11. Parlami

Il lavoro era qualcosa che la mia testa non era mai riuscito a concepire fino in fondo; era un'attività essenziale ma che non lasciava spazio a nient'altro, se non al riposo necessario per poter poi il giorno dopo tornare al lavoro. Le persone di tutto il mondo si ostinavano a fare le stesse cose per tutta la vita pur di ricevere un salario, creandosi così una noiosa routine che finiva per dare la nausea e che rendeva schiava la gente di qualsiasi età.

Io sin da piccolo ero stato abituato a godere delle piccole cose che la vita mi aveva donato e da sempre me le ero fatto bastare poiché riuscivo ad essere felice e soddisfatto anche con quelle. Non avevo mai preteso più di quanto non potessi avere poiché ero sempre stato a conoscenza delle condizioni misere dei miei genitori, dunque non mi rimane a che accontentarmi delle briciole di cui potevo disporre per compiere comunque una vita dignitosa e pari a quella dei miei coetanei.

Non avevo mai desiderato di più al livello materiale: possedevo il minimo indispensabile e mi sentivo parecchio fortunato solo all'idea di poter avere un tetto sopra la testa, un letto caldo in cui dormire e un piatto di ramen alla sera tuttavia ora le cose stavano per prendere una piega differente e dunque mi sarei dovuto rimboccare le maniche per continuare a mantenere quello che avevo da sempre avuto.

"Sono ufficialmente un adulto" esclamai felice aprendo lo sportello dell'auto e salendo il più velocemente possibile, considerato il freddo che aumentava minuto dopo minuto.

La risposta immediata da parte di Hoseok fu un lamento che non riuscii a comprendere, accompagnato il tutto da un esagerato sbuffo. "Non posso credere che ti abbiano preso davvero"

"Comincerò lunedì prossimo" lo informai entusiasta ignorando il suo commento.

"Non sai in che guai ti sei messo davvero" continuò con quel pessimismo che però non mi influenzò neppure oer un secondo. "Spero solo che riuscirai a gestire tutto quanto Jungkook" disse prima di accendere il motore della macchina per potermi accompagnare definitivamente a casa.

Annuii alle sue parole sebbene non mi stesse più guardando poiché quel gesto mi venne automatico e fu più un modo per ripeterlo a me stesso piuttosto che a lui. Ero elettrizzato all'idea di iniziare una nuova avventura, conoscere nuova gente e cominciare ad apprendere il mondo del lavoro; io ero del tutto inesperto e probabilmente stavo anche sottovalutando le difficoltà di avere un tale dovere ma non mi sarei lasciato trasportare dalla paura o dall'atteggiamento scettico dei miei genitori o dei miei amici, anzi ero pronto per dimostrare loro che avrei potuto farcela.

Il vicedirettore del locale mi aveva accolto nei migliori dei modi come se lui stesse aspettando qualcuno da assumere ed io fossi arrivato nel posto giusto e al momento giusto, mi aveva fatto sentire a casa nel giro di pochi minuti e mi riempì di complimenti. Aveva persino detto che fossi perfetto per quel ruolo mancante ma sebbene avessi provato a comprendere il suo discorso, un po' per la mia emozione e un po' per la sua vaghezza, non riuscii a capire di cosa realmente si trattasse. Avevo posto delle semplici domande ma nessuno sostanzialmente si era preso qualche minuto per spiegarmi il lavoro che avrei dovuto svolgere; ad ogni modo forse per la sua simpatia o forse per il mio impellente bisogno di trovare un impiego, mi ritrovai ad accettare.

Quell'uomo disse che sarei piaciuto ancora di più al vero proprietario del locale, che però in quel momento non era presente e solo in seguito disse che mi avrebbe anche tenuto d'occhio durante i giorni di prova, seppure a detta sua, avessi tutti i requisiti per poter assumere quel tipo di incarico.

A parole mi parve semplice perciò fui impaziente di potermi mettere finalmente in gioco.

