Capitolo 42


<<Tess, ti prego, svegliati!>>

È un richiamo rassicurante e familiare a ridestarmi.

Se non fosse per quell'eco distante, inafferrabile, incorporeo come un miraggio, penso che avrei semplicemente optato per non risvegliarmi mai più: la paura mordace che mi taglia la gola, mista al dolore per i lividi e le microscopiche, invisibili ferite che mi frastagliano l'anima, potevano essere un buon motivo per decidere di non riaprire gli occhi.

Tuttavia, involontariamente, mi ritrovo ad attaccarmi a quella voce con ogni forza rimasta.

E, proprio come se da quel suono, da quella melodia rincuorante, provenisse la linfa vitale necessaria per rianimarmi e tenermi in vita, decido di risollevare le palpebre.

Quest'ultimo gesto così apparentemente semplice, naturale, mi costa uno sforzo considerevole, che non avevo affatto preventivato: le lacrime appese alle ciglia, infatti, mi appesantiscono gli occhi come infiniti, minuscoli sassolini, ostacolandone il movimento.

Dopo gravosi e inconcludenti tentativi, sono finalmente in grado di aprire gli occhi, senza però riuscire a mettere a fuoco alcuna immagine.

Intorno a me, suoni, figure e sensazioni si mescolano in maniera confusa e inscindibile, come un amalgama di colori in una tavolozza.

<<Riesci a vedermi, Tess?>> sento mormorare dalla stessa voce che è stata per me speranza e luce, e che mi ha praticamente riportata in vita. Ma mi risulta davvero impossibile comprendere da che parte provenga; così come ricordare dove mi trovi, cosa sia successo e per quale motivo io sia qui.

Seppur con difficoltà, tento di muovere il collo per guardarmi intorno e me ne pento immediatamente: una fitta lancinante all'altezza della tempia, come mille punture d'ape, mi trapassa inaspettatamente, facendomi tremare e desiderare con tutte le mie forze di poter urlare.

Dalle labbra, però, non esce altro che un debole suono stridulo, che mi graffia e brucia la gola.

<<È meglio se non ti muovi, piccola>> sento sussurrare.

Decido di dare retta a quella voce e di non muovermi più; almeno finché non sarò di nuovo in grado di farlo senza esser colta da dolori strazianti.

Poi, a poco a poco, lampi di ricordi iniziano a baluginare nella mente, comparendo e scomparendo come tetri fantasmi.

Molti, inizialmente, non hanno alcun senso. Ma a mano a mano che gli occhi tornano a mettere a fuoco, la mente ricomincia a prendere coscienza.

Realizzare ciò che è successo e che sta accadendo in questa stanza, se possibile, è ancor più doloroso della fitta che mi ha percosso poco fa.

Incomincio ad agitarmi, mentre mi rendo conto che Alex è inginocchiato accanto a me e mi sta guardando con un'espressione che ho avuto modo di scorgere sul suo viso solo in un'altra occasione: in ospedale, dopo il malore di Katherine, il giorno in cui ancora non sapeva se suo figlio sarebbe sopravvissuto oppure no.

Non so quando sia entrato, né perché sia venuto a cercarmi, ma è qui. E mi chiedo come io abbia fatto a non intuire che quella voce salvifica non poteva che essere sua.

Nei suoi occhi blu leggo preoccupazione, paura, rabbia e senso di colpa, mescolati in un cocktail letale.

Sembra una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere da un momento all'altro.

Ma dal modo in cui mi osserva, capisco che sta cercando con tutto se stesso di mantenere la calma, cosa che a me, al momento, appare del tutto impensabile: le minacce di Michael continuano ad aleggiare nella stanza come ombre affilate. E, anche se dal punto in cui mi trovo non riesco a vederlo, so che lui è ancora qui.

Ogni centimetro di me è consapevole del pericolo, della macabra follia che zampilla dal suo essere come acqua dalle sorgenti.

Nonostante le fitte continue e laceranti alla testa, tento comunque di muovermi, di parlare, di mettere in guardia Alex. Ma, purtroppo, con scarsi risultati: dalla gola continuano a non uscire altro che flebili suoni gracchianti, che finiscono per amareggiarmi.

<<Non ti agitare, Tess>> cerca di calmarmi Alex, <<Adesso ti porto via di qui.>>

Quando fa passare le braccia intorno al mio corpo, nel tentativo di sollevarmi, un ringhio quasi disumano fa tremare la stanza.

<<Non-azzardarti-a-toccarla>> scandisce Michael, indugiando qualche secondo su ogni parola.

Ma non è la sua voce a preoccuparmi.

Piuttosto, l'indistinguibile rumore di una pistola a cui venga disinserita la sicura.

Conosco bene quel suono e non fatico a riconoscerlo: mio padre è stato per anni al servizio della polizia federale e, in diverse occasioni, ha cercato di insegnarmi a maneggiare piccole armi da fuoco.

''Imparare a sparare è essenziale per la difesa personale di una donna" recitava, nel tentativo di convincermi. Ma la sola idea di puntare una pistola addosso a qualcuno, mi ha sempre fatto rabbrividire.

