Prologo
Ogni giorno vedo sempre la stessa storia.
Le persone che camminano di fretta, con passi lunghi e veloci e con i loro occhi puntati negli orologi che hanno al polso. I loro visi sempre stressati e stanchi, durante tutta la settimana. Le auto che sfrecciano per andare a lavoro o nei locali e gli stessi palazzi grigi, alti, cupi e se non hai la fortuna di vivere agli ultimi piani, riesci a malapena a vedere le piccole stelle che riflettono nel cielo. A volte è così frustrante vivere in una città come Milano e mi sono sempre ripromessa che appena sarei diventata maggiorenne, senza guai e senza casini, sarei andata il più lontano possibile ed adesso è arrivato il mio momento.
Mi chiamo Marisol, ho diciannove anni ed una valigia sotto al letto che mi aspetta questa notte.
"Marisol mi ascolti o vuoi continuare a vedere le macchine che passano?" Mi giro verso Nico, l'unica persona che è rimasta al mio fianco e di cui mi fido ciecamente. Annuisco cercando di ricordarmi almeno una singola parola del discorso che ha appena fatto.
Dannazione, ma per quanto tempo ha parlato?
"Ti stavo dicendo che stasera andiamo al Madison." Ripete... evidentemente mi si legge in faccia che non ho sentito nemmeno una sillaba. Accenno una smorfia ma non replico "Ti vengo a prendere alle dieci. Non un minuto più tardi." Mi avverte.
Io non tardo mai, è inutile che me lo ricordi sempre, anzi sono in anticipo tutte le volte.
Alzo un mano mentre scendo dalla macchina e lo saluto dirigendomi a casa. Mancano più o meno due ore alle dieci, così decido di mangiare un boccone alla svelta e mi fiondo dentro l'enorme doccia.
Non mi sono mai sentita così tremendamente sbagliata in questo mondo, così ferita. Non capisco il motivo per cui il destino mi ha riservato questo bruttissimo scherzo, non lo capisco proprio. Non bastava tutto quello che ho dovuto passare? Quattro fottuti anni della mia vita! Quattro anni bruciati come carta per il camino. Mi fa male tutto ma, allo stesso tempo, niente.
Sto correndo come una pazza che ha appena svaligiato un supermercato, ho la fronte calda e delle goccioline di sudore iniziano a scendere verso le tempie.
Sembra che le mie gambe non mi appartengano più, ho il fiato corto e pesante ma non mi fermo. Vado contro la gente, l'unica che non segue la massa e forse è sempre stato il mio destino, andare contro corrente, essere sola, lasciare indietro tutto e tutti.
Come hanno potuto, lui come ha potuto! Era l'unico che sapeva, l'unico che doveva sapere che...
Sento gli occhi che iniziano a bruciare e non aspetto, apro immediatamente l'acqua gelata e mi accascio contro la parete cercando di ritrovare me stessa. Non lo permetterò più, non deve accadere.
Non posso permettermelo, non vivrò nel passato e non lascerò che il mio presente diventi ancora più schifoso di com'è ora e senza pensarci due volte chiamo Nico mentre mi vesto.
"Vienimi a prendere, subito. Mi serve un grande favore." Annuncio mentre allaccio le mie Superga nere preferite.
"Non mi devo preoccupare, vero?" Sento l'affanno nella sua voce, ciò significa che sta correndo verso la macchina, dopo i sei piani di scale che ha appena fatto.
Che genio, l'ascensore proprio non gli piace.
"Muoviti." Affermo e chiudo la chiamata senza aspettare una risposta lanciando il cellulare nel muro, disintegrandolo.
Infilo le ultime cose nella valigia e prendo il mio zainetto, nero borchiato, cercando il portafoglio. Controllo tutte le carte di credito che ho cambiato, mettendoci i soldi che sono riuscita ad accumulare negli anni e ci metto anche i miei nuovi documenti e il cellulare nuovo. Chiudo lo zaino, prendo il mio cappellino nero ed esco da questa maledetta casa.
Per fortuna, i miei stupidi genitori non ci sono. Che novità!
