18. Cinthia Stewart.

Mi trovo al Barrington's Restaurant, uno dei ristoranti più lussuosi e raffinati del North Carolina.
Sto bevendo del vino rosso e davanti a me c'è un Josh stranamente allegro e disposto a perdonare.
Che cosa deve perdonarmi, poi, non l'ho ancora capito.
Non potevo mica lasciare morire un ragazzo e guardarlo soffrire senza prestare soccorso, insomma.

Lo trovo irritante mentre mi parla del suo lavoro e affogo il mio nervosismo nell'alcool.
Ancora un po' di vino e questa tensione andrà via.
«Tesoro, ho portato dei documenti che devi firmare», afferra la sua ventiquattrore e posiziona dei fogli accanto al mio piatto.
Lancio una veloce occhiata e inarco un sopracciglio, «Cosa sono?»
«Oh», le sue labbra sottili formano un sorriso e i suoi occhi azzurri si illuminano, «È per la festa di tuo padre, piccola, devi dare il consenso anche tu perché è una festa organizzata dalla tua famiglia».
Boh.

Mi porge una penna e indica i punti in cui devo firmare, io sbuffo e sfoglio le pagine velocemente, «C'è qualcosa in particolare che necessita una lettura approfondita?».
Scuote la testa, «Ho già letto tutto io, tranquilla».
Non ho voglia di stare a controllare e Josh é sempre stato onesto con me, quindi annuisco e firmo, poi torniamo alla nostra cena.

Afferra la mia mano, «Questo abito rosso ti sta un incanto», dice, «Molto natalizio», mi prende in giro ed io ridacchio.
«Natalizio? È il massimo che sai dire, Josh?».

Adesso si morde il labbro e si sporge in avanti, «Sai che non è proprio "natalizio" l'aggettivo a cui sto pensando, tesoro»
«No?»
«No», sussurra, quindi chiama il cameriere per farsi portare il conto.

«Ho troppa voglia di stare da solo con te», farfuglia poi mentre si alza in fretta ed io lo seguo.
Prendiamo l'ascensore e lui ne approfitta per incastrarmi contro la parete e per baciarmi in modo appassionato.
Le mie guancie sono accaldate, le sue mani si muovono veloci sul mio corpo.
Prima che le porte dell'ascensore si aprano, si sposta di scatto e mi sistema una ciocca di capelli che non era più al suo posto.

Usciamo dall'edificio mano nella mano e il vento freddo mi fa rabbrividire.
Sembra come due anni fa, all'inizio della nostra relazione: non avevamo problemi, non avevamo troppi impegni e c'era sempre del tempo per baciarsi.

Adesso il suo cellulare suona e lui  risponde.
Ascolto la sua conversazione e a poco a poco la mia rabbia cresce.
Sta dicendo ad un cliente che possono vedersi tra mezz'ora nel suo ufficio.
Ma sta scherzando?

Riattacca e mi rivolge un sorriso imbarazzato: sa già che non la passerà liscia.
«Amore, questo cliente ha davvero bisogno di parlarmi ed è un signore molto impegnato. Vorrei fargli il favore di riceverlo questa sera», spiega in fretta e aspetta una mia risposta.

Incrocio le braccia al petto e sono sicura di aver assunto un'espressione schifata, «Sei con me adesso, sei impegnato»
«Ti accompagno a casa», mormora, «Vado in ufficio e poi magari posso tornare da te».
Cerca di accarezzarmi il viso, ma mi scanso e lo fulmino con lo sguardo.

Sento la rabbia che ribolle nel mio stomaco e sale fino al cervello.
«Vuoi andare in ufficio, Josh? Vai pure, io chiamo un taxi»
«Sam», boccheggia per qualche istante e afferra la mia mano, «Non fare così»
«Non c'è nessun problema», esce fuori come un ringhio, «Vai in ufficio. Ci vediamo dopo».
Mi guarda per qualche istante, poi lascia un bacio sulla mia guancia e se ne va.

Che idiota.
Dio, Samantha Jersey, ma perché tutte a te?

Mordo l'interno della mia guancia e chiamo un taxi, poi tiro fuori dalla mia borsa una sciarpa bianca e la sistemo attorno al mio collo.
Fa troppo freddo.
Rimango ferma lí, sul ciglio della strada, per almeno quindici minuti.
Le macchine sfrecciano davanti ai miei occhi ed io continuo ad essere congelata.
Ma che fine ha fatto il mio taxi?

La mia vista si appanna e ordino a me stessa di non piangere.
Stupido nervosismo.

Una moto si avvicina pericolosamente al marciapiede e indietreggio di scatto, traballando sui miei tacchi.
Trattengo un urlo e deglutisco quando si ferma proprio davanti a me.

