio stesso timore negli occhi e quindi realizzai che fosse la realtà.
Il respiro tornò ad essere veloce e nel giro di qualche secondo divenne anche irregolare; il cuore invece parve uscire dal petto mentre la saliva si ridusse a zero.
"Jimin..." bisbigliai talmente piano che parve più un rumore dettato dallo sfioramento delle mie labbra screpolate.
"Dovremmo andare a controllare?" chiese spostandosi dal muro e poggiandosi sulle ginocchia come se volesse iniziare a gattonare.
"E se fosse qualcuno del personale?"
"Non starai pensando di uccidere anche loro?"
"Jimin" lo richiamai poiché se fossi stato lucido non avrei messo fine nemmeno alla vita di mio padre. Io lo ritenevo un momento di completa instabilità, non sapevo ancora cosa fosse nello specifico poiché solo molto tempo dopo mi convinci ad andare in terapia e far studiare quel mio comportamento a qualcuno di più competente. Non avevo mai dato la colpa del mio gesto al mio disturbo mentale, sarebbe stato intollerabile considerato che allora non credevo manco di averla, però non attribuivo la colpa neanche al modo di agire di mio padre. Lui per anni si era comportato di merda con me ma questo non mi rendeva libero di spaccargli il cranio e mandarlo all'inferno prima del previsto eppure era proprio quello che avevo fatto.
Jimin in tutti quegli anni ma anche negli anni a seguire non aveva mai mostrato paura nei miei confronti, non temeva per la sua incolumità malgrado avesse visto di cosa fossi capace, però comunque appariva spesso preoccupato per me: per quello che avrei potuto fare verso me stesso o contro altre persone. Era stato lui a spingermi a fare una cura ed era stato sempre lui a fermarmi nei momenti bui in cui avevo preso la fissa di ferire il mio corpo per punirmi e per attenuare i miei ingovernabili rimorsi, che per anni mi avevano lentamente divorato.
Quel dannato errore che avevo compiuto quella notte mi aveva fatto perdere la testa per molto tempo, mi aveva letteralmente distrutto l'esistenza e tutta la quotidianità che avevo costruito negli anni adolescenziali e a volte mi ero ritrovato a pensare che cosa sarebbe accaduto se quella notte non mi fossi ritirato tardi a casa o se solo non avessi reagito alle sue solite brute maniere. Mi chiedevo se la mia vita sarebbe stata migliore o con la sua presenza sarebbe solamente risultata peggiore e molto più pesante da vivere.
"Taehyung ascolta" mi toccò con un dito come per richiamare la mia attenzione. "Ho pensato ad una soluzione ma devi fare tutto ciò che ti dico"
"Sono pronto a seguire i tuoi ordini ma ti prego levami da questa situazione" frignai vile ma al contempo preparato a svolgere tutto ciò che Jimin aveva organizzato nella sua mente. La mia volontà era contrastate dal mio stato d'animo ma mi convinsi che fosse una reazione normale.
"Allora seguimi" disse convinto e con una sicurezza che non avevo mai visto in lui. Portai una mano al petto e presi un respiro profondo prima di mettermi in piedi e uscire dalla porta del bagno, proprio dopo di lui.
I nostri passi erano lenti e ovattati come se avessimo indosso uno di quelle ciabatte ricoperte di pelliccia ed io camminavo leggermente curvo come se avessi paura che qualcuno sbucasse dalla parete per puntarmi il dito e incriminarmi per ciò che avevo fatto. Stavo volutamente dietro le spalle di Jimin; preferivo che andasse prima lui malgrado in tutta la mia vita non avessi mai avuto timore di niente e di nessuno, in quell'occasione mi ritrovai però a possederla in tutte le fibre del mio corpo. Era più forte di me, non potevo evitare di percepire tutto quel delirio dentro di me.
Le stanze erano ancora al buio e improvvisamente fui sollevato che nessuno avesse acceso le luci di casa, dimostrava che stavano ancora tutti a letto. Ma allora cos'era quel rumore che avevamo udito? L'avevamo sentito davvero?