Aspetto l'ascensore ma riflettendoci, prima che arrivi al sedicesimo piano, sarei già a metà strada prendendo le scale. Così mi ci fiondo, con una velocità innata e corro fino ad arrivare al portone del palazzo, sana e salva. Incontro, subito dopo, gli occhi delusi e arrabbiati di Nico e sposto lo sguardo sul suo viso paonazzo, così giallo che sembra un cinesino carino carino.
Tu non stai bene, ti serve decisamente qualche cura psichiatrica tesoro mio!
Continuo a guardare Nico e per un momento ho pensato che stesse per crollare ai miei piedi.
Mi rilasso leggermente quando noto il suo viso cambiare espressione e rassegnarsi mentre il suo sguardo scivola alla valigia enorme che è vicino alle mie gambe. Apro lo sportello e senza dire una parola salgo.
E' arrivato il momento.
"Dimmi almeno dove andrai?" Sussurra come se qualcuno ci sentisse, ma non c'è nessuno tranne noi. So che questa situazione lo distrugge, che ultimamente ci siamo uniti molto, ma ho deciso. Non posso aspettare oltre e uccidermi interiormente, non posso lasciare che i miei incubi mi divorino. Ho bisogno di staccare, di curare le mie ferite e rinforzarle ancora di più.
"Non posso, ti chiamerò ... te lo prometto." Io non prometto mai niente, ma quando lo faccio, mantengo sempre la parola data e Nico ne è a conoscenza.
Mi scruta in viso in attesa che arrivi il verde del semaforo e continua a guidare fino all'aeroporto senza dire più una parola.
Mi soffermo un attimo a guardarlo, perché non voglio cancellarlo dalla mia memoria. Non so quanto starò via da Milano ma lui è l'unico a capirmi quando io non parlo, l'unico a starmi vicino quando io ne ho più bisogno. Lui c'è sempre stato e non è giusto lasciarlo indietro così, come non è giusto che io rimanga a Milano e lui lo sa bene.
E' per questo motivo che, la prima volta che gli dissi che avevo deciso di andarmene, lui non replicò e soprattutto, quando gli annunciai che lo sapeva solo lui, aveva capito che non avevo intenzione di dirlo a nessun'altro. Lui ha sempre saputo tutto e niente, ma non ha mai detto una parola. Mai.
Non ha mai preteso né ha mai fatto domande dirette ed esplicite riguardo la mia vita. Ha sempre aspettato che venisse da me la sua risposta tanto attesa, ha sempre cercato di trovare le risposte nei miei silenzi e nei miei occhi.
Non mi ha mai giudicato, nemmeno una sola volta, dopo avergli raccontato qualcosa sul mio passato e questi sono tutti punti a suo favore ed è esattamente per questo che posso fidarmi!
"Non guardarmi così. Sai benissimo che mi mancherai e so perfettamente che non serve che te lo spieghi, ma avevo bisogno di dirtelo, non voglio che tu lo dimentichi." Dice girandosi verso di me spegnendo la macchina.
Non mi ero accorta dell'arrivo, ma a quanto pare ci siamo.
"Grazie." Una sola parola che ne nasconde altre cento.
Nico mi fa cenno di andare e mi lascia un delicato bacio sulla fronte. Come sempre, come ogni volta che mi dà la buonanotte sotto casa, come ogni volta che sono crollata e lui era lì a fianco a me, come ogni volta che mi regalava qualcosa o che voleva dirmi di stare attenta.
Questo è il piccolo saluto di un 'arrivederci'. Questa è la sua dimostrazione che non mi lascerà, nemmeno con centinaia di chilometri di distanza.
Esco dalla macchina il più in fretta possibile, decisa a prendere quel maledetto aereo ed allontanarmi da qui, subito.
E senza girarmi, neanche una volta, lascio la mia vita abbandonata qui a Milano.
Abbandonata?
Sì abbandonata, così se un giorno tornerò, non sarò più Marisol.
*****
Questa storia l'ho iniziata per gioco, ma con tutte le idee che ho buttato giù, ho deciso di pubblicarla, spero che come ha coinvolto me, coinvolga anche voi.
So, assolutamente, che il prologo è molto corto, ma vi giuro che andando avanti avrete molto da leggere. Pubblicherò il primo capitolo a breve e spero che vi piaccia.
Vi auguro una buona lettura, un bacio.
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