30. Sola.

«Papà», cerco di mantenere la calma, ma la voce stridula mi tradisce immediatamente, «Ti ho già chiesto di non parlare in questo modo a Matthew».

Lui mi scruta con i suoi grandi occhi azzurri e sembra volermi uccidere attraverso lo sguardo, «Non metterti contro di me, Samantha», parla piano e si avvicina di più al mio letto, «Sai di cosa sono capace», e un brivido percorre la mia schiena perché so perfettamente che è in grado di rovinare la vita delle persone con un semplice schiocco di dita.

Sto per ribattere, ma il dottore decide di difendersi da solo, «Le sue minacce non mi spaventano, signor Jersey. Il suo orgoglio mi fa quasi ridere, ad essere sincero. Sembra un bambino stupido e viziato e davvero sto cercando di trattenermi dal mandarla a fanculo».

Oh, no.

Mio padre serra le labbra, Matthew stringe i pugni e si dirige verso la porta, «Facile sputare odio sulla gente, vero signor Jersey? Non mi conosce nemmeno e non ha il diritto di parlare di me. Adesso io ho del lavoro da fare, lei rimanga qui ad infangare il mio nome oppure vada a fare delle analisi, non importa», apre la porta e mi lancia una veloce occhiata prima di andare via, ma poi torna indietro e sorride malefico, «Ah, non c'è di ché comunque, è stato un piacere salvare la vita di sua figlia. Almeno lei lo merita», detto questo, se ne va senza voltarsi più indietro.

Uno a zero per Matthew Jackson.

Mio padre punta il dito contro di me e deglutisce, «Non frequenterai mai più quel maleducato, sono stato chiaro?»

«Papà»
«Non contraddirmi, Samantha»
«Papà , per favore», cerco di parlare, ma lui non mi lascia finire il discorso.
Devo fare ciò che dice lui.
Deve parlare solo lui.
Ha ragione sempre e solo lui.
Sempre.

«Avevi Josh e hai rovinato tutto, Samantha. Hai lasciato un bravissimo ragazzo per stare con quel verme?»
«Non è un verme», ringhio, le mie mani tremano, «Non è un verme», ripeto ancora, presa da un improvviso impeto di rabbia, «Josh è un verme. Josh probabilmente ha cercato di uccidere tua figlia con dell'arsenico».

Inarca un sopracciglio e corruga la fronte, «Ma cosa diavolo stai farneticando? Josh non farebbe mai una cosa del genere»

«Vai a fare delle analisi, probabilmente sei pieno di arsenico anche tu»
«Josh ti ama, Samantha. Josh è un ragazzo per bene. Forse è stato proprio quel Matthew Jackson a tentare di ucciderti»
«Non è  stato Matthew!», urlo e la mia voce rimbomba tra queste quattro mura bianche, adesso non riesco a controllare le mie lacrime, «Scoprirò chi è stato, ma nessuno mi toglierà dalla testa il nome di Josh».

Morde le sue labbra e deglutisce ancora, «Ad ogni modo, non ti permetterò di rivedere quel ragazzo»
«Beh, non rivedrai più tua figlia allora», sento il mio cuore battere velocemente e per un attimo temo di avere un attacco cardiaco da un momento all'altro, «Se non accetti ciò che mi rende felice, papà, questa la mia decisione».
Sorride amaramente e scuote la testa, «Vergognati», dice, poi va via sbattendo la porta ed io scoppio a piangere.
Per me, per lui, per tutto quello che mi sta succedendo.
Voglio solo essere felice.

Tre giorni dopo mi ritrovo a casa circondata solo dai libri e dalla mia tristezza.

Non so niente di mio padre, non conosco l'esito delle sue analisi e probabilmente non avrò notizie per ancora un bel po' di tempo.
Per quanto riguarda me, sto cercando di riprendere in mano la mia vita con scarsi risultati.
Mi sento sola.
Non esco da giorni, non parlo da giorni.
E Matthew si è come volatizzato nel nulla.

Mi ritrovo a pensare che forse ha deciso di abbandonarmi anche lui, del resto mi sto abituando alle persone che mi voltano le spalle.
Afferro il cellulare e sospiro, quindi decido di buttare nel gabinetto la mia dignità e di chiamare Matthew Jackson.

Il mio cuore comincia a battere più veloce mentre aspetto di sentire la sua voce bassa e rauca.
Le palpitazioni sono inutili, comunque.
Non risponde.
Bene.
Perfetto, Samantha, va tutto bene.
Sei sola.

Respiro profondamente e trattengo le lacrime mentre metto un po' di musica e vado a fare una doccia. Anche se non devo andare da nessuna parte arriccio i miei capelli e mi trucco perché non riesco più ad osservare la mia faccia pallida.

Spruzzo sul collo del profumo e poi rimango sul letto per circa un'ora a fissare le tende bianche.

Immobile.

Sono arrabbiata, delusa e triste al tempo stesso.

Perché mi ignora se sa perfettamente cosa sto passando?

Trattengo un urlo e mando un messaggio a Katie: "Voglio uscire, ti va?".

E sorrido quando lei, ovviamente, mi dice che sta arrivando insieme ai rinforzi.

Ti adoro, Kat.

Dopo due ore siamo in un locale insieme ad altri nostri colleghi, ma la mia tristezza non è per niente andata via, anzi. Vedere la gente che beve e si diverte mi deprime ancora di più, se possibile.

Intanto Frank, un nostro collega, continua a parlarmi di bilancio e statistica, dicendo tra una frase e l'altra che sono bellissima.