Arrivati dinanzi al cortile di casa mia, scesi dall'auto e dopo aver ringraziato il mio migliore amico per la centesima volta, entrai in casa.
Lasciai la mia roba per terra vicino la porta d'ingresso e convinto che i miei genitori stessero già dormendo da un pezzo, andai dritto nella mia stanza per trovare finalmente un po' di pace tuttavia delle urla provenire dalla cucina, mi bloccarono i passi e persino il respiro. Sussultai per lo spavento ma anche l'imminente curiosità, dunque mi precipitai nella direzione opposta per scoprire cosa stesse succedendo tra mia madre e mio padre, senza però intervenire.

I miei genitori erano uno di fronte all'altro e si urlavano contro con una cattiveria che non avevo mai visto in loro, non sapevo di cosa stessero parlando ma era evidentemente una questione seria. Avrei voluto sapere il motivo della discussione ma ancora di più avrei voluto intervenire tuttavia mi mancò la forza per potermi muovere e mettermi nel mezzo dei miei genitori.

Una voce dentro la mia testa mi fece intuire che le motivazioni della loro discussione fossero i soldi e il lavoro che da poco avevano perduto, ragion per cui cercai di farmi coraggio per dargli la notizia che mi avevano appena assunto in un locale non molto lontano da casa. Avrei potuto dire loro che avremmo avuto almeno uno stipendio su cui contare, tuttavia il mio corpo si bloccò ad una determinata frase che le mie orecchie furono costrette a sentire.

"Tu sai che avrei voluto lasciarti prima e sai anche che se non l'ho fatto è stato solo per proteggere Jungkook" erano state quelle le parole che mia madre aveva urlato contro il marito e pensai che probabilmente una coltellata avrebbe fatto meno male.

Dunque era colpa mia?

Il respiro mi si mozzò e prima che mio padre potesse risponderle, corsi via e mi rifugiai in camera. In quel momento avrei tanto voluto essere più forte, avrei voluto reagire e magari anche fregarmene dei problemi che le persone attorno a me creavano e che poi senza alcuna clemenza, riversavano su di me. Era la cosa più giusta da fare per poter vivere nei migliori dei modo ma non ne ero in grado perché nonostante sapessi di non aver mai avuto una vera e proprio famiglia, avevo paura di perderla e di rimanere da solo.

Le parole di mia madre mi lasciarono un vuoto e un dolore talmente grande che fu difficile da spiegare a parole. Non avrei mai pensato di dover vivere il divorzio dei miei genitori e allo stesso tempo non mi sarei mai perdonato per essere la causa del loro malessere e non avrei mai perdonato loro per avermi addossato un peso così amaro e rilevante. Era la prima volta che mi sentivo un peso, quasi di troppo nella mia stessa casa; quelle pareti d'un tratto mi parvero strette e pesanti, sentivo di avergli rovinato la vita e credevo che tutto sarebbe stato migliore se non fossi mai nato.

Mi sentivo colpevole perché malgrado non avessimo mai realmente trascorso del tempo insieme, io ero legato a loro e sapere che quel nucleo si stesse sgretolando a causa mia, mi faceva stare male, specialmente in quel momento che avevo l'opportunità di essergli d'aiuto dal punto di vista economico. Tuttavia se il loro litigio era esclusivamente basato sul loro amore, allora non avrei potuto fare nulla per aiutarli e dalle loro parole potei intuire facilmente che il loro amore non fosse vivo e duraturo come invece avevo sempre creduto.

Per tutta la notte non riuscii a chiedere occhi, mi girai e mi rigirai invano tra le coperte pensando a quanto fossi un ingombro e a quanto fossi un illuso nel credere di poter cambiare qualcosa. Avevo sempre avuto una grande voglia di aggiustare tutto ma più mi impegnavo per sistemare la mia situazione familiare e più si frantumava in mille pezzettini poiché niente sembrava bastare per tenerli uniti. I miei genitori non erano soliti a litigare quindi quella volta mi toccò particolarmente e non feci altro che pensarci per tutte quelle ore che passai in bianco; le parole che si erano urlati contro mi rimbombarono nella testa, angosciandomi ancora di più.

Avrei voluto addossare loro tutti i miei pensieri e fargli capire che sarebbe stato meglio una separazione piuttosto che vivere ogni giorno un matrimonio infelice, avrei voluto dirgli che avrei preferito soffrire da bambino e pormi domande come "perché mamma e papà non vogliono più stare insieme?" che capirne il vero significato da adulto e finire per sentirmi colpevole delle loro litigate e delle loro scelte sbagliate. Ero grande abbastanza per capire che l'amore tra due persone alle volte smetteva di esistere tuttavia non ero grande abbastanza per poter affrontare quella situazione senza farmi coinvolgere emotivamente.

