13. Il suo mondo
Ero sempre stato convinto che ognuno di noi possedesse diversi strati di autenticità: quando si finiva di conoscere lo strato preliminare di una persona allora si iniziava a individuarne un altro fino a raggiungere la vera essenza di chi avevamo di fronte.
Ad alcuni non importava nulla di scavare fino a compiere quell'ardua impresa; si limitavano ad un saluto impacciato o ad una domanda buttata al volo giusto per il piacere di farla e compiacere l'altro, cosicché il giorno seguente avrebbe potuto riceverla. La gente compiva azioni solo perché pretendeva che un domani l'altro avrebbe potuto ricambiare, non erano mai gesti dettati dal cuore ma solo in vista di un prossimo suo bisogno.
I miei genitori non mi avevano insegnato nulla a riguardo ma io ero cosciente di quanto quell'atteggiamento fosse sbagliato. Non mi piaceva utilizzare le persone, piuttosto preferivo farmele amiche e poter contare su di loro davvero.
Amavo l'intimità che si creava tra due persone, purtroppo però non ero riuscito a costruirla con parecchia gente: gli unici di cui potevo fidarmi realmente erano i miei due migliori amici. Non che mi lamentassi però non avevo mai conosciuto l'intimità a livello amoroso e mi incuriosiva come poche cose nella vita.
Definivo l'intimità come un luogo segreto all'interno del nostro corpo; non era visibile a tutti e quasi nessuno cercava di vederla realmente. Era una piccola porta sull'uscio del cuore che ci rendeva le persone che eravamo realmente tuttavia non era permesso a chiunque cogliere quell'ingresso o anche solo provare ad aprire quella porticina.
Quel biondino all'apparenza faceva credere di non possederla neppure, ora però non solo ero riuscito a scorgerla ma riuscivo anche a vederne uno spiraglio; come se fosse socchiusa e aspettasse che qualcuno la aprisse e si ci infilasse dentro.
Volevo sapere cosa tenesse all'interno di quella porta e sebbene non mi sarei mai permesso di forzarla, avrei fatto di tutto per entrarci anche solo con un piede. Mi sarei accontento anche di rimanere dall'altra parte della porta pur di fargli capire che non era solo, che avrebbe potuto contare su di me in qualsiasi momento e d'altro canto ero certo che quella porta di sarebbe spalancata da sola se avessimo continuato con quel particolare andazzo.
Per me lui rimaneva ancora un perfetto sconosciuto ma dentro di me sapevo che avrei voluto modificare quell'appellativo e dargliene un altro del tutto nuovo e molto più significativo di quello; credevo di essere nella strada giusta per poterlo fare.
Ero rimasto stupito del fatto che mi avesse rivelato il suo nome in quella circostanza, non avevo mai provato a chiederglielo per il semplice motivo che dopo aver parlato e condiviso insieme a lui già diversi momenti, ritenevo quella domanda fuori luogo e anche leggermente imbarazzante. Non lo ritenevo qualcosa da dover scoprire al più presto, al contrario avevo preferito focalizzarmi su altri punti del suo carattere e della sua personalità piuttosto che ad un banale nome tuttavia, inaspettatamente mi fece piacere.
Kim Taehyung? Era questo il suo vero nome.
I giornalisti, i media e neppure i membri del suo staff erano a conoscenza di quel nome; di certo non era la loro priorità scoprilo considerato che gli bastava poter lavorare con lui o anche solo potergli stare accanto. Erano probabilmente accecati dalla sua innata bellezza o sarebbe stato meglio dire, che erano accecati da tutti quei soldi e da quella fama che possedeva e che dunque lo precedeva sempre.
A nessuno sembrava importare la persona che era, nessuno aveva il coraggio di andare oltre la maschera che indossava poiché era associato e condannato dal cognome dei suoi genitori, della quale sapevo meno di zero. Più volte le sue parole mi fecero intuire che non fosse libero come invece voleva far credere agli altri, che fosse intrappolato dalla sua stessa apparenza e a causa del comportamento che aveva assunto negli anni, non riusciva più a distinguere ciò che era realmente e ciò che doveva mostrare alle telecamere.