Annuisco senza ascoltare davvero e sorseggio il mio vino bianco.

Voglio già andare via.

Il vino mi va di traverso quando il mio cellulare squilla e leggo il nome di Matthew sullo schermo. Rispondo quasi immediatamente, ma la musica è troppo forte e non riesco a sentire una parola, quindi dico a Katie che torno tra un attimo ed esco dal locale.

Una folata di vento fa ghiacciare le mie gambe lasciate scoperte dal vestitino nero che indosso.

Il cellulare squilla ancora una volta e cerco di non sembrare troppo felice di sentire la sua voce, «Pronto?»

«Ti dai alla pazza gioia, principessa?», il suo tono di voce divertito e mi dico da sola che sono una stupida perché lascio condizionare il mio umore dalle azioni di un'altra persona.

«Ehm, non proprio», ammetto e mi stringo nelle spalle.

«Dove sei?»

«Oh, un locale sulla ventiquattresima»

«Con?», indaga, lo immagino mentre socchiude gli occhi e morde il suo labbro.

«Sono venuta qui con Katie, ma si sono aggiunti alcuni nostri colleghi», mi appoggio al muro e sorrido al bodyguard che sta ascoltando tutta la mia conversazione con finta disinvoltura.

«Mh», un attimo di pausa e poi torna a parlare, «Ti dispiace se vengo anch'io? Ho finito adesso il mio turno e vorrei bere una birra insieme a te».

Il mio cuore comincia a fare le capriole e una strana ansia si fa già sentire all'altezza dello stomaco.

«Certo, vieni pure. Siamo al Long Island»

«Sarò lì, principessa, a dopo».

E rientro nel locale con il sorriso di una bambina a Natale.

Quando torno dagli altri sorrido anche al noioso Frank che torna a parlare di statistica.

Annuisco e bevo il mio vino, questa volta lo ascolto e rispondo fingendomi interessata all'argomento.

Lui si passa una mano tra i capelli neri e sorride avvicinando il suo sgabello al mio, «Ti va di ballare?».

Mai.

«Come, scusa?», fingo di non aver capito e lui mi fa la stessa domanda.

Sto per rispondere, però una mano si poggia sul mio fianco e non ho bisogno di voltarmi per capire che Matthew Jackson è arrivato.

Lo capisco dall'espressione sconcertata di Frank, dal profumo speziato che arriva alle mie narici e dagli occhi sognanti delle mie colleghe.

Il dottore lancia un'occhiataccia al mio collega e mi stupisco nel sentire le sue labbra contro le mie.

Non sono abituata a tutto questo.

«Ciao», sorride e afferra la mia mano, quindi fa un cenno col capo in direzione del bar, «Vieni con me a bere?», e non me lo faccio ripetere due volte.

Camminiamo in mezzo alla folla mano nella mano e respiro a fatica.

Sono consapevole di essere del tutto cotta.

Andata.

Ci sediamo e il dottore ordina due birre, dunque ne spinge una verso di me e strizza l'occhio prima di berne un sorso.

«Chi era quello sfigato?», è questa la prima cosa che ha da dire dopo tre giorni di assoluto silenzio.

«Chi? Frank? Non è uno sfigato».

Scoppia a ridere e scuote la testa, il suo ciuffo castano è già in disordine, «Aveva scritto la parola NERD in fronte»

«Non è vero», trattengo una risata e cerco di difendere il mio collega con scarsi risultati.

Il dottore morde il suo labbro e schiocca un bacio veloce sulle mie labbra prima di continuare a parlare, «Ci provava con te ed era convinto di poterci riuscire», l'argomento sembra divertirlo parecchio.

Continua a prendere in giro Frank e poi ordiniamo altre due birre.

Mi racconta della sua giornata al lavoro e si diverte a disgustarmi descrivendomi l'intervento che gli hanno fatto fare oggi.

Ride tanto ogni volta che trattengo un conato di vomito e di tanto in tanto mi paralizza sul posto con dei baci improvvisi.

Dovrei essere arrabbiata con lui, dovrei chiedere delle spiegazioni per la sua assenza, ma davanti ai suoi occhi neri non riesco a pensare ad altro se non alla voglia che ho di baciarlo.

Si accorge che lo sto fissando, «Smetti di guardarmi in quel modo, principessa», il suo sembra un avvertimento.
«In che modo?».
Decide di non rispondermi, dunque mette delle banconote sul bancone e si alza, «Andiamo via da qui, ho bisogno di stare da solo con te».
E cerco con tutta me stessa di non svenire.
Forza, Samantha Jersey, non aver paura.
Ma sto già tremando.
Perché sono così ansiosa?
Calma, Sam.
Mantieni la calma.
Okay?

HI GUYS!
Come state?
Io rotolo.
Letteralmente.
Sono sazia da giorni, ma continuo a mangiare ed è tipo un circolo vizioso e nonna mi picchia se non mangio. 😂😂
Quindi boh, spero che anche voi abbiate mangiato tanto.
Come avete passato il Natale?
Spero bene.
Ho scritto oggi questo capitolo e ho deciso di pubblicarlo adesso perché non so quando avverrà il prossimo aggiornamento, ma spero presto.
Probabilmente questo è l'ultimo dell'anno 🤔
Comunque, non accade molto in questo capitolo, quindi non ho domande a parte cosa ne pensate di tutto in generale.
E voglio spoilerarvi che nel prossimo avverranno un po' di cose 😈😈 secondo voi di che si tratta?
😈😈
Buona notte fanciulle, aspetto i vostri commenti.
Un bacio grande.


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