Ad ogni passo la mia testa continuava a voltarsi sia a destra che a sinistra nel tentativo di scovare qualcuno prima che quel qualcuno potesse scovare noi, il cervello di una persona ansiosa poteva fare brutti scherzi soprattutto in seguito ad una catastrofe e considerato che io l'avevo appena commessa, avrei potuto mettere in conto che avessi immaginato tutto, tuttavia fui convinto di ciò che le mie orecchie avevano percepito poiché accanto a me vi era una persona che aveva percepito lo stesso. Non potevamo aver ideato quel rumore.
"C'è qualcuno?" osò dire Jimin e per un attimo ebbi timore che avesse potuto rispondere mio padre.
"Cazzo" urlammo entrambi all'unisono quando il grande cancello della mia villa si spalancò da solo con uno schianto, per poi richiudersi immediatamente facendo così ancora più rumore di prima. Ci girammo di scatto verso il graffiante baccano che ricreò il metallo dell'inferriata ma malgrado lo spavento, mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo. Jimin entrando in casa, aveva lasciato aperto il cancello che con il forte vento continuava a scagliarsi contro l'ingresso e in quel momento sebbene avessi voluto strangolarlo per avermi fatto venire un infarto, mi ritrovai ad essere grato del fatto che nessuno ci avesse ancora scoperto.
"Fanculo" imprecai rivolgendomi un po' anche a lui.
A quel punto Jimin senza alcuna esitazione si avvicinò a corpo già leggermente pallido di mio padre, s'inginocchiò e con un gesto della testa mi incoraggiò a fare lo stesso, solo che a differenza sua a me venne da vomitare solo nel guardarlo da due metri di distanza, tuttavia ricordando di ciò che mi disse qualche secondo prima, dovetti copiare quel gesto. Lo guardai riluttante e storsi il naso quando percepii già uno strano odore a cui non ero per nulla abituato, non poteva essere la decomposizione poiché era appena morto dunque probabilmente era forse l'eccesso di sangue che cominciava a emanare cattivo odore e difatti mi provocò anche un giramento di testa.
"Resta concentrato Taehyung" esclamò facendomi strizzare gli occhi. "Afferralo dalle braccia ed io lo afferro dalle gambe" spiegò.
"Che cosa hai in mente?" mi allarmai.
"Vuoi tenerlo come souvenir sul tuo salone?" domandò sarcastico ma un pizzico di nervosismo. Era normale avere i nervi a fior di pelle in una situazione come quella. Avevo la costante angoscia che qualcuno mi toccasse la spalle mentre ero girato dalla parte opposta o che peggio ancora mio padre ritornasse in qualche modo in vita. Sapevo non fosse possibile, il suo petto non si alzava e non si abbassava più, non respirava ed ero certo che se avessi avvicinato l'orecchio al suo cuore, mi sarei anche reso conto che non battesse più come invece faceva solo qualche minuto o qualche ora prima.
"Ma dove lo portiamo?" chiesi ancora frustato.
"Avevi detti che avresti fatto tutto quello dicevo quindi prendi quelle cazzo di braccia" mi urlò addosso e a quel punto non mi rimase altro che farlo davvero, con una smorfia dipinta sul viso misi le mani sotto le ascelle del cadavere e sollevai il suo peso, aiutato naturalmente dall'arancione che aveva che si era messo nel mezzo delle sue gambe per mantenerlo saldamente.
La testa di mio padre si rovesciò di un lato e quasi mollai il corpo per la paura che da un momento all'altro avrebbe anche a preso a parlare. Un brivido percorse la mia schiena solo all'idea di udire la sua voce, le sue cattiverie o anche il modo sgradevole in cui pronunciava il mio nome.
"Ok andiamo fuori" ordinò ancora e ancora io lo assecondai.
Mi sentivo sporco come mai prima di allora, lo ero realmente dal punto di vista fisico ma io mi sentivo sporco all'interno, dentro il cuore si spargeva a macchia d'olio una colpa di cui non volevo pagarne le conseguenze. Volevo insabbiare tutto e Jimin mi sembrò non solo d'accordo con la mia scelta ma aveva anche fatto lui il primo passo, ragion per cui trasferì la mia macchia anche a lui. Era accaduto nell'esatto momento in cui ci eravamo tenuti per mano.
