Capitolo 38
Andrew ha insistito per passare a prendermi con la sua auto e, nonostante più volte abbia tentato di declinare l'offerta, alla fine mi sono ritrovata ad accettare, un po' riluttante.
"Non puoi viaggiare da sola, Tessa: non sai dove sia il ristorante, e finiresti per perderti e arrivare in ritardo all'appuntamento, come al solito" ha commentato, nel tentativo di convincermi.
Giocare la subdola carta sulla mia scarsa puntualità e capacità di orientamento, è stato decisamente un colpo basso.
Però, devo riconoscere che ha funzionato: alle otto in punto, come da accordi, sono già vestita e in attesa del suo arrivo.
Il mio collega non ha specificato se si tratti di un locale particolarmente elegante, perciò ho optato per un abbigliamento piuttosto semplice: jeans scuri e camicetta di lino color rosa antico, con alcuni ricami sulle maniche.
Ho indossato un cappotto pesante e sono già seduta sugli scalini di casa, trepidante di ricevere notizie sulla mia richiesta di trasferimento.
Tuttavia, venti minuti dopo l'orario accordato, Andrew non si è ancora visto. Ed io incomincio già a spazientirmi.
Sembra proprio che non sarò io a fare tardi, questa volta, mi appunto di dirgli non appena scenderà dall'auto.
Poi, quando già incominciavo a temere che mi avrebbe dato buca, un fastidiosissimo e stridente rumore di freni e ruote che grattano l'asfalto, attira la mia attenzione.
Alzo lo sguardo, che tenevo fisso sugli stivaletti di velluto nero, e mi stringo nelle spalle.
La lucida e nerissima Audi di Andrew è parcheggiata nel vialetto di casa, a pochi metri da me, e il mio collega abbassa il finestrino per richiamarmi.
Be', non scende per salutarmi? Che fine ha fatto la sua galanteria? Mi ritrovo a chiedermi mentre, lentamente, mi avvicino all'auto.
<<Scusa il ritardo, Tessa>> si affretta a giustificarsi, appena mi accomodo sul sedile. <<La preparazione della serata ha richiesto più tempo del previsto>>.
Ma di che sta parlando? Non doveva essere una semplice, "formale" cena tra colleghi?
Gli lancio un'occhiata perplessa e lui mi sorride sornione.
<<Non posso dire nulla>> ammicca. <<È una sorpresa.>>
<<Non mi piacciono le sorprese>> ammetto sinceramente.
Per la precisione, non mi piace nulla che non sia pianificato, controllabile, prevedibile – a parte il mio ex, ovviamente, che è sempre stato l'imprevedibilità fatta a persona.
Andare fuori rotta, dover affrontare situazioni impreviste o perdere il controllo, mi getta letteralmente in crisi.
La prima e unica volta che mi sono concessa di agire d'istinto, ho commesso il passo più falso della mia vita. E dubito che mi lascerò andare ancora così facilmente.
Cerco di non essere troppo scortese, ma non riesco a nascondere una punta di irritazione.
Andrew mi aveva promesso una normale, tranquillissima cena tra colleghi.
Dovevamo semplicemente limitarci a parlare della decisione di suo padre in merito alla mia richiesta di trasferimento. Niente di più, niente di meno.
Non erano previste sorprese di alcun tipo.
<<Questa ti piacerà>> afferma lui risoluto, mentre mette in moto e sfreccia in direzione del locale.
Ne dubito, penso, ma non dico nulla, per non sembrare ingrata o maleducata. Tuttavia, non riesco a fare a meno di incrociare le braccia al petto, un po' stizzita.
Apprezzo che il mio collega si sia impegnato per provare a sorprendermi. Tuttavia, avrei preferito che mi avvisasse. O che, per lo meno, non mentisse a proposito della serata.
Durante il viaggio, Andrew mi lancia qualche occhiata di tanto in tanto, ma non aggiunge altro.
Io, al contrario, tengo lo sguardo rivolto verso il finestrino ed evito di voltarmi nella sua direzione.
L'irritazione cresce ad ogni chilometro che percorriamo, mentre mi rendo sempre più conto di avercela soprattutto con me stessa, per non aver dato retta all'istinto - che invano mi metteva in guardia dalle reali intenzioni del mio collega e mi suggeriva di rifiutare l'invito.
<<Che hai fatto durante la settimana
libera?>> domanda Andrew parecchio tempo dopo, cercando di avviare una qualche conversazione.
A parte attendere che il mio ex si renda miracolosamente conto che perderci sarebbe una pessima idea?
Oltre a crogiolarmi nel pensiero di essere obbligata ad andare avanti quando, al contrario, l'unica cosa che vorrei fare è tornare indietro e cambiare ogni cosa?
Decisamente poco o nulla, a parte lasciarmi ossessionare dal desiderio di poter riavvolgere il nastro della mia vita e tornare al principio; al momento in cui tutto ha avuto inizio. Al giorno in cui Alex ed io abbiamo lasciato che l'amore stravolgesse ogni cosa.