Andiamo, Samantha Jersey, ci sono un sacco di persone accanto a te, non ti aggredirà nessuno qui.
Osservo il possibile stupratore mentre si toglie il casco e sospiro di sollievo: è Matthew Jackson.
Perché sono così paranoica?

Punta i suoi occhi scuri su di me, le labbra rosse sono serrate e il suo viso è ancora pallido.
«Va tutto bene?», si passa una mano tra i capelli castani e mi trapassa con lo sguardo.
«I-io stavo aspettando un taxi», balbetto in modo vergognoso.
«Sei venuta qui da sola?»
«No, ero con Josh, ma ha avuto un contrattempo»
«Che coglione, lo immaginavo», mi porge il casco e fa un cenno col capo in direzione della sella, «Salta su, non voglio che tu rimanga sola sul marciapiede ancora»
«Il mio taxi sarà qui tra poco», mormoro mentre i miei piedi si muovono senza nessun controllo verso di lui.

«Beh, puoi rimanere qui da sola a morire di freddo o puoi venire con me in un posto e poi tornare a casa. Però sbrigati a prendere una decisione, non ho tutta la notte».
Stronzo.

Mi mordo il labbro e sospiro, poi salgo sulla moto e sistemo meglio la mia gonna.
Scivolo verso la sua schiena e circondo la sua vita con le braccia.
«Aspetta un attimo», sussurra, quindi si toglie la sua giacca di pelle nera lentamente, «Prendila tu, ti verrà una polmonite con quel vestito del cazzo»
«Ma da quando usi un linguaggio così scurrile?», borbotto mentre indosso la sua giacca.

Il suo profumo invade le mie narici e chiudo gli occhi in modo automatico.
«Da quando ti vesti così per un idiota che non lo merita», poi parte e sussulto, mi stringo a lui e i brividi percorrono tutto il mio corpo mentre sorpassa tutte le auto che si trova davanti.
Guida come se fosse immortale.

Appoggio la mia guancia sulle sue spalle e lo sento irrigidirsi sotto il mio viso.
Sfrecciamo sull'asfalto e chiudo gli occhi fino a quando la moto non si ferma.
Il mio cuore batte velocemente e non è a causa della  velocità.

Scendo dalla moto e Matthew fa lo stesso subito dopo; metto tra le sue mani il casco e sospira prima di guardare un punto alle mie spalle.
Adesso mi giro anch'io e corrugo la fronte, «Dove siamo?»
«È... », si schiarisce la voce, «È casa di Cinthia».
Ah.

«Ti-ti aspetto qui», sussurro e lui punta i suoi occhi scuri nei miei.
È dannatamente serio.
«Non mi chiamo Josh, principessa. Non ti lascerò su un marciapiede da sola ad aspettare», quindi comincia a camminare in direzione della porta ed io lo seguo, titubante.

Suona il campanello e ad aprire è una signora che abbraccia Matthew e mi rivolge una strana occhiata, «Grazie per essere venuto», dice, «Non so proprio cosa fare».
Matthew le sorride gentilmente e la oltrepassa, dunque borbotto un "buona sera" ed entro anch'io.

Attraversiamo uno stretto corridoio e arriviamo davanti ad una porta bianca.
Adesso il dottore si concede un respiro profondo e si morde il labbro, «Ti prego», bisbiglia, «Dopo quello che vedrai, non dire una parola».

Io muoio di paura, ma annuisco.
Cosa troverò oltre quella porta?

Deglutisco e cerco di darmi una calmata, ma le mie mani tremano.
Matthew abbassa la maniglia e finalmente entriamo.

La prima cosa che vedo è una scrivania riversa a terra, poi del vetro sparso sul pavimento, dei vestiti e una sedia rotta sul letto.
Sia io che il dottore ci fermiamo ad osservare il caos che regna in questa stanza, poi strozzo un urlo non appena vedo Cinthia stesa a terra.

Muovo un passo verso di lei, ma Matthew mi blocca immediatamente e mi uccide con lo sguardo.
Okay, non mi muovo.

È sdraiata sul pavimento, indossa un pigiama a strisce bianche e blu e fissa il tetto, immobile.
Un senso di pietà sale fino all'altezza dello stomaco e lancio un'occhiata confusa a Matthew che si schiarisce la gola e finalmente attira l'attenzione della ragazza.

Cinthia, come in un film Horror, gira piano la sua testa verso di noi e punta i suoi occhi grigi su di me.
Occhi vuoti, tristi.
Ancora una volta ho i brividi.

Ha un taglio sulla fronte e del sangue attraversa il suo viso dai lineamenti perfetti.
«Scusa», dice piano, «È successo ancora».

