Capitolo 1

Firenze, 1477.

Firenze, città di una bellezza unica e con una storia ricca di avvenimenti che non la lasciavano mai respirare. Teatro di battaglie interne e oggetto di interesse di numerose città, Firenze aveva sempre cercato di non piegarsi al volere di nessuno e di andare avanti per la sua strada, fiera ed orgogliosa. Sotto il dominio della Signoria medicea aveva iniziato a vivere un periodo di prosperità senza eguali nella sua storia, in cui arte e letteratura erano prosperate e si erano diffuse a macchia d’olio, disseminando il loro sapere e le loro conoscenze fra tutti i cittadini. Nonostante ciò, il periodo che stava attraversando la città non era uno dei migliori. Le lotte interne erano all’ordine del giorno e la fazione antimedicea era sempre più agguerrita e minacciava il dominio che Lorenzo De Medici era intenzionato ad instaurare. Camminando per le strade si poteva osservare come questa divisione influisse inevitabilmente sull’umore dei cittadini, che spesso si chiedevano cosa ne sarebbe stato della loro città e dove avrebbero condotto le diatribe infinite che caratterizzavano i rapporti politici.

Quel giorno avrebbe avuto luogo l’ennesima riunione del Consiglio, che vedeva schierati per l’appunto da una parte Lorenzo e il fratello Giuliano, mentre dall’altra la famiglia Pazzi. Si vociferava che Giuliano soffrisse di pene d’amore e che quindi non fosse di grande aiuto al fratello, ma di ciò non vi era certezza. 
Ogni volta che veniva organizzata una riunione di questo tipo, gran parte della popolazione si riuniva fuori dalle mura del palazzo dove gli uomini di potere discutevano di politica e del futuro della città.

Era proprio lì che Fabrizio si stava recando. I ciottoli scricchiolavano sotto i suoi piedi, mentre camminava verso la sua meta, coperto nel suo mantello che lo proteggeva dall’aria fredda di febbraio. Un pallido sole faceva capolino tra le nuvole e faceva rimbalzare i suoi timidi raggi sugli edifici in pietra di colore grigio e marrone. Alcuni stabili erano più curati di altri, a seconda della posizione sociale della gente che vi abitava. La bellezza di Firenze stava fiorendo in quel secolo, grazie all’enorme ripresa che aveva subito e che aveva portato alla costruzione di edifici imponenti e maestosi su strade che, se avessero potuto parlare, avrebbero raccontato quanto sangue su di esse era stato versato, avrebbero narrato tutte le vicende che si erano sviluppate e inoltre avrebbero potuto elencare tutte le persone che nei secoli le avevano calpestate. Quella che stava percorrendo era molto trafficata, essendo una delle più grandi e più adatte ad ospitare il mercato cittadino. Numerosissime bancarelle in legno erano disposte su entrambi i lati della strada, dove venivano vendute merci di ogni qualità, provenienti da paesi lontani ed ottenuti da scambi interni con Il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Le bancarelle ricoprivano entrambi i lati della strada e lasciavano in mezzo alla via lo spazio sufficienze per il passaggio di pedoni e uno spazio per il passaggio delle carrozze. La gente era numerosa nonostante non fosse ancora tarda mattinata. Bambini correvano da un lato all’altro della via, scappando dai venditori di frutta e verdura con alcune mele e ceppi di ortaggi in mano che avevano appena rubato per puro dispetto. Alcune donne erano indaffarate ad osservare e valutare la qualità di stoffe all’apparenza molto pregiate e dai colori tenui e delicati, mentre alcuni uomini trattavano con altri il prezzo di alcuni utensili da lavoro. Il brusio della gente accompagnava Fabrizio e i suoi pensieri verso la sua destinazione: aveva deciso di recarsi anche lui fuori dal luogo dove la riunione avrebbe avuto inizio da lì a breve per riuscire a carpire informazioni direttamente sul posto dato che le notizie giravano vorticosamente tra le persone, correndo il rischio di essere storpiate ogni volta che venivano raccontate da una persona diversa. In questo periodo soprattutto il clima politico non era dei migliori e i rapporti tra le fazioni interne si erano incrinati a causa della morte dell’alleato politico di Lorenzo, il Duca Galeazzo Maria Sforza: in questa situazione di crisi gli avversari dei Medici avevano colto l’occasione per uscire allo scoperto e sferrare attacchi alla Signoria. Fabrizio della politica di Firenze ancora non capiva molto, ma ne era molto interessato. Egli, originario di Roma, si era trasferito da qualche mese per tentare la fortuna come discepolo del grande scultore Andrea del Verrocchio. Fabrizio infatti aveva sviluppato grandi doti artistiche fin dalla tenera età e con il raggiungimento dei 27 anni aveva deciso di trasferirsi a Firenze per seguire le orme del suo maestro il quale, notando grande potenziale nel ragazzo, aveva deciso di prenderlo sotto la sua ala.