Riuscii ad addormentarmi solo qualche minuto prima che quella maledetta sveglia cominciasse a suonare così istintivamente la bloccai e sfinito e assonnato, caddi di nuovo nel sonno più profondo.

Un'improvvisa chiamata però mi fece letteralmente cadere dal letto e guardando l'orario mi accorsi di essere ancora in tempo per entrare alla seconda ora; mi preparai di fretta e furia e una volta fuori casa richiamai Hoseok, l'unica persona che notando la mia assenza, ebbe la decenza di svegliarmi.

"Amico, siamo solo alla prima ora ma sei già ricercato" mi informò con un risatina sapendo ormai la mia situazione con Kim. Avevo avuto modo di parlargli dello strano legame che stavamo creando e di raccontargli tutto ciò che successe; a sua volta lui l'avrebbe detto a Yoongi, era una catena di amicizia che rispettavamo da anni ed era molto efficace per tenerci aggiornati su tutto ciò che ci capitava.

"Cosa vuole adesso?" mi lamentai.

"Cazzo Jungkook puoi saltare le lezioni e sei giustificato, goditi queste ore di paradiso" mi fece notare e potei dunque constatare che il pessimismo della sera prima lo aveva completamente abbandonato.

"Sto arrivando, grazie Hobi" dissi e attaccai per poter velocizzare il mio passo senza alcuna distrazione.

Dopo ciò che feci l'ultima volta e dal modo brusco in cui c'eravamo lasciati, non credevo che il biondino si sarebbe azzardato di nuovo a chiedere della mia presenza ma se era una specie di seconda possibilità non me la sarei fatta scappare. Il giorno precedente, dinnanzi a lui avevo finito per comportarmi come un bambino voglioso di mettersi in mostra e avevo colto il mio errore solo qualche istante dopo; mi sentivo uno stupido ma nello stesso tempo non vedevo l'ora di poter rimediare al mio sbaglio. Lui avrebbe solo voluto imparare da me per poter svolgere al meglio il suo lavoro ed io mi sarei dovuto attenere ai suoi ordini e basta.

Da quel momento mi sarei limitato alle sue richieste e avrei eliminato ogni tipo di giochetto e ogni genere di provocazione.

Quel giorno mi sarei impegnato il più possibile, volevo essergli utile così avrebbe potuto finire gli scatti ed io avrei ricominciato le mie lezioni e la solita noiosa routine. Era passata meno di una settimana ma mi stavo già abituando ad avere quel biondino qui con me; la scuola era in totale subbuglio per la sua presenza ma averlo tra i piedi era inspiegabilmente piacevole nonostante tutto.

Una volta arrivato mi feci aprire il cancello e camminai verso l'edificio. Il mio cuore perse un battito quando lo vidi poggiato al muretto vicino l'entrata con uno sguardo pensieroso e una sigaretta tra le labbra mentre io mi strinsi nel mio zaino e mi diressi verso di lui, non potendo fare altrimenti dato che si era posizionato proprio davanti l'ingresso. Quando mi notò ebbi come l'impressione che cercasse di trattenersi però avrei potuto giurare di averlo visto accennare un piccolo sorriso.

"Perché stai entrando in ritardo?" mi domandò senza neppure salutarmi prima.

"E perché tu sei qui fuori ad aspettarmi?" gli chiesi a mia volta facendogli fare una smorfia di dissenso che fece intendere la sua risposta alla mia domanda.

"Sto fumando" disse scollando le spalle. Mi avvicinai e con un gesto delicato gli levai la sigaretta dalla bocca, era appena stata accesa ma stranamente non si oppose.

"Ti fa male, dovresti smettere" sussurrai e come risposta mi soffiò in viso una boccata di fumo, al che gliela buttai per terra e dopo aver tossito un paio di volte, gli feci un cenno con la testa in modo che mi seguisse dentro.

"Mi accompagni a fare il permesso?" gli domandai istintivamente ma me ne pentii un secondo dopo, mi venne spontaneo chiederglielo dato che eravamo insieme, forse però non avrei dovuto farlo. "Cioè non ti sto costringendo, volevo solo un po' di compagnia ma se hai..."