Probabilmente si era convinto che fosse un mostro, cercando così di opprimere la sua personalità o in generale di nascondere quel lato che mi aveva appena mostrato. Io non lo vidi diversamente per ciò che fece a Namjoon piuttosto mi preoccupò la reazione che ebbe subito dopo: aveva assunto dei medicinali e solo grazie a quelli era riuscito a calmarsi. Non potevano di certo essere dei semplici ansiolitici, nascondeva qualcosa di più grande ma non ero ancora riuscito a scoprire cosa.
"Il vero Kim Taehyung è quello che ho davanti io adesso" sussurrai sincero. Sorrisi spontaneamente nonostante le parole crude che aveva appena pronunciato, poiché mi convinsi che non avesse ragione e che fosse tutto nella sua mente, di conseguenza non diedi peso alla sua riflessione. Lo ritenevo tutto fuorché un mostro: quello che aveva fatto non era per me concepibile ma d'altro canto sapevo che dietro a tutta quella brutalità, ci fosse un valido motivo per cui continuavo a stargli accanto.
"Debole?" disse lui guardandomi con un'espressione rivoltante sul volto.
"Vulnerabile" lo corressi, spiegandogli il mio punto di vista considerato che ero sempre più convinto delle mie parole. "Taehyung io non ti vedo con gli stessi occhi con cui ti vedi tu" cercai di spiegargli. "Hai lasciato che i tuoi mezzi di difesa crollassero per un po' e ti sei mostrato umano" scrollai le spalle e mi avvicinai maggiormente a lui. "Taehyung avere un crollo non significa essere debole, hai solo preso un po' d'aria dopo tanto tempo" sorrisi nel pronunciare il suo nome per la seconda volta poiché avevo tenuto di doverlo ricordare o chiamare per sempre biondino.
Ero felice di poter tenere impresso nella mia testa il suo vero nome, così come nel mio cuore avrei tenuto impresso tutti quei momenti che ci stavano pian piano avvicinando.
"Ero riuscito ad ottenere una stabilità e non mi capitava da tempo una reazione tanto violenta" disse con un tono basso, feci fatica ad ascoltarlo nonostante mi trovassi accanto a lui.
"E perché è successo?" provai a capire.
La mia domanda non ebbe una risposta e neanche dopo un paio di minuti si decise a parlare, stava cominciando a fidarsi di me ma di certo non potevo pretendere che si confidasse da un giorno all'altro; dovevo essere paziente. Con questa consapevolezza tossì e cercai di farlo ridere, cambiando argomento.
"Non è che per caso hai avuto quella reazione perché hai pensato di dover salvare il mio culo da quei due maniaci?"
"Stai fantasticando" mise la mani avanti e cominciai a ridere, contagiando un attimo dopo anche lui. Al quel punto mi alzai e gli porsi una mano per aiutarlo a mettersi in piedi.
"A proposito chi erano? E cosa volevano da te?"
"Non sono ancora pronto a rivelarti tutti i miei oscuri segreti, mi dispiace" dissi sostenuto per prenderlo in giro e cogliendo la mia battutina nei suoi confronti rise e mi diede una leggera spinta. "Sono solo degli idioti che da anni vogliono vincere le olimpiadi scolastiche ma sapendo di non avere alcuna possibilità contro di me, cercano di tagliarmi fuori dalle gare facendo i bulli" gli spiegai frustato.
"Quindi sei davvero il più bravo?"
"Quante volte dovrò ancora ripeterlo?"
"Non so, forse è quel faccino che mi inganna"
"Perché cos'ha la mia faccia che non va?" gli chiesi avvicinandomi fin troppo, assottigliando lo sguardo.
"Sembri un coniglio"
"Cosa? Non è vero" dissi offeso poiché non era quello che mi sarei aspettato, specialmente in un momento come quello.
"Adesso sei un coniglietto arrabbiato" indicò un punto sul mio viso.
"Vuoi vedere come questo coniglio ti stende in un colpo solo?" alla mia ultima domanda lo vidi sorridere maliziosamente e finalmente ebbi la certezza che andasse tutto bene.
Era tornato in sé.
"Mi piacerebbe ma non qui. Sono stanco di questo posto, ogni volta che cerchiamo di lavorare succede qualcosa quindi adesso tu vieni con me"
"Ma sono appena entrato" gli feci notare.