Alex, al contrario, sembra non essersi accorto del suono inquietante, oppure non curarsi affatto della minaccia.

Mi solleva, prendendomi in braccio come un uccellino ferito, mentre io gli circondo il collo con le braccia.

Cerco con tutta me stessa di ignorare il sangue che mi cola su una guancia e sulla camicetta. Ma finisco comunque per inorridire all'idea di esserne praticamente imbrattata, come un quadro malamente dipinto di un unico, orrendo colore.

Adesso, però, non è la ferita a preoccuparmi, né l'incessante dolore alla testa.

Proprio come temevo, Michael sta effettivamente impugnando una piccola pistola, e la rivolge contro di noi come se tra le mani non avesse altro che un giocattolo.

<<Non credo che riuscirete ad andare da qualche parte. Perciò, Alex, ti consiglio di rimetterla giù e di allontanarti di qualche metro.>>

Mentre parla, mi accorgo che ha addirittura indossato un paio di guanti scuri, probabilmente per non lasciare alcuna traccia sull'arma, e mi domando da quanto tempo fosse intento a studiare questo diabolico piano.

Tremo tra le braccia di Alex, ma il mio ex sembra non lasciarsi impressionare.

Non accenna ad eseguire gli ordini di Michael e, al contrario, stringe ancora di più la presa su di me.

<<Ho detto: rimettila giù.>>L'ordine fende l'aria e il mio ex, questa volta, ubbidisce.

<<Ce la fai a stare in piedi?>> mi sussurra all'orecchio, mentre io cerco di ritrovare l'equilibrio e la forza per non crollare di nuovo a terra.

Annuisco una sola volta, ma rimango comunque ancorata al suo braccio, senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.

<<Questa è una faccenda tra me e te, Kane>> afferma Alex risoluto, tornando a rivolgersi a Michael. <<Lasciamo Tessa fuori da questa storia.>>

<<Pensi davvero che la lascerei uscire di
qui?>> Il ragazzo dalle iridi verdi scoppia in una breve, sonora risata.

<<Ha bisogno di un medico>> ringhia Alex e dal modo in cui i muscoli del braccio hanno incominciato a fremere sotto le mie dita, percepisco chiaramente che sta ormai perdendo la pazienza.

<<Tra non molto non ne avrà più bisogno>> sussurra Michael, posizionando l'indice sul grilletto.

<<Vuoi sparare, Kane? Va bene, accomodati pure. In fondo, un delinquente come te non può aspirare ad altro se non al carcere>>. La voce del mio ex non ha un minimo sussulto mentre inveisce contro Michael e non posso fare a meno di ammirare il suo coraggio.

Tuttavia, in questo momento, la sua infinita spavalderia rischia solo di portarci alla morte.

Prego con tutto il cuore che qualcuno senta gli strilli e intervenga. Ma il bagno è piuttosto lontano dal centro del locale, e temo che la musica alta che sento rimbombare tra le mura, finisca per coprirle.

Qualcuno prima o poi si accorgerà della nostra assenza?

<<Sono queste le tue ultime parole,
Williams?>> ringhia Michael, puntando l'arma contro di lui.

<<Ragazzi... vi prego... p-parliamone... con... calma>> mi affretto ad intervenire.

Cerco con tutte le forze di combattere la stanchezza infinita che incomincia ad invadermi le membra, probabilmente dovuta alla ferita, dalla quale non smette di sgorgare quel maledetto liquido rosso. Ma parlare mi costa sempre uno sforzo immane.

Il ragazzo dagli occhi verdi rivolge a me lo sguardo e mi sorride con amarezza. <<Speravo che questa volta avresti fatto la scelta giusta, Tessa. Ma sei sempre stata troppo stupida... Mi è bastato così poco per ottenere la tua fiducia. Per scoparti. Solo un paio di minuscole pillole in un bicchiere...>>

Non riesco a capire nulla di quello che sta dicendo, ma il sussulto di Alex mi fa trasalire.

<<Di cosa cazzo stai parlando, brutto bastardo?>> mentre urla, il mio ex mi stringe a sé. <<L'hai... drogata?>>

Tutto sembra improvvisamente acquisire un senso: lo smarrimento subito dopo aver bevuto quei drink offertomi da Michael, la sensazione di essere fuori dal mio corpo, il malore, i ricordi sbiaditi e confusi.

Un anno fa, quel ragazzo dai capelli corvini mi ha meschinamente raggirato, inducendomi ad andare a letto con lui con l'inganno.

Avrei dovuto intuirlo, ma non l'ho fatto. E scoprirlo in questo momento è come ricevere un'infinità di pugni allo stomaco.

<<Non è esilarante che tu non l'avessi ancora capito, Alex?>> sorride Michael malignamente, rivolgendosi al mio ex.

Poi, torna a puntare gli occhi su di me. <<Avremmo potuto lavorare insieme, Tessa. Avremmo potuto essere tutto. Ma ancora una volta hai preferito questo...>> Fa una pausa e mi accorgo che le sue mani hanno incominciato a tremare.

