12. Kim Taehyung
Gli studiosi definivano gli esseri umani come animali sociali, bisognosi di contatto e di relazioni con un sistema dinamico ben strutturato, motivo per cui continuavano a ripetere quanto servissero le conversazioni, le confidenze e tutte le parole che le persone si sforzavano di dire durante una giornata. Quella percezione di vita non mi convinceva affatto; non credevo che per essere felici bisognava forzatamente condividere qualcosa con qualcuno eppure quella mattina, quel dannato biondino riuscii a smentirmi.
Non ero solito a confidare i miei problemi, generalmente non ne facevo mai un dramma ma anche quando sentivo la necessità di parlare con qualcuno, anche solo per ricevere un insulso consiglio, finivo per tenermi tutto per me.
La gente dimostrava continuamente di non essere molto interessata a ciò che usciva dalla bocca del proprio vicino, le persone sentivano ogni parola ma non ascoltavano mai con attenzione e quel concetto mi irritava talmente tanto che preferivo non parlare affatto. Eppure quando mi confidai con il figlio dei Kim, percepii dentro di me un peso in meno.
Non mi aveva dato alcun consiglio, non aveva neppure provato a capirmi bensì aveva solo fatto in modo che aprissi gli occhi e che mi rendessi conto di cosa avevo di fronte: mi mise davanti la realtà dei fatti senza neppure essere a conoscenza di ogni cosa. Mi aveva compreso senza alcuna aspettativa da parte mia ma soprattutto senza bisogno di troppe parole.
Ero cosciente del fatto che probabilmente avevo ampliato la situazione eppure il litigio dei miei genitori mi aveva colpito tanto e mi aveva fatto sentire uno straccio, tanto da farmi rimpiangere di essere loro figlio. Cominciai a pensare che forse se non mi avessero avuto, sarebbero stati più felici ma poi avevo riflettuto sulle oggettività che mi aveva servito il biondino su un piatto d'argento: il matrimonio era un atto del tutto falso e la maggior parte delle coppie erano semplicemente soffocate dalle tradizioni e dalle abitudini che la società imponeva.
Era arduo lasciarsi andare, cambiare la propria quotidianità e ricominciare da zero. Ci voleva molto coraggio e probabilmente nessuno dei due aveva posseduto, anche solo per qualche istante, la forza d'animo che serviva per ottenere quel cambiamento radicale.
Probabilmente i miei genitori, così come tantissime altre coppie sposate, non si sarebbero mai separati e non perché l'aveva affermato il figlio dei Kim ma perché non avevano nessun altro proposito da dover raggiungere. Il solo unico scopo sembrava quello di lavorare e fare soldi per potermi mantenere ma la vita li aveva improvvisamente privati anche di quello, ragion per cui si erano ritrovati ad avere un disordine mentale che aveva scombussolato dunque la loro intera esistenza, facendo nascere in loro domande che non si erano mai posti prima.
Mi ritrovai ad accumulare parecchia aria prima di firmare il permesso della seconda ora; era mattina presto, mi ero appena svegliato ma mi sentivo già stanco e anche troppo abbattuto per poter reggere tutte quelle ore che mi separavano dalla notte e dunque dal mio letto caldo. A quel punto sospirai ancora, mi scompigliai i capelli e solo dopo uscii definitamente dalla segreteria; con stupore e felicità vidi che quella testolina bionda mi stava ancora aspettando.
Aveva le mani in tasca e camminava avanti e indietro in attesa che finissi le consuetudini imposte dalla scuola e in quel preciso istante dunque ebbi la conferma che stesse aspettando me anche all'ingresso.
"Se hai finito di fare i tuoi comodi, possiamo andare in palestra" disse stufo del mio ritardo e probabilmente anche del mio mal umore.
"In realtà devo fare pipì" dissi per infastidirlo maggiormente e risi sotto i baffi quando lo vidi ruotare gli occhi rassegnato, tuttavia camminò dalla parte opposta per accompagnarmi persino in bagno. Era soddisfacente stuzzicarlo e sentire le sue lamentele ma ancora di più amavo il fatto che neppure un secondo dopo stesse già assecondando tutte le mie proposte.