"Sei con me, non ti faranno problemi" affermò raccogliendo le sue cose e mandando un messaggio al telefono, probabilmente per comunicare il suo spostamento.
"E dove andiamo?" chiesi curioso seguendolo. Sapevo che non mi avrebbero neppure notato a scuola e che con l'appoggio del figlio dei Kim potevo fare qualsiasi cosa, come essere coinvolto in una rissa a sangue e non ricevere alcun provvedimento disciplinare. Era figo ma nello stesso tempo poteva essere spaventoso; quel ragazzo era talmente potente da potersi permettere qualsiasi cosa? E perché io parevo avergli affidato tutta la mia fiducia nel giro di qualche giorno? Forse non avrei dovuto?
"Nella mia azienda"
"Hai un azienda tutta tua?" urlai incredulo.
"In realtà ne ho parecchie sparse tra la Corea del Sud e il Giappone" affermò calmo alzando le spalle.
In quel momento ebbi la certezza che non mi mentì quando mi disse di non fare il modello per lavoro e inoltre la mia mente cominciò a sistemare le informazioni per cercare di metterle in chiaro. Quel biondino egocentrico aveva il controllo di tutta l'economia della Corea e in più aveva anche dei collegamenti con uno dei paesi più ricchi al mondo. Imprecai mentalmente probabilmente per l'invidia e mi trattenni nel domandare quanti miliardi tenesse in banca o sotto il materasso.
"Prendiamo un taxi?" gli chiesi mentre camminammo per uscire dall'edificio.
"No, il mio autista mi aspetta giù"
"Hai anche un autista tutto tuo? Mi fai proprio schifo" dissi sarcastico con un briciolo di pura invidia.
"Se preferisci puoi fartela a piedi" rispose serio ma proprio di fronte il cancello della scuola, notai una lunga e lucida auto nera che mi fece rimangiare tutte le parole che avevo speso in presenza. L'unica macchina che potevo permettermi di vedere era quella di Hoseok; fui completamente entusiasta dunque di poter poggiare il mio culo su una rolls-royce, così mi misi a correre per infilarmici dentro senza neanche aspettare il vero proprietario, che sentì ridere dietro di me.
"Salve signorino Kim, dove devo accompagnarla?" domandò l'uomo al volante una volta che Taehyung chiuse lo sportello del sedile anteriore.
"L'azienda più vicina" rispose conciso e a quel punto l'autista mise in moto e partì immediatamente, con una velocità che fece nascere all'interno del mio stomaco delle emozioni del tutto positive. Non osservai neppure per un attimo fuori dal finestrino, piuttosto preferii rimanere seduto sul centro del sedile posteriore cosicché avessi potuto guardare il biondino. Stranamente non ci fu nessun bisogno di porre le mie monotone domande poiché cominciò a spiegarmi tutto lui, in grandi linee e senza entrare nei dettagli. Ebbi come l'impressione di voler a tutti i costi evitare l'argomento genitori; sembrava che ci girasse intorno ma sostanzialmente si percepiva il fatto che non volesse neanche nominarli.
Mi disse che possedeva un gran numero di banche, di fabbriche industriali e di aziende di servizi di trasporto, apparecchiature informatiche o di armi da fuoco, tutte al nome di Kim. Era il capo di ogni cosa e si occupava di pianificare, coordinare e dirigere le attività di produzione.
Mi lasciò senza parole, sicuramente l'unico modo per avere in mano un tale potere a quell'età era tramite un'eredità lasciata dai suoi genitori, così mi convinsi che dovevano senz'altro essere gente importante.
"Eccoci" pronunciò l'uomo dopo aver parcheggiato all'interno dell'apposito luogo in cui sostavano tutte le altre auto aziendali. Dopo aver spento il motore e lasciato le chiavi appese, si affrettò a scendere dalla macchina e venne ad aprire le portiere di entrambi; feci un leggero inchino per ringrazialo e dopo di ciò seguii i passi esperti di Taehyung.