Il suo sguardo diabolico scatta di nuovo su Alex quando domanda: <<Il nome Jennifer ti dice nulla, Williams?>>

Il volto del mio ex si acciglia. Un muscolo della mascella incomincia a pulsare violentemente.
Ma prima che possa ribattere, alcuni colpi alla porta ci fanno sussultare.

<<Tessa, Alex, siete lì?>> La voce sembra essere quella di Eleanor e, per un attimo, la speranza sembra inondarmi i polmoni di puro ossigeno.

L'istinto mi suggerisce immediatamente di urlare, ma una sola occhiata di Michael mi persuade a cambiare idea.

Eleanor non deve essere coinvolta in questa storia...

<<Non-azzardatevi-a-fiatare>> sussurra piano, così piano che quasi non lo sento.

<<Tess? Alex?>> urla ancora la mia migliore amica.

Quando odo i passi di Eleanor allontanarsi, portando con sé l'ultimo briciolo di speranza, incomincio a piangere di frustrazione.

Alex mi stringe e si abbassa per lasciarmi un bacio sui capelli. <<Andrà tutto bene, te lo prometto>> mormora.

<<Adesso basta>> prorompe Michael, facendoci trasalire. <<Non c'è più tempo. È arrivato il momento che paghi per gli errori che hai commesso, Alex>>. Il ragazzo dai capelli corvini, però, punta l'arma contro di me. <<Incominciando da lei.>>

Chiudo gli occhi e trattengo il respiro, mentre lacrime di disperazione continuano a rigarmi le guance.

È finita, penso.

Ma alcune urla oltre la porta fendono di nuovo il silenzio e fermano il tempo.

<<Michael, so che sei lì. Apri questa cazzo di porta e non fare cazzate>>. È senza dubbio Andrew e penso di non essere mai stata così felice di sentire la sua voce.

Persino la sicurezza di Michael sembra vacillare e, dall'espressione sul suo volto, deduco che non avesse previsto l'intervento dell'amico.

Tutto accade in pochi secondi: Alex approfitta di quell'attimo di esitazione per lanciarsi su di lui e sferrargli un calcio allo stomaco, così deciso da piegarlo in due.

Poi, tenta in ogni modo di disarmarlo.

Inevitabilmente, dalla pistola sfugge un colpo.

Lancio un grido terrorizzato, mentre chiudo gli occhi e mi copro le orecchie con le mani.

Quando dopo qualche secondo li riapro, sono ormai in preda ad un tremolio violento e affannoso; la vista incomincia ad appannarsi, ma l'adrenalina e la paura non mi permettono di lasciarmi andare. Non ancora, almeno.

Fortunatamente, posso constatare che la pallottola non ha colpito nessuno.

E, cosa più importante, l'arma giace ormai abbandonata accanto al corpo di Michael: Alex, ancora una volta, è riuscito a sovrastarlo e lo tiene in pugno.

Andrew, nel frattempo, sta cercando in ogni modo di sfondare la porta, probabilmente con l'aiuto di altri colleghi, ma con scarsi risultati.

Istintivamente, mi fiondo immediatamente sulla pistola e l'afferro.

La osservo e la rigiro tra le mani per qualche secondo.

Poi, dopo aver velocemente riflettuto sul da farsi, decido che l'opzione migliore sia passarla al mio ex: in questo modo, potrà usarla per convincere Michael ad arrendersi. O, nel peggiore dei casi, per difendersi.

Tuttavia, quando torno ad alzare lo sguardo, scopro che il nemico è riuscito a riprendere in mano le redini della situazione.

Al momento, non è più Alex a condurre il gioco: Michael, a cavalcioni su di lui, sferra continui colpi con una furia cieca ed inverosimile.

Non si fermerà finché non lo avrà ucciso, intuisco. Perciò, mi resta solo una cosa da fare.

Cerco di mantenere il sangue freddo e di pensare che si tratti solo di un incubo, lontano anni luce dalla realtà, ma le mani non smettono di vacillare.

Mi obbligo a inspirare ed espirare regolarmente, nel tentativo di mantenere la calma: in questo momento è fondamentale.

<<Mamma, papà, vi prego: datemi la forza>> recito a bassa voce, mentre punto la pistola contro Michael, cercando di mirarne una spalla.

Poi, smetto di pensare. Di respirare.

E sparo.

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SPAZIO AUTRICE:

Buongiorno, lettori. ❤️

Finalmente sono riuscita ad aggiornare!

Questo capitolo ha richiesto più tempo del previsto, ma spero che sia all'altezza delle vostre aspettative. 😁

Non so ancora se aggiungerne un altro prima dell'epilogo oppure no; deciderò in settimana.

Ho però optato per lasciare la rivelazione dell'"imperdonabile errore" di Alex al capitolo finale. 😉

Chi sarà questa misteriosa Jennifer di cui Michael parlava?

Come sempre, attendo i vostri commenti. ❤️

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