Se ci fossimo limitati a conservare l'amicizia che ci legava fin da quando eravamo piccoli, anziché rincorrere l'utopica idea di poter costruire un'eterna storia d'amore, avremmo mai finito col perderci?
In questi giorni, ho incominciato a riflettere sul fatto che, forse, siamo stati troppo incauti.
Se ci fossimo accontentati di ciò che avevamo, senza pretendere di più, probabilmente saremmo ancora l'uno il migliore amico dell'altra; pronti a condividere la vita al fianco di qualcun altro, ma continuando, per lo meno, a partecipare l'uno alla felicità dell'altra.
Non avremmo mai finito col ferirci. Non ci sarebbero state ossessioni, gelosie, cuori spezzati e giochi a farsi male. Non avremmo mai dovuto rinunciare ai ricordi, né spezzare alcun legame.
E, cosa più importante, non ci saremmo mai ritrovati a terra, in ginocchio, stringendo al petto i dolorosi, carbonizzati resti della nostra storia d'amore maledetta.
<<Tessa?>> La voce pacata di Andrew mi distoglie dalle ennesime riflessioni, ed io mi lascio andare in un sospiro greve, involontario.
<<Niente di speciale, in realtà>> mi affretto a ribattere, senza guardarlo. <<Ho riposato e studiato per i prossimi esami.>>
Non penso proprio che sia il caso di rivelargli ciò che è successo a Laguna Beach con Alex, una settimana fa; né i pensieri che mi hanno tormentata ogni giorno.
Innanzitutto, perché non sarebbero affari suoi. E, inoltre, vorrei proprio evitare di trascorrere la serata a parlare del mio ex.
<<Presto sarà tutto finito>> commenta lui.
So che si sta riferendo al College e al fatto che, tra qualche mese, l'ansiosa e difficile vita universitaria diventerà solo un lontano, terribile ricordo.
Eppure, Il modo ambiguo, quasi allusivo, con cui ha pronunciato quella frase apparentemente normale, mi lascia perplessa.
Mi volto verso di lui, in cerca di spiegazioni, ma non ho il tempo di indagare oltre: in un'unica, accortissima manovra, Andrew parcheggia di fronte a quello che ha tutta l'aria di essere un elegante, rinomato ristorante. Si slaccia la cintura e scende velocemente dall'auto.
Come d'abitudine, viene ad aprirmi la portiera e mi invita a scendere con un enorme, bianchissimo sorriso.
Procediamo verso l'entrata l'uno di fianco all'altra ma, stranamente, Andrew non tenta alcun approccio fisico. Non mi porge il braccio, a differenza dell'ultima volta, e non cerca neppure di prendermi la mano.
Non so bene perché, ma ne resto stupita. E quasi delusa.
Realizzo subito di non essere mai stata in questo posto, né in questa parte della città. Ma, in effetti, Chicago è talmente enorme che è praticamente impossibile conoscerne ogni angolo.
Varchiamo la soglia e, dopo aver sorpassato uno spazioso e luminoso corridoio, impreziosito dalla presenza di un elegante tappeto rosso, ci dirigiamo verso il cuore del locale.
Al contrario di ciò che avevo prefigurato durante il viaggio, non è affatto una calda, romantica e intima atmosfera ad accoglierci.
Oltre ogni immaginazione, al di là di ogni possibile fantasia, è l'oscurità ad inghiottirci.
Un buio profondo, totale. Un silenzio quasi innaturale.
D'istinto, ipotizzo si tratti di un blackout. Di un corto circuito o qualcosa del genere.
Tuttavia, la totale e inusuale assenza di rumori in sottofondo, finisce per allarmarmi.
I miei pensieri prendono subito una rotta preoccupante, procedendo in direzione dei messaggi anonimi e minacciosi.
Non ho più avuto notizie dello sconosciuto dopo l'ultimo, angosciante SMS ricevuto a Laguna Beach. Tuttavia, non posso fare a meno di temere che ci sia lui dietro questo scherzo di cattivo gusto.
Per mia fortuna, pochi istanti dopo, il locale viene improvvisamente rischiarato dalla luce artificiale.
Un generoso e ordinato gruppetto di persone urla: <<Sorpresa!>>, lasciandomi letteralmente di stucco.
Ma che diavolo...?
Mi volto di scatto verso Andrew - che solo adesso mi rendo conto di avere sempre avuto accanto, alla ricerca di spiegazioni.
Deve esserci per forza un errore!
Di solito, questo genere di cose si organizza per i compleanni, e il mio non sarà prima della fine del mese.
Che sta succedendo, dunque?
Il mio collega si piega per sussurrarmi qualcosa all'orecchio, ma qualcos'altro – o meglio, qualcun altro - finisce per attirare la mia attenzione.
Adesso sono davvero sbalordita.
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