Uscimmo, percorremmo il viale ben curato e inevitabilmente macchiammo qua e là l'erba, perfettamente tagliata, del giardino che circondava casa mia. Le sue movenze mi diressero verso il garage e riuscimmo ad entrare attraverso un piccola porta che conduceva all'interno, sbattemmo il corpo su quasi tutte le pareti, forse perché le nostre mani tremavano un po' dal freddo e un po' dalla tensione di assumersi un tale carico sulle spalle oppure forse solo perché non ci importava minimamente di donargli anche una briciola di riguardo.
Solo quando adagiammo il corpo per terra mi spazientii tanto da afferrare i bordi del cappuccio della sua grande felpa e lo strattonai, finalmente capace di alzare la voce, considerato che da quel luogo nessuno poteva sentirmi.
"Che cazzo ti passa per la testa? Vuoi dirmelo cazzo" gridai ad un centimetro del suo viso. "Sto diventando pazzo porca puttana" imprecai ancora ma mollai la presa e mi portai le mani sulla fronte, finendo per scompigliare i miei capelli. "Abbiamo solo peggiorato le cose, fuori ci sono le telecamere di sorveglianza, se qualcuno dovesse controllare i filmati mi beccheranno"
"Ci beccheranno" mi corresse come per ricordargli che lo avevo buttato su un fuoco rovente, sul quale si stava bruciando a causa mia. "Ma non lo faranno" si riprese subito dopo. "Cazzo Taehyung prima mi chiami e poi non ti fidi di me" si arrabbiò anche lui di conseguenza alle mie parole.
Sospirai e abbassai le armi ma come sempre non trovai il coraggio di scusarmi, quella caratteristica faceva parte della mia personalità.
"Faremo così" iniziò avvicinandosi di nuovo a me e mi stupii di tutta quella pazienza.
Cosa avevo fatto per meritare un tale angelo?
"Lasciamo il signor Kim qui per un attimo, nel frattempo andiamo a pulire il salone prima che qualcuno si svegli e noti il sangue o il vetro spezzato sul pavimento" iniziò mettendomi le mani sulle spalle, era un gesto che mi teneva concentrato. "Poi prendiamo le registrazioni, le cancelliamo e infine prendiamo la macchina e ci allontaniamo il più possibile" parlò con leggerezza, appariva sicuro di ciò che diceva e aveva la capacità di trasmettermi quella serenità malgrado continuassi ad avere un'immensa stizza per quello che avremmo dovuto fare. "So come sbarazzarmi del corpo" mi disse infine tenendomi sulle spine. "Ci resta poco tempo, dobbiamo farlo prima che sorga il sole" finì il suo discorso dandomi una pacca.
Sembrava quasi che gli piacesse la situazione in cui l'avevo messo, appariva come un protagonista di una serie televisiva e forse lo entusiasmava al contrario io, avevo avuto un notevole calo di adrenalina e dunque in quel momento sentivo di non avere più forze. Lui era l'unica che mi era rimasta, dovevo terminare quello che avevo iniziato malgrado le vertigini e il sudore che compariva sulla mia pelle, segno che la mia temperatura corporea si stava parecchio alzando.
Guardai l'orologio sul mio polso e mi accorsi che mancava davvero poco alla comparizione dei primi raggi solari, così pensai di dover accorciare i tempi.
"D'accordo ma sarebbe meglio separarci" annuii cercando di ricompormi. "Io mi occupo di ripulire il salone e tu delle telecamere" dissi senza aspettare una risposta e tornando in casa a passo svelto.
E difatti così facemmo. Tutto andò liscio, anche troppo.
Per la prima volta in tutta la mia vita avevo preso in mano una scopa per far sparire i cocci del vaso che avevo spaccato sulla nuca di mio padre, mettendoli in un sacchettino che avrei poi portato con me per non lasciare prove all'interno della casa. Malgrado quel gesto però continuai ad avere paura che qualcuno prima o poi avrebbe notato l'assenza di quel bene di lusso posto al di sopra di un mobiletto inutile, così proprio come tutto l'arredamento della mia villa. In quel caso avrei inventato una qualsiasi scusa ma d'altronde era l'ultima cosa di cui dovevo realmente preoccuparmi, per il resto non pensavo davvero che avrebbero notato una piccolezza di quella portata soprattutto quando avrebbero scoperto di una perdita molto più grande, che riguardava tutti i componenti della villa, tutti i cittadini del paese ma specialmente me.