Mi guardai intorno meravigliato: camminai sopra un grande e curato giardino verde in cui vi sbocciavano immensi grattacieli di colore grigio, nei quali primeggiava una scritta in corsivo proprio al centro, "Kim". Quel posto era tutto suo e mi bastò per rimanere a bocca aperta, possedeva tutto quello che chiunque avrebbe sempre e solo desiderato ma quello che per me era un lusso sfrenato, per lui era normalità e lo capii dal modo apatico in cui entrò nell'edificio. Al contrario io rimasi ancora più stupito nel vedere gli ambienti dell'interno, purtroppo però non mi permise di fare un giro di visita poiché i dipendenti erano tutti impegnati a lavorare e non voleva che fossi causa di disturbo, motivo per cui mi portò direttamente ad uno dei piani più alti.
"E c'è davvero spazio per fare kick boxing?" chiesi curioso, uscendo finalmente dall'ascensore per arrivare nel suo ufficio.
"È più grande della tua palestra" rispose con la solita aria di sufficienza, qui dentro che era il suo mondo, il suo ego sembrava quasi raddoppiato.
Dalla sua giacca tirò fuori una piccola card bianca che strisciò sulla banda magnetica per aprire la porta del suo studio e quando entrai dovetti dargli ragione. Per essere uno studio era esageratamente spazioso; vi era una scrivania bianca proprio al centro della stanza, una libreria dello stesso colore che occupava un'intera parete, un tavolino attorniato da due divanetti e per il resto vi erano tappeti di pelo, quadri ammirevoli e finestre con delle eleganti tende trasparenti, dalla quale entravano i raggi del sole ma allo stesso tempo non lasciavano scorgere il panorama esterno. Era arredato secondo il suo stile e mi avvicinai per ammirare i diversi dipinti che decoravano le pareti.
"Non ho mai visto dei dipinti del genere" dissi ammirandone uno in particolare che rappresentava una macchina fotografica e un cielo stellato. Quell'ultimo particolarmente mi catapultò alla nostra prima sera in cui ci ritrovammo dall'altra parte della città a parlare del suo rapporto con le stelle e del fatto che ormai non le ammirasse più da anni.
"Perché l'artista non è affatto conosciuto" rispose vago e così mi voltai con un'espressione sconnessa, tipica delle persone che non capivano il senso di una qualsiasi frase. "Sto parlando di me stesso" ammise portandosi la mano dietro la nuca e accompagnò quel gesto con una leggera risata e tramite quella, potei notare in lui un pizzico di imbarazzo mentre io rimasi stupito dalla sua confessione. "A dire la verità non sono molto bravo ma mi piace ritagliare del tempo per rappresentare le mie emozioni su un foglio" spiegò calmo. "A volte è l'unico modo che ho per esprimere ciò che sento"
"E lo fai da molto?" chiesi continuando a camminare per osservare tutti gli altri quadri.
"Da quando sono bambino, è una passione che mi è stata trasmessa" avrei tanto voluto chiedergli da chi avesse preso quel talento ma allo stesso tempo non volevo apparire invadente ai suoi occhi. "L'arte e la fotografia sono impressi nella mia anima"
Pensai che probabilmente non avrei mai finito di scoprire lati del suo carattere. Ancora una volta mi dimostrò che oltre l'apparenza c'era altro e sapere che apprezzava l'arte e che ritrovava negli scatti e nei dipinti una passione mi fece sorridere.
"È ammirevole" dissi come incantato da lui e da tutto ciò che lo circondava. "E poi fattelo dire da un esperto, non è vero che non sei bravo, sono bellissimi"
"E tu saresti un esperto?"
"Stamattina in segreteria ti sei professato un ottimo consigliere ma in realtà i tuoi consigli mi hanno fatto abbastanza cagare, quindi ho pensato che potessimo dire qualsiasi cosa volessimo" fece una smorfia di disappunto alla mia risposta ma non gli diedi il tempo di controbattere.
"Ne voglio uno anch'io" dissi riferendomi al dipinto.
"Se fai il bravo poi ti disegno un coniglietto che sgranocchia una carotina, stai tranquillo" esclamò prontamente. "Ma adesso vieni al centro e insegnami ciò che sai fare" disse e a quel punto si levò la giacca e mi guardò aspettando una mia mossa.
Spazio Autrice
Questo capitolo è un po' noioso perché è di passaggio ma spero vi piaccia comunque e poi sono contenta di potervi dire che nel prossimo aggiornamento succederà qualcosa tra loro due - e si dovete proprio pensare male *perverse smile*
Ciaoo buon inizio settimana.
-Federica
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top