Firenze aveva affascinato fin da subito Fabrizio, il quale si era innamorato a prima vista della Cupola di Santa Maria del Fiore che svettava sopra Firenze. Questa costruzione sembrava osservare dall’alto tutti i cittadini, mostrandosi a tutti come simbolo di bellezza e volontà di rifiorire. Solo grazie all’impegno di Brunelleschi e alla passione artistica del grande Cosimo de Medici fu possibile la creazione di quest’opera magnifica senza precedenti: due uomini che avevano unito le forze in nome dell’arte e di tutto ciò che di bello essa può offrire per ridare speranza al popolo. Allo stesso tempo però la Cupola sembrava voler trattare tutti con indifferenza, come se volesse trasmettere il senso di superiorità dell’arte nei confronti della natura umana meschina e ingrata. Con questi pensieri, Fabrizio si era appena lasciato alle spalle il mercato e aveva svoltato a destra, imboccando la via dove si trovava il palazzo. Fuori da esso c’erano già moltissime persone che come lui aspettavano.

“Stanno ancora discutendo?”

“Sono dentro da non si sa quanto tempo!”

“Staranno risolvendo qualcosa? Io ho perso oramai fiducia …”

“Dobbiamo avere pazienza.”

“Ma che il buon Dio mandasse all’inferno tutti quanti, si prendono gioco di tutti noi!”

“Hai ragione!”

“Calma calma, sappiamo tutti che sono solo i Medici che stanno rovinando la nostra città.”

“Ma ti ascolti quando parli? Sono gli unici che stanno facendo qualcosa di buono!”

“È proprio così, gli unici. Nel bene o nel male, tra errori e scelte sbagliate sono loro che stanno portando avanti la città perché ci tengono veramente.”

Queste e altre decine e decine di voci circondavano Fabrizio e gli tenevano compagnia mentre aspettava con impazienza.

D’un tratto si udì un boato provenire dall’interno e tutte le voci si acquietarono. Silenzio totale, anche il vento pareva aver smesso di soffiare come fosse intimorito da ciò che la quiete celava, da ciò che dentro l’edificio stava succedendo. Passarono alcuni attimi e poi un rumore assordante ancora e infine le voci dall’interno si alzarono tutte insieme e grida e ingiurie volarono verso l’esterno che, di riflesso rispose a tono. La gente iniziò a muoversi senza ordine, chi voleva andarsene, chi voleva rimanere per sentire e chi rimase solamente per agitare le acque. Uomini e donne che cadevano e rischiavano di essere calpestati dai piedi degli altri, gente che si picchiava e combatteva con le proprie mani in nome di qualcosa che nemmeno era riuscita a comprendere. Fabrizio sgomitava a destra e a sinistra per farsi strada verso un punto abbastanza libero e tranquillo. Cadde un paio di volte a terra, ma riuscì a rialzarsi subito, causandosi solamente qualche graffio. Aveva quasi raggiunto i gradini vuoti ai quali puntava, quando una voce gli fece raggelare il sangue e lo fece voltare di scatto. Vide un bambino di 4 anni a malapena che veniva sballottato dai movimenti delle persone e che urlava disperato la parola mamma. Probabilmente era scappato dalle mani della madre e per sua sfortuna era finito in mezzo a quella bolgia. Da sopra la calca di persone intravide lontano una donna giovane vestita per bene che piangeva disperata e cercava invano di farsi largo tra la folla, nella speranza di recuperare il figlio. Fabrizio non ci pensò nemmeno due secondi e si diresse subito verso il bambino, per portarlo in salvo dalla madre. L’aveva quasi raggiunto quando venne spintonato per terra. Calci lo colpirono da ogni direzione e lui si sentì frastornato in mezzo a quella baraonda. “Devo salvare il bambino” pensava. Queste parole gli diedero la forza di rialzarsi e di non badare ai dolori che sentiva ovunque. Era arrivato esattamente di fronte al piccolo, ma non riuscì a raggiungerlo a causa del muro di persone che sembrava infittirsi sempre di più. Gli urlava di rimanere calmo, di stare tranquillo che ci avrebbe pensato lui, ma il bambino non lo sentiva. Fabrizio era disperato, non sapeva cosa fare.