Il povero e piccolo figlio dei Kim che aveva dovuto subire un'altra terribile morte.
Quello che per anni era stato il ragazzo più invidiato e fortunato del pianeta terra, ora era appena rimasto definitivamente solo. Orfano all'età di sedici anni.
Che pietà.
In seguito con dell'acqua e con il primo detersivo che trovai in bagno, sfregai il pavimento con le mie stesse mani e con una pezza bianca che nel giro di qualche secondo si era già macchiata di un rosso sporco che mi fece chiudere gli occhi per il dolore che provai allo stomaco. Io non avevo mai pulito nulla, non spettava a me farlo ma non era quella la causa del ribrezzo che provavo, piuttosto per ciò che stavo cercando di levare via. Era come se fosse il mio sangue. Quello era davvero il mio sangue, forse tra il suo vi era anche un po' il mio.
A quel pensiero mi controllai le nocchie: erano leggermente sbucciate oltre che doloranti dunque realizzai davvero che il suo sangue fosse mischiato il mio. Mi venne da vomitare di nuovo ma dovetti reprimere quella voglia poiché di certo non avrei voluto raccogliere anche la mia sporcizia, non perché fossi schizzinoso o altro ma perché rallentava il processo di recupero della mia coscienza, più tempo passava e più aumentava la possibilità di essere scoperto. Se nessuno mi avesse beccato, se fossi riuscito a scampare da quella trappola che io stesso avevo creato ero sicuro che avrei potuto dimenticare tutto quanto, il giorno dopo mi sarei semplicemente svegliato sul mio letto e avrei finto di aver agito all'interno di un sogno. Era tutto una finzione, frutto della mia immaginazione e che fosse dovuto alla mia immaginazione, al troppo alcool o al fumo che avevo assunto, poco mi importava. Avrei rivisto mio padre aggirarsi tra i corridoi della villa solo per raggiungere il suo grande studio e mentre io sarei stato in cerca di un contatto visivo lui neanche mi avrebbe notato o perché era troppo impegnato a leggere il giornale o perché stava tenendo una conversazione al telefono con qualche collega o socio con cui avrebbe dovuto concludere un progetto. Non era proprio quello che desideravo tuttavia l'avrei forse preferito piuttosto che vivere in quella grande casa da solo per sempre.
Cosa avrei dovuto dire agli altri? Avrei dovuto fingere di non sapere che fine avesse fatto mio padre? Dovevo prendermi le responsabilità di un adulto? Le stesse che aveva mio padre prima che morisse o mi sarei dovuto comportare sempre e solo come un ragazzino triste in cerca di compassione per tutto ciò che aveva dovuto sopportare? Odiavo tutte le ipotesi che mi echeggiavano per la testa ragion per cui provavo a scacciarle, sapevo che non fosse il momento giusto per pensarci e poi magari Jimin aveva la soluzione anche a quello. Mi affidai a quella ipotesi e dopo aver fatto tutto, raggiunsi Jimin che nel frattempo aveva calcolato le camere che avrebbero potuto registrare le nostre mosse sinistre e dunque aveva fatto in modo di eliminare quelle prove inconfutabili cosicché non avessimo potuto passare guai. Perciò dopo aver rimesso in sesto tutto quello che avrebbe potuto danneggiarci, come messo in conto in precedenza, ci ritrovammo entrambi in garage.
"E ora?" osai dire.
"Ora lo infiliamo dentro un sacco e poi lo mettiamo nel bagagliaio"
"Nel bagagliaio?" ripetei quasi contrario. "È pur sempre mio padre e anche il signor. Kim" ragionai a voce alta come se quello sarebbe stato un gesto poco carino da parte nostra.
"Ma è morto" esclamò sgranando gli occhi. "L'hai ucciso tu prima, ti ricordi?" domandò come se non avessi potuto provare commiserazione nei suoi confronti dopo quello che avevo fatto, gli avevo detto che non ero stato lucido e che non avrei davvero voluto farlo. Allora perché mi trattava come se fossi un'assassino? Lo ero e lo stava accettando prima che potessi accettarlo io? O forse era solo un presentimento proveniente dai miei sensi di colpa e dalla mia improvvisa inadeguatezza verso il mondo intero.