"Vorrei poterti scambiare con qualcun altro, non esiste tipo il secondo migliore della scuola?" chiese altezzoso cercando di ferire il mio orgoglio. "Tu stai esaurendo tutte le mie energie"
"No, sono l'unico bravo" parlai rimanendo dietro di lui e in quel preciso istante mi resi conto che ogni qual volta che stavamo insieme non riuscivo a stare al suo passo, era come se facesse continuamente un pieno di caffeina e fosse sempre carico di energie, malgrado lui dicesse il contrario.
"Non mi hai ancora dato modo di constatarlo quindi posso anche affermare il contrario" disse e dovetti dargli ragione: la prima volta avevo preso una storta e la seconda avevo primeggiato talmente tanto da risultare ridicolo, tuttavia quegli avvenimenti mi spingevano ancora di più a volergli dimostrare le mie vere doti e quel giorno ero intenzionato a farlo. Volevo mostrargli che ero davvero il migliore e sopra la media in tutto ciò che facevo, ovviamente però l'avrei fatto solo dopo una sana dose di disturbo.
"Ok resta fuori" esclamai aprendo la porta del wc.
"Pff ed io che pensavo che ti avrei visto pisciare, che peccato" disse ironico ma lo lasciai perdere.
Quando misi piede sulle mattonelle bianche che caratterizzavano il lucido pavimento del bagno, sussultai nel vedere chi ci fosse dentro e solo dopo qualche secondo aver incontrato i loro occhi, cercai di riaprire la porta che si era automaticamente chiusa alle mie spalle.
"Chi non muore si rivede, dico bene?" esclamò il ragazzo che mi impedì di lasciare quel posto, che avrei sperato fosse vuoto. La sua imponente figura si piazzò tra di me e la porta d'ingresso, difatti mi fu impossibile uscire. Rotai gli occhi, consapevole di cosa mi aspettasse e sospirai avvilito.
Quella non era proprio la mia giornata.
Rivolsi lo sguardo verso di lui e mi resi conto di quanto fosse cambiato in quel breve lasso di tempo: era molto più alto di me, le sue spalle erano divenute più larghe, segno che aveva praticato molta palestra mentre i suoi occhi erano sempre più scuri, chiusi in due sottili fessure e le sue labbra erano carnose e gonfie come sempre. Lo vidi rivolgere l'attenzione verso suo fratello e così mi ritrovai a fare lo stesso, potendo dunque costatare che anche lui fosse leggermente diverso dall'ultima volta che l'avevo visto: era il più alto tra di noi ma lo era sempre stato mentre i muscoli delle braccia e del petto si erano triplicati ed erano diventati ben evidenti anche con una maglia larga. Gli occhi erano simili a quelli del fratello ma molto più furbi e seducenti, al contrario i capelli erano un totale disastro: erano tagliati male e forse anche poco curati.
Fortunatamente le vacanze estive mi avevano permesso di stare lontano da loro per un lungo periodo ma dal momento che la scuola era appena iniziata, avrei ripreso a vederli e di conseguenza loro avrebbero ripreso a darmi fastidio. Erano al mio stesso anno e mi avevano preso di mira da quando cominciai a vincere ogni campionato scolastico, pensavo che fossero solo invidiosi di me e delle mie capacità sportive quindi solitamente non gli avevo mai dato corda, sperando che smettessero. Io non ero solito a subire in silenzio, al contrario cercavo sempre di farmi rispettare e sapevo bene come difendermi allo stesso tempo però non mi piaceva per nulla litigare.
"Che cosa volete?" chiesi schietto.
"Ti sembriamo persone che chiedono dei favori?" disse sarcastico, cercando l'approvazione del fratello Namjoon.
"No affatto, sembrate più dei cazzoni che vogliono tutto e subito e se non ottengono il loro risultato allora si prendono le cose con la forza" risposi riferendomi sottilmente ai campionati scolastici, a quelle mie parole Seokjin si voltò verso il fratello e rise come a darmi ragione.
"Vogliamo solo esseri i primi ma con te nei paraggi è difficile" prese parola Namjoon, decisamente il più serio tra loro. "Quest'anno non possiamo permetterci di posizionarci secondi in classifica quindi, Jeon vedi di farti da parte"
"Fatevi da parte voi o vi piscio in bocca" esclamai sorpassandoli ma uno di loro mi prese per la felpa e mi spinse contro il muro, facendomi sbattere la testa violentemente.