Matthew cammina lentamente verso di lei e si abbassa per controllare la ferita.
Lascia un bacio tra i suoi capelli e le accarezza una guancia, «Non preoccuparti, piccola, va tutto bene», poi si alza e torna a guardare me.
«Vado a prendere qualcosa per medicarla», tossisce e si morde il labbro, quindi sussurra al mio orecchio un "Non avere paura".

E mi lascia sola, qui, nella stanza di una probabile psicopatica.
Non avere paura?
Ma stai scherzando?

Cinthia continua a fissarmi ed io tremo in modo piuttosto evidente.
Lei, comunque, non si è ancora mossa.
«Vieni qui», la sua voce si sente a malapena.
Oddio, non ci penso proprio.
«Sto-sto be-bene qui»
«Vieni qui», ripete, questa volta mi rivolge un sorriso, «Coricati accanto a me».
Merda.

La porta è socchiusa, ma di Matthew non c'è nemmeno l'ombra.
Con passo tremante mi avvicino a lei e faccio come mi dice.
Mi stendo sul pavimento e osservo il tetto per evitare di incrociare ancora una volta il suo sguardo.
Non uccidermi.
Non uccidermi.

«Hai paura?», afferra il mio polso di scatto ed io sussulto, ma evito di urlare come vorrei.
Aiuto.

«No», mento e mi giro piano verso di lei, i suoi occhi grigi sono fissi nei miei.
«Gli altri dicono di non farle entrare», bisbiglia, «Mi dicono di chiudere gli occhi e di pulire i miei pensieri».
Eh?

«Ma quando sono sola», continua e una lacrima attraversa il suo viso, «Loro entrano nella mia testa»
«Loro chi?»
«Le voci», le sfugge ancora una lacrima, «Gli altri mi dicono di non arrendermi così presto, ma mi sento soffocare», un singhiozzo esce dalle sue labbra e si porta una mano alla bocca.

Adesso anche la mia vista è annebbiata e trattengo con tutta me stessa la voglia che ho di piangere.
Questa ragazza sta male davvero, dannazione.
«Però c'è Matthew», dice tra un singhiozzo e l'altro, «È il mio angelo, lui non si arrende».

Cala il silenzio e mi giro in direzione della porta per non farle vedere che sto piangendo.
Troppa empatia, Samantha Jersey, smettila di frignare.

Appoggiato al muro c'è Matthew che ci fissa in silenzio, adesso i nostri sguardi si incrociano e il suo pomo d'Adamo fa su e giù.
Cinthia continua a parlare, «Gli altri dicono che non sarà difficile, ma la vita è così dolorosa e i-io ho paura».

Il dottore tira su col naso e si avvicina a noi, aiuta Cinthia a mettersi seduta e afferra il suo viso tra le mani per controllare ancora una volta quel taglio.
Sto ancora tremando e ho la nausea.
Perché esistono queste cose nel mondo?

«Lui si porta via il dolore e le paure», mi dice Cinthia, «È una bella anima».
Deglutisco e mi alzo lentamente, «È una bella anima», confermo e lei sorride leggermente.
«Anche tu sei una bella anima», mi dice, sembra una bambina.
Non era così quando l'ho incontrata.
«Grazie mille», rispondo e mi sforzo di sorridere.

Osservo Matthew che medica la sua ferita senza dire una parola e questa scena mi sta uccidendo.
È così serio, così tranquillo, che sembra abituato a momenti del genere.

Pulisce il suo viso dal sangue e poggia una garza bianca sulla sua fronte, quindi va a togliere i pezzi di sedia che giacevano sul letto.
Sistema le lenzuola, torna da Cinthia e la prende in braccio per poi sistemarla delicatamente sotto le coperte.

«Ci sono ancora?», chiede lui, piano.
Ma chi?
La ragazza scuote la testa, «No, scusa, non volevo farlo accadere ancora»
«Non è colpa tua», la rassicura e le accarezza i capelli, «Di là c'è la signora Clark, è un po' impaurita»
«Le chiederò scusa»
«Non preoccuparti, ti ha già perdonata, sta preparando il tè».

Cinthia annuisce e mi lancia un'occhiata, «È una bella anima», ripete indicandomi.
Matthew sorride e annuisce, «Anche tu sei una bella anima, maggiore Stewart. Ti senti meglio?».
«Un po'»
«Vuoi che rimanga qui con te?»
«Sto bene», biascica, poi sorride, «Potete andare, farò la brava».