"Si" sussurrai.
Poi seguii ancora alla lettera le parole di Jimin.
Si fecero le cinque del mattino quando finimmo di fare tutto il necessario per poter finalmente lasciare casa e malgrado il sole non fosse ancora sbucato tra le soffici nuvole, mettemmo l'auto in moto. Le strade si sarebbero presto riempite di macchine e allo stesso modo anche il mio petto si sarebbe riempito di ansia. E se ci avesse fermato qualcuno? E se avessero visto in noi degli atteggiamenti o anche semplicemente degli occhi sospetti? Se avessero notato il sangue sui miei vestiti? Cosa sarebbe successo allora?
Erano quelle le paranoie che popolavano la mia testa.
Mi sentivo scoperto, nudo e disarmato in un mondo troppo esposto, allenato a trovare delle anomalie e dei peccati che avrebbero messo il prossimo in difficoltà. Io non sapevo se definirmi un peccatore o meno ma di sicuro non ero pronto a mostrare quel lato agli altri. Non ero pronto per affrontare le mie responsabilità o per pagarne le conseguenze, ragion per cui in quel momento avevo i nervi a fior di pelle. Sapevo di star cercando di mantenere una calma inesistente ma la verità era che avevo una gran voglia di spaccare ogni cosa.
"Non puoi guidare con un cadavere nel bagagliaio Jimin" gli feci notare alzando i toni e a quel punto l'arancione, forse per paura che qualcuno avesse potuto sentirci, premette sul pulsante posti sullo sportello, per poter chiudere i finestrini dell'auto, la quale prima facevano entrare un po' di aria fresca. La stessa aria che sebbene si infrangesse sul mio viso, facendomi così congelare la punta del naso e persino le ciglia degli occhi, non era mai abbastanza, difatti sembrava che non avessi sufficiente aria per poter respirare adeguatamente.
"Dobbiamo sbarazzarci del corpo" continuai a parlare malgrado sapevo che era proprio quello il nostro intento e il motivo per cui eravamo usciti di casa. Avevo il bisogno di dirlo ad alta voce, allo stesso tempo però Jimin non aveva bisogno di sentirselo dire, soprattutto perché l'idea di cui ci stavamo servendo era proprio frutto di una sua esposizione. "E poi anche di questa cazzo di macchina" dissi con la voce tremolante. "Il bagagliaio sarà tutto sporco di sangue" affermai infine mettendomi le mani sugli occhi, chiudendoli con la forza.
Era talmente tanto scontato che mi avessero scoperto, che tutto quello che stavamo facendo in quel momento mi parve completamente inutile. Avremmo potuto anche non farlo, tanto cosa sarebbe cambiato?
Sarei caduto come una pera cotta se solo qualcuno mi avesse chiesto che fine avesse fatto mio padre o anche se mi avessero domandato semplicemente dove fosse o come stava.
Cosa avrei potuto dire? La realtà dei fatti era sconsigliabile e dunque l'unica soluzione plausibile per riuscire a sopravvivere mi sembrò quella di tenermi tutto dentro fino a che avrei potuto.
Quella notte non avevo solo ucciso mio padre ma avevo anche ucciso una parte di me: tramite un gesto che nemmeno avevo pianificato di compiere, avevo sottratto la mia giovinezza, la libertà che non credevo neppure di avere, la leggerezza, la spensieratezza di potermi comportare come meglio credevo e la mia felicità. Avevo messo fine alla vita di mio padre e avevo messo fine anche a quella mia, da quel momento infatti la mia vita sarebbe cambiata per sempre, avrebbe preso una piega completamente differente da quella che era stata in precedenza ma comunque entrambe non mi avevano mai soddisfatto.
Avevo odiato entrambe le mie vite, avevo odiato il vecchio figlio dei Kim e avevo odiato anche quello nuovo, avevo odiato indossare una maschera che non mi rappresentava e che quasi non mi stava addosso tuttavia, la parte che più avevo odiato era il vero Kim Taehyung.
La mia vera essenza. Quella la odiavo più di ogni altra cosa al mondo.