"Se ti azzardi a risponderci in questa maniera ancora una volta, la pagherai cara"
"Cosa dovrei fare eh?" urlai esausto. "Ritirarmi dalla scuola oppure fingere che da un momento all'altro sia diventato una schiappa come voi?" non mi diede neanche il tempo di riprendere fiato che come risposta ricevetti un pugno sul viso.
"Ti faremo passare le pene dell'inferno questo semestre quindi preparati" cercai di liberarmi dalla sua presa ma fu tutto utile, cacciai un grido un po' per la rabbia e un po' per il dolore che stava causando la sua presa su di me e a quel punto sentii un tonfo che mi fece sobbalzare per lo spavento. La porta del bagno si spalancò e Kim, probabilmente spinto delle mie urla, entrò, scagliandosi come una furia contro Jin, che nonostante fosse più alto e muscoloso del biondo, al contatto cadde subito a terra dolorante.
Nel giro di pochi secondi strattonò anche Namjoon, che finalmente mi lasciò andare e senza aspettare scuse o spiegazioni cominciò a picchiare anche lui. Dopo due pugni e un calcio sullo stomaco aveva steso il castano e si era seduto sul suo bacino per continuare a colpirlo in un modo fin troppo violento.
"Cazzo basta, lascialo" esclamai cercando di spingerlo dalle spalle per poterlo allontanare da colui che non riusciva neanche più a reagire, tuttavia non seppi calmarlo in alcun modo.
Era impazzito: come se tutto attorno a lui non esistesse più e sembrava trovarsi in uno stato di tranche nella quale non riusciva ad ascoltare e neppure a pensare alle proprie azioni. Continuò solo a infliggere dei colpi sul viso di Namjoon con uno sguardo colmo di rabbia e di odio che non avevo mai visto prima di allora anche se in cuor mio, sapevo già che quegli occhi tanto dolci, quanto furbi, potessero contenere anche tutta quella brutalità.
Quella scena mi fece paura, quasi ribrezzo perché non ero abituato alla violenza e odiavo l'aggressività e quelle persone che si credeva più forti di tutti gli altri, malgrado ciò, sapendo che non fosse il suo caso, cercai in tutti i modi di mettermi in mezzo per far si che la smettesse e che ritornasse in sé.
"Così lo ucciderai!" gridai ad un certo punto con tutte le mie forze, preso ormai dal panico. In quel preciso istante, tramite forze quelle parole, si fermò di scatto, sobbalzando e spalancando gli occhi colmi di lacrime pronte a scivolargli sulle guance. Si alzò e rimase immobile a fissare ciò che aveva fatto: Namjoon era a terra quasi privo di sensi mente Seokjin corse fuori per chiedere aiuto.
Mi misi subito in ginocchio per controllare il suo respiro ma qualche minuto dopo entrò l'infermiere scolastico, affiancato da suo fratello che mi spinse per terra intimando di non avvicinarmi.
Io ero la vittima in quella situazione, non avevo fatto letteralmente nulla eppure la colpa fu data anche a me. Stranamente nessuno ci mandò in presidenza, per il semplice fatto che fosse coinvolto il figlio dei Kim e di conseguenza tutti chiusero un occhio.
Tutti eccetto me.
Quando rimanemmo soli in bagno, non si sciacquò neppure le mani impregnate di sangue, se le mise in tasca e cominciò a camminare velocemente verso la palestra. Non ci pensai due volte a seguirlo; volevo una spiegazione poiché entrambi eravamo rimasti coinvolti e avevo perciò il diritto di sapere. Si infilò negli spogliatoi e in modo quasi maniacale cercò le sue cose tra tutti gli altri, si fermò davanti al nostro armadietto e cominciò a forzarlo per poterlo aprire.
Io invece rimasi in disparte a fissarlo mentre perdeva ancora una volta il controllo di sé stesso.
"Merda" urlò dando un pugno al mobiletto e a quel punto, nonostante in quel momento avessi paura del suo comportamento, mi avvicinai a lui cercando però di non farglielo notare. L'avevo sempre visto pacato e indifferente a tutto ciò che lo circondava ma quel giorno il suo corpo non sembrava più essere il suo e quasi non lo riconoscevo.