All’improvviso sentì una mano avvolgersi sul suo braccio e voltò la testa di lato. Si ritrovò a guardare una massa di capelli ricci e corvini sudati e incollati al viso, guance graffiate e un paio di occhi scuri e profondi, ma determinati. Si era trovato di fianco un ragazzo che aveva probabilmente la sua età, anno più anno meno.

“Hai visto anche tu il bambino? Dobbiamo salvarlo, io da solo non riesco a raggiungerlo, ma in due possiamo farcela.” disse  trafelato il ragazzo a Fabrizio.

Quest’ultimo venne riportato alla realtà da quelle parole e annuì semplicemente, senza aprir bocca. Si scambiarono un’occhiata complice e spintonarono la gente davanti a loro e finalmente raggiunsero il bambino che si era rannicchiato su sé stesso e Dio solo sapeva quale miracolo fosse accaduto per far sì che il bambino non fosse stato calpestato. Ognuno dei due prese un braccio del bambino e insieme lo fecero rialzare. Fabrizio si voltò verso il ragazzo per avere conferma e poter procedere verso l’esterno della massa di gente, ma ciò che vide non gli piacque per nulla. Il ragazzo aveva perso la presa sul braccio del bambino ed era scivolato a terra. Fabrizio era pietrificato, fece per aprire bocca, ma il ragazzo lo precedette :”Corri, esci e salva il bambino, io me la caver- AHIA!” urlò per farsi sentire, mentre un paio di piedi gli era appena salito su una gamba. Fabrizio rimase immobile per qualche secondo prima di agire,  dopodiché prese in braccio il bambino e lo nascose sotto il suo mantello. Poi gridò, rivolto al ragazzo :"Torno subito. Cerca di sopravvivere."

Fabrizio corse a perdifiato travolgendo grazie all’adrenalina che aveva in corpo chiunque si trovasse di fronte e dopo quelli che parvero momenti infernali riuscì ad uscire e lasciò il bambino tra le braccia della madre. La donna fece per ringraziarlo, ma lui non le diede il tempo e si rituffò nella folla: doveva salvare il ragazzo.

Cadde, si rialzò, rotolò a terra di nuovo e si rimise in piedi e dopo ricerche estenuanti ritrovò il ragazzo, che nel mentre si era raggomitolato, cercando di proteggersi la testa con le sue braccia. Fabrizio lo prese per un braccio e lo strattonò, allora il ragazzo si scoprì il viso che era ancora più sporco e graffiato di prima e a giudicare dallo sguardo che egli rivolse a Fabrizio nemmeno lui era messo meglio. Riuscì a rialzarsi e si aggrappò al braccio di Fabrizio e insieme corsero fuori dalla folla, lasciandosela alle spalle.

Erano stremati e senza forze. Si accasciarono nel primo vicolo vuoto e tranquillo che trovarono. Fabrizio osservò il ragazzo e notò che gli sanguinava una tempia e gli si raggelò il sangue. “Ha gli occhi chiusi. Starà respirando?” pensò Fabrizio terrorizzato. Siccome il ragazzo non rispondeva, gli portò sotto il naso una delle monete che aveva in tasca e quando vide che la moneta si appannò tirò un sospiro di sollievo “Almeno respira ancora.” Disse fra sé e sé Fabrizio. Non sapeva però cosa fare per aiutarlo, voleva farlo, ma non sapeva dove andare. All’improvviso vide due figure entrare nel vicolo: erano la donna e il bambino che aveva visto prima.

“Siete feriti? Seguitemi se riuscite, io so dove portarvi.” Disse lei preoccupata.

Fabrizio si alzò, scosse il ragazzo gentilmente, ma con forza, lo mise in piedi e si portò un suo braccio intorno alle proprie spalle e con il suo braccio gli cinse la vita. 
“Riesci a camminare?” gli chiese Fabrizio e vedendo l’altro annuire con il capo fece un cenno alla donna e  iniziò a seguirla.

Ciao a tutti!
L'idea per questa storia, come potete ben immaginare, mi è venuta dopo aver finito di vedere la serie tv I Medici 2. Non so quando scriverò le altre parti e non so quando pubblicherò ancora, devo ancora decidere, anche se più o meno ho già le idee chiare.

Voglio ringraziare la mia unaMETAfincheMORO squad perché mi sono sempre vicine, in qualsiasi momento.
Vi voglio bene, tanto. 💛

Sara

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