Avevo sofferto tanto per la morte di mia madre e paradossalmente avevo sofferto anche peggio alla morte di mio padre, solo crescendo però capii che provavo solamente una gran invidia nei loro confronti. Probabilmente avrei preferito prendere il loro posto.
Si, sarei voluto morire io.
"Smettila di dare aria alla bocca e scendi" disse con molta pazienza Jimin, che nel frattempo senza neppure che me ne accorgessi, aveva parcheggiato l'auto. Feci come mi aveva detto e una volta fuori, mi guardai intorno.
Era una villa strutturata proprio come casa mia, con un particolare che mi fece venire i brividi: quella era abbandonata ormai da anni.
Io e Jimin la conoscevamo bene, visto che quando eravamo più piccoli, spinti dalla curiosità di sapere se all'interno di quella casa vuota e desolata fosse presente qualche spirito, ci addentrammo proprio come due escursionisti qualunque.
L'edificio era privo di entrate, non vi era né una porte né i vetri delle finestre: era la casa degli animali senza un tetto, degli uccelli che avevano bisogno di un riparo ma anche della sporcizia che si insediava come se fosse la padrona. Era buia e sporca, vi era moltissima immondizia che sicuramente avevano lasciato centinaia di ragazzini, che come noi erano venuti a visitarla solo per il gusto di vedere qualche spirito qua e là tuttavia l'unica cosa disseminata tra gli alberi e tra le colonne portanti della villa, erano le bottiglie ormai vuote di alcool. Al centro vi era anche una fontane con l'acqua sporca e laghetti con i rifiuti che galleggiano mentre sulla destra vi era un sentiero che portava ad grande pozzo che metteva soggezione.
Mi era impossibile ricordare i dettagli della visita che facemmo io e Jimin in passato, tuttavia ricordai la delusione che ne conseguì, quando mi resi conto che fosse una casa lasciata senza alcuna cura e senza alcuna famiglia. Quell'abitazione era priva di qualsiasi cosa, di amore, di ricordi e di futuro.
Presto capii che erano tutti fattori che circoscrivevano mio padre e mi resi conto di quanto quel posto fosse adatto per lui.
Ancora una volta Jimin aveva fatto la scelta giusta.
Dopo aver ammirato quella tetra villa che non vedevo ormai da diversi anni, alzai lo sguardo in cielo e mi resi conto che i raggi stavano per nascere, dando così il via ad una nuova giornata, tuttavia notai un altro particolare che quasi mi fece sorridere.
Stava cominciando a piovere. Era un sollievo che anche qualcuno avesse voglia di piangere ed era un sollievo poter essere sfiorato da quelle piccole goccioline che mi facevano in qualche modo sentire meno solo. Come se non fossi l'unico colpevole quella notte.
Il sole si stava pian piano alzando eppure quel buio mi diede come l'impressione di non voler abbandonare quel mio momento di sconforto, era come se mi volesse abbracciare e tenere al caldo come si teneva a caldo un peluche sotto le coperte. Quel cielo parve scomparire sotto i miei occhi attenti, non esisteva più e in quel luogo non sarebbe più esistito.
Quel posto sarebbe stato per sempre un posto senza cielo, un posto in cui i raggi del sole non avrebbero mai toccato il suolo di quel terreno mentre al contrario la pioggia lo avrebbe inondato, fino a far marcire tutte le radici di quella campagna.
Sarebbe stato per sempre solo un misero posto senza cielo che non valeva neppure la pena di definire tomba.
Perché era assodato che Jimin avesse guidato sino a lì per poter scaricare il corpo di mio padre senza neppure dedicargli una povera preghiera, saremmo andati via ripercorrendo la stessa strada che inizialmente avevamo percorso insieme a lui.
Metteva i brividi eppure fremetti dalla voglia di farlo, ero impaziente poiché non vedevo l'ora che tutto quello finisse o forse perché semplicemente avevo sempre sognato di poterlo fare.
Non capii quale delle due opzioni fosse quella più giusta ma non ebbi il tempo per poterci pensare poiché il rumore dell'apertura del bagagliaio, mi distrasse.