"Fai fare a me" dissi calmo prendendo le chiavi che lui stesso mi aveva dato giorni prima, non gli levai mai gli occhi di dosso e notai come cercò invano di regolarizzare il respiro e d'un tratto mi sembrò di rivivere la stessa situazione di quando lo costrinsi a lottare contro di me. Probabilmente i fatti erano legati tra di loro ma in quel preciso istante non riuscii a rifletterci su perché l'unica cosa che volevo era cercare di tranquillizzarlo.
"Dimmi cosa ti serve" dissi pronto ad aiutarlo, una volta aperto lo sportello.
"Vattene" urlò ancora e questa parola mi ricordò esattamente il nostro primo incontro. "E smettila di guardarmi come se fossi malato o giuro che prendo a pugni anche te" ringhiò ad un centimetro dal mio viso, dopo di che fece un passo indietro e frugò nel suo zaino. Prese un pacchettino bianco di medicinali e mise in bocca due o tre pastiglie che poi ingoiò frettolosamente, senza neppure un goccio d'acqua.
"Basta Tae, basta" disse come una cantilena.
Le sue mani erano in preda ad un tremolio fin troppo esplicito e sospirando, poggiò le spalle contro l'armadietto e proprio come aveva già fatto in precedenza, si lasciò scivolare sul pavimento freddo mentre con le mani si circondò la testa, stringendo talmente tanto forte da tirarsi i capelli. Non potei negare che provai pena nei suoi confronti, mi si spezzava il cuore nel vederlo in quelle condizioni ma se da un lato avrei tanto voluto abbracciarlo, in modo che smettesse di farsi del male, dall'altro avevo paura di come potesse reagire.
E proprio in quell'instante però pensai che anche se mi avesse picchiato io comunque non sarei fuggito, così come non avevo mai fatto, motivo per cui mi feci coraggio e mi accovacciai accanto a lui. Non si fermò nel dire quelle due parole ma notai come il tremore del suo corpo diminuì rapidamente dopo l'assunzione di quei farmaci.
"Resisti Tae" si stava incoraggiando da solo e in quelle parole capii quanto la sua personalità fosse forte e in ricorrente contrasto con quel lato che cercava di sottomettere. Non sapevo cosa lo avesse portato ad agire in quel modo e non avevo ancora capito cosa non andasse in lui, era evidente che avesse un problema, allo stesso tempo però avevo l'impressione che cercasse in tutti i modi di contrastare quella specie di disturbo.
"Tra qualche minuto sarà tutto finito" sussurrai poggiando delicatamente la mano sulla sua e il contatto lo fece voltare verso di me.
"Perché ti ostini tanto a voler rimanere con me?"
"Perché è il mio compito no? Devo starti accanto per aiutarti in ogni modo possibile" gli dissi prendendo la scusa del lavoro e delle raccomandazioni che mi aveva dato il preside ma entrambi sapevamo che non era questa la vera motivazione. "Te l'ho già detto, se pensi che io abbia paura di te, ti sbagli di grosso" esclamai dopo e lo vidi sorridere debolmente.
In quel momento appariva talmente fragile che ebbi la sensazione di doverlo proteggere da qualcosa, ero anche pronto per farlo, purtroppo però non avrei potuto proteggerlo da se stesso.
"Non volevo che mi vedessi di nuovo in quel modo"
"Che cosa ti è preso?" gli chiesi cercando delle spiegazioni.
"Non mi è preso nulla... Io sono quello Jungkook. Mi piacerebbe essere come mi descrivono gli altri ma non è così" la sua voce era spezzata. "Fingo di essere normale indossando una maschera di apatia e di buonismo ma in verità sono solo un mostro" cercai di contrastare il suo pensiero ma non mi diede modo, poiché parlò ancora.
"Questo è il vero me: il vero Kim Taehyung"
Spazio Autrice
Ciaoo raga volevo porvi una domanda, secondo voi i miei capitoli sono troppo corti? Dovrei farli più lunghetti o vanno bene così? Questo dilemma mi sta perseguitando.
Poi vi ringrazio per le 600 stelline e FINALMENTE TAEHYUNG HA DETTO IL SUO NOME CAZZO, L'ERA DEL "BIONDINO" È TERMINATA!! Se volete fare qualche considerazione sul suo comportamento potete farlo, mi renderete molto felice.
-Federica
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