Il dottore si alza e le lascia un bacio tra i capelli, «Non le ascoltare, okay? Sei forte»
«Sono forte», ripete, «Ciao, Samantha», saluta anche me e sussulto.
Mi ero incantata, fissavo la scena dall'esterno.
«Ciao, Cinthia», e detto questo, ci dirigiamo verso l'uscita.

Matthew saluta quella che deve essere la signora Clark e poi andiamo via da quella casa.
E l'aria sembra già più leggera.

Decido di non dire una parola e rimango in silenzio fino a quando non siamo davanti casa mia.
Matthew scende dalla moto e gli porgo la sua giacca.
«Vuoi entrare?».

Si morde il labbro e sospira, poi annuisce e mi segue fin dentro casa.
Sento lo stomaco sotto sopra, le gambe tremano e non so cosa dire.
È questo che vivi ogni giorno, Matthew Jackson?

«Preparo un tè?», mi giro a guardarlo e mi accorgo solo ora che si è seduto sul divano e ha una mano sugli occhi.
Mi avvicino in fretta e mi abbasso per arrivare all'altezza del suo viso.
Le sue gambe tremano, così come le sue mani.

«Stai tremando», bisbiglio e lui finalmente mi guarda.
È anche più pallido di prima.
Afferra la mia mano e la poggia sulla sua fronte, poi respira profondamente e chiude gli occhi senza dire una parola.

«Oddio, ma sei bollente».
Accenna un sorrisetto malizioso, «Credo che la febbre sia tornata, ma sono bollente anche altri giorni», sussurra con il fiatone.
Ma che idiota.

«Cosa devo fare? Coricati, vado a prendere delle aspirine», borbotto, quindi corro a prendere tutte le medicine che ho.
È lui il dottore, saprà cosa prendere.

Quando torno da lui, è steso sul divano, gli occhi chiusi.
«Matthew?», lo chiamo, ma non risponde.
Mi assicuro che stia respirando e poggio il mio orecchio sul suo petto.
Il suo cuore batte regolarmente.
Finché batte va tutto bene, giusto?

Ha la fronte leggermente sudata e allungo la mia mano per accarezzare i suoi capelli.
«Grazie», sussurra ed io ritiro la mano di scatto.
Dannazione, pensavo stesse dormendo!
Che figura di merda, Samantha Jersey.

«Ha ragione Cinthia, sei proprio una bella anima», accenna un sorriso ed il mio cuore trema.
Bella anima.
«Ho portato le medicine», mi schiarisco la voce, ma lui ignora quello che dico.
Afferra il mio polso e mi attira a sé.
«Credo che un tuo abbraccio andrà  bene lo stesso», dunque mi stringe e lo sento sospirare.

In un primo momento rimango immobile, come pietrificata, poi decido di ricambiare il suo abbraccio.
Perché penso che ne ha proprio bisogno.

Sono in ginocchio, accanto al divano, ad abbracciare un Matthew Jackson accaldato e mezzo intontito a causa della febbre.
Lui mi tira su ed io mi alzo, dunque mi fa spazio sul divano e mi sdraio vicino a lui senza smettere di abbracciarlo.

I nostri corpi sono completamente attaccati e sento il suo petto che va su e giù, «Mi piaci da impazzire, Samantha Jersey», sussurra al mio orecchio prima di lasciarmi un bacio sulla fronte, «E questo non va bene», aggiunge.
Io deglutisco e cerco di darmi una calmata.
Le mie gambe tremano, il mio stomaco è sottosopra.
Non va bene per niente, Matthew Jackson.
Per niente.

Stupido cuore, stupidi brividi, stupida Samantha Jersey, non ti starai mica prendendo una sbandata?

HI GUYS!
Come va?
Io ho preso una pausa dallo studio e ho deciso di aggiornare oggi, così riprendiamo i vecchi appuntamenti settimanali.
Ovvero, lunedì e giovedì.
(Se non riesco ad aggiornare giovedì, lo farò lunedì prossimo).
Ma comunque, entriamo nel vivo della storia gente!
E il mio dente non fa più i capricci (quasi).
Lo so, vi ho rotto le palle con questo dente, ma amatemi lo stesso, dai.
Ora vado con le domande u.u
1) Cosa pensate di Cinthia dopo aver letto questo capitolo?
2) Di Matthew e del modo in cui se ne prende cura?
3) E della fine del capitolo che mi dite? Guai in vista? 😂❤️💕
Sento love nell'aria.
No ancora no, dai.
Avete capito che vado molto piano nei rapporti e abbiamo ancora molto da scoprire!
Adesso vi lascio.
Ah, un'ultima domanda, come vi chiamate? Così, mi piacerebbe saperlo per dare un nome ai nickname che non memorizzo manco morta ahaha
Un bacio.
Sara










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