"Ehi frena" mi interruppe mettendo le mani davanti a sé. "Non vedi che lo sto già facendo? Ti avrei accompagnato anche se non me l'avessi chiesto" esclamò e a quel punto in silenzio ci dirigemmo in segreteria e aspettai il mio turno seduto su una sedia, fino a quando non si sedette anche Kim accanto a me.

"Stai bene?" mi chiese improvvisamente e ciò mi portò ad alzare lo sguardo di scatto, quasi stordito dal suo interesse.

"Perché me lo domandi?" dissi un po' perché non sapevo come rispondere e un po' perché ormai era diventata una domanda frequente e quasi di routine ma in quanti erano disposti ad ascoltare e a sapere realmente lo stato d'animo della persona a cui gli veniva posta quella determinata domanda?

"Sei strano rispetto al solito, non mi hai ancora assillato con le tue paranoie"

"Non sono in vena oggi" sussurrai abbassando di nuovo il viso, in quell'occasione preferivo fissare le mie scarpe piuttosto che provare a reggere il suo sguardo ammaliante.

"Come mai?" insistette ed io sospirai pesantemente, non era facile parlare di determinate cose ma dentro di me volevo trovare il coraggio per poterlo fare. "Sai, sono un ottimo consigliere" esclamò mostrandomi per la prima volta il suo sorriso spontaneo e pensai che fosse molto più bello di quel solito ghigno che si ostinava a mostrare.

"Parlami" disse tornando serio con un tono di voce che mi fece venire quasi la pelle d'oca; sembrava intenzionato a scoprire cosa avessi ed io in fondo avevo davvero bisogno di parlarne con qualcuno, così provai a lascirmi andare.

"Ecco... " presi un bel respiro. "Ho paura che i miei non si amino più" chiusi gli occhi come se mi stesse per arrivare un pugno a causa della vergogna; dire una frase del genere ad alta voce mi dava l'impressione di essere ridicolo, soprattutto se davanti a me si trovava una persona come lui.

"È questo che ti turba?" chiese semplicemente ed io annuii anche se in realtà a farmi stare male erano una serie di cose che non avevo voglia di raccontare per paura di soffocarlo con i miei stupidi problemi adolescenziali. "Penso solo che tu te ne sia accorto troppo tardi" parlò incrociando le braccia dietro la nuca.

"In che senso?"

"Nessuno si ama dopo il matrimonio Jungkook, si sta insieme per abitudine o per il bene dei figli. Non essere triste se li vedi litigare, non avranno mai il coraggio di lasciarsi, fidati di me"

"E tu cosa ne sai?"

"L'avrebbero già fatto, non credi?"

Non mi piaceva ammetterlo ma aveva pienamente ragione, non conosceva la mia situazione eppure aveva colto tutto alla perfezione. Non mi sentii per niente meglio ma perlomeno ne avevo parlato con qualcuno e questo mi sollevò un minimo il morale. I miei genitori probabilmente non si erano mai amati mentre io fino a qualche giorno fa credevo nella famigliola perfetta? Wow che perfetto idiota.

"Tu non credi nell'amore, non è così?" gli chiesi immaginando già la risposta, si poteva benissimo dedurre dal suo precedente discorso e dal fatto che rimase freddo e indifferente anche alla mia ultima domanda.

"Solitamente non credo a nulla di ciò che non vedo" disse semplicemente, alzandosi dalla sedia e allontanandosi dalla sala d'attesa.

Rimasi lì con i miei pensieri e poco dopo anch'io mi resi conto di non aver mai conosciuto una forma di amore o anche qualcosa che si avvicinasse a quel sentimento fin troppo puro. Non l'avevo mai visto con i miei occhi e non l'avevo neppure percepito sulla mia pelle.

Forse non eravamo poi così diversi noi due...

Spazio Autrice

Eccomi sono viva!! Cosa ne pensate del capitolo?

Avrei dovuto aggiornare ieri ma ho avuto un po' di difficoltà a scriverlo perché i pensieri di Jungkook mi toccano particolarmente, comunque alla fine ce l'ho fatta, spero vi piaccia^

-Federica

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top