"Aiutami, è pesante questo figlio di puttana" commentò Jimin ma non me la presi affatto, lo sapeva bene altrimenti non l'avrebbe mai fatto. Aveva sentito così tante volte le offese che gli avevo rivolto, che si era abituato ad offenderlo anche lui. Un po' come quando una persona ne odia un'altra, che neppure conosce, solo ed esclusivamente perché la odia la sua migliore amica, era normale farlo.
Il corpo di mio padre era ricoperto da un sacco nero e sebbene sapessi che stessimo trascinando lo stesso uomo che precedentemente avevo ucciso, non mi impressionò come invece aveva fatto all'interno della villa, per il semplice fatto che la sua faccia non fosse visibile. Era più facile credere che ci fosse qualcun altro dentro quel sacco o anche solo dell'immondizia, la mia fantasia aveva cominciato a vagare pur di non pensare alla cruda realtà dei fatti.
"Dovremmo scavare una buca?" domandai inesperto a quello che invece era talmente colmo di idee che mi venne quasi da supporre che avesse già fatto qualcosa di quella portata.
"Non abbiamo mai preso in mano neppure un mestolo, secondo te siamo in grado di usare una pala?" mi fece notare e dovetti dargli credito.
La terra cominciava a bagnarsi tramite la pioggia e sarebbe dunque stato più semplice creare una buca per poi poter seppellire il corpo di mio padre tuttavia aspettai che Jimin mi illuminasse con la sua brillante idea, dato che aveva bocciato la mia.
"Useremo il pozzo" disse.
"Il pozzo?" mi impanicai.
"È molto meglio, è più comodo e di certo nessuno andrebbe mai a controllare all'interno di un pozzo di una casa abbandonata" cercò di farmi riflettere. "Non credi?" continuò nel volermi influenzare con la suo ipotesi e senza che me ne accorgessi cominciai ad annuire.
"E poi Jimin?" mi lamentai. "Lo buttiamo nel pozzo va bene sono d'accordo ma poi?" continuai gesticolando. "Che cazzo dico a tutti gli altri? Ai datori di lavoro, ai suoi colleghi, alla stampa? Che cazzo mi invento per pararmi il culo?"
"Possiamo pensare ad un problema alla volta, ho ancora un cadavere sui piedi e cominciai a farmi schifo" esclamò agitato, lui era la mia mente lucida così sospirai e cercai di non mettere altra legna sulla brace, avremmo trovato tutte le risposte e tutte le nostre soluzioni con il tempo.
Avremmo dovuto fare un passo alla volta e d'altronde ne avevamo già fatti parecchi e parava andare tutto liscio come l'olio.
Sarei dovuto rimanere positivo.
Con quella concezione per la testa, aiutai una volta per tutte Jimin nel liberarsi di quel sacco nero e facemmo solo qualche altro passo verso il sentiero prima di fare fuori per sempre il grande e potente signor. Kim.
Era il gesto più disumano della storia: ammazzare il proprio padre a mani nude e poi gettarlo dentro un buco, senza neppure una degna sepoltura. Era impossibile fare di peggio tuttavia quando si compieva qualcosa di nascosto, in segreto da occhi indiscreti era come se non si compiesse affatto. Se nessuno ti vedeva, nessuno poteva giudicarti e quando le persone non ti giudicano, non importavano più le azioni, era come se fossi tornato ad avere la coscienza pulita.
Almeno quello era ciò che mi sarebbe piaciuto credere.
I miei sensi si erano moltiplicati: era come se riuscissi a vedere anche al buio, gli odori erano diventanti più forti di prima e ora riuscivo a percepire il fetore di quel terreno ma soprattutto di tutto quel complesso che mi stava dando il voltastomaco, più di tutti il contenuto di quel sacco che cominciava a pesare più di prima. Anche l'udito sembrava essere spiccato e difatti sentivo ogni cosa accanto a me, a partire dai rami che si spezzavano a causa degli uccellini che iniziavano ad uscire dal loro nido per poter cominciare i loro canti mattutini, mi pareva di sentire anche i nostri cuori battere all'impazzata, il rumore dei piedi sulle pozzanghere ghiacciate. Le nostre scarpe scricchiolavano rumorosamente sulla terra, tanto da bagnarci i calzini. Il suolo di quella notte rifletteva molto il cielo invernale, era uggioso e coperto di nuvole e tra l'altro era simile anche al nostro umore, triste e sconsolato. Se solo in quello scenario ci fossero stati anche i tuoni a metterci paura, sarebbe stata la raffigurazione perfetta dell'unione tra la natura e quello che era appena accaduto.
La cosa più brutta di quella notte tuttavia rimase comunque udire il tonfo del corpo morto di mio padre schiantarsi contro il fondo del pozzo. Sentii il rumore delle sue ossa rompersi e dovetti serrare fortemente gli occhi nel tentativo di attutire quel dolore che io stesso mi causai.
Lui non ne provava più, al contrario io l'avrei provato fino all'ultimo giorno di vita, fino a che non avrei inalato il mio ultimo respiro.
Mio padre sarebbe rimasto rinchiuso dentro quella gabbia per sempre e non sarebbe più stato un mio problema.
Improvvisamente mi sembrò di sentir un pianto convulso, per un attimo credetti che provenisse dal pozzo e mi spaventai del mio stesso pensiero tuttavia non volle molto a comprendere che fossi io. Proveniva dal fondo della mia gola e lo capii solo quando Jimin mi poggiò una mano sulla spalla.
"È tutto finito" disse mentre io presi finalmente coscienza dei miei singhiozzi.
Quella notte credetti di poter udire il mio stesso dolore, lo percepivo nell'aria anche se non aveva alcuna voce, era muto e avrei voluto che rimanesse tale per sempre, ragion per cui mi convinsi di dover lasciare quel tipo di dolore lì, all'interno di quel pozzo. Lo stesso pozzo che ospitava il corpo di mio padre, quello che con il tempo sarebbe diventato putrefatto e su cui non era neppure possibile fare visita, non era un giusto luogo di sepoltura ma forse era proprio quello che lui meritava di avere. Era quello il suo posto da morto, mentre il mio sarebbe stato prendere il suo quand'era ancora vivo. L'avrei derubato di ciò che era stato in passato e avrei preso le sue sembianze, però nei migliori dei modi. Sarei stato meglio di lui e avrei fatto il modo che tutti l'avrebbero potuto vedere e constatare.
Proprio in quell'istante cessò di piovere e capii che fosse la scelta più giusta che potessi fare. Quello era il mio destino, probabilmente era già segnato così come lo era quello di mia madre e secondo poi quello di mio padre. Tutto era già scritto, per entrambi era stato scritto male ma non avevamo alcuna gomma per poterlo cancellare e neppure una penna per poterlo riscrivere: avremmo solo potuto seguire il corso di quello che il fato aveva scelto per noi.
Sia mio padre che mia madre erano già arrivati al limite, avevano conosciuto tutto quello che era stato riservato per loro mentre io avevo ancora tutto da scoprire.
La mia vita iniziava in quel momento.
Guardai Jimin e feci un cenno della testa, lui mi sorrise debolmente era molto forzato ma lo apprezzai comunque. Feci un gesto come per fargli capire che ora potevamo tornare a casa e mi voltai senza aspettare che lo capisse, d'altronde l'avrebbe fatto comunque.
Ero sollevato dal fatto che i miei problemi fossero finalmente finiti, non sapendo però che in realtà erano appena cominciati.
Spazio Autrice
Vi annuncio che mancano ufficialmente 7 capitoli alla fine di UN PARADISO DI INCUBI e non so se essere più triste o più eccitata. La domanda che ci poniamo tutti è sicuramente: ma questa storia finirà bene o finirà male??
Nulla è ancora deciso!
Poi ci tengo a dire anche che, come da specificato nel titolo, ho cominciato la revisione dei capitoli e sono già arrivata al 20esimo. A poco a poco revisionerò tutto e oltre agli errori di distrazione e quelli di punteggiatura, mi sono fatta prendere la mano e vi dico quindi che ho aggiunto molte cose (a volte scrivendo anche più di 1000 parole nuove nei capitoli già vecchi) quindi se vi va ovviamente, appena la storia sarà completa, potete ricominciarla e credo sarà completamente differente dalla vostra prima lettura.
Un bacino, scrivete qualche commentino per me, prima che mi deprima mi raccomando^
-Federica
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