Capitolo 30
Sembra passata una piccola e felice eternità – in realtà, non saranno trascorsi più di due minuti – e sono ancora stretta ad Alex, quando la porta della stanza di Katherine si apre di colpo e ne escono un uomo e una donna, entrambi visibilmente scossi. Disorientati.
Il mio ex si stacca da me e frappone tra di noi una certa distanza, come a voler cancellare ciò che è appena successo.
Immagino si tratti dei genitori di Katherine e mentirei se dicessi che non provo immediatamente un certo imbarazzo.
All'improvviso mi sento terribilmente fuori luogo.
È una sensazione che conosco praticamente da tutta la vita, che non mi abbandona mai, e anche in questo momento, come migliaia di altre volte, avverto chiaramente il desiderio di sparire o di poter teletrasportarmi altrove.
<<Ci sono novità?>> domanda subito Alex, rivolgendosi a loro.
La donna, anziché ribattere, mi scocca una breve occhiataccia, a sottolineare quella che ha tutta l'aria di essere un'antipatia nei miei confronti.
Probabilmente non deve aver apprezzato il fatto di avermi trovata abbracciata al fidanzato della figlia e non posso biasimarla. In effetti, la situazione poteva essere facilmente fraintesa.
Tuttavia, spero vivamente che abbia abbastanza coscienza da non lasciarsi andare all'immaginazione: si è trattato di un semplice abbraccio... amichevole che, nelle migliori delle ipotesi, sancirà una sorta di tregua tra me e il mio ex. Ma nulla di più.
Se sapesse come stanno veramente le cose, non perderebbe un solo secondo a pensare che io sia un pericolo per la relazione della figlia.
<<Ci conosciamo?>> mi chiede lei accigliata, anziché rispondere al quesito di Alex.
Arrossisco sotto al suo sguardo duro, mentre sento gli occhi del mio ex e di quelli del padre di Katherine addosso.
<<S-sono un'amica di Katherine>> ribatto, balbettando goffamente. Poi ammutolisco, incapace di mentire a quella sconosciuta.
<<Come sta?>> insiste Alex, venendo stranamente in mio soccorso.
Lei volta finalmente lo sguardo altrove, concentrandosi sul mio ex, e io tiro mentalmente un sospiro di sollievo: raramente mi sono sentita così a disagio come di fronte a questa donna.
<<Il dottore la sta ancora visitando>> dichiara guardandolo in cagnesco. <<È cosciente, ma scossa.>>
Per l'ennesima volta mi interrogo sulle ragioni del suo comportamento.
Comprendo che non debba aver gradito il fatto di trovare il fidanzato della figlia – al momento ricoverata in ospedale - abbracciato ad un'altra. Ma questo non mi sembra un motivo valido per trattare tutti in maniera così antipatica e scortese.
<<E il...>> inizia Alex, ma la voce gli si spezza.
Anche da lontano riesco chiaramente a percepire la paura attanagliargli la gola e impedirgli di respirare normalmente.
<<Come sta il bambino?>> domando io per lui e Alex mi lancia quella che ha tutta l'aria di essere un'occhiata di gratitudine, alla quale il mio cuore reagisce facendo una capriola inaspettata.
La madre di Katherine si lascia cadere sulla sedia, proprio dove poco fa sedeva Alex. Si passa una mano sul viso, come a scacciare un pensiero. Poi, senza guardarlo, mormora mestamente: <<Lo ha perso.>> Tre parole, che mi fanno immediatamente sprofondare nella tristezza.
Volto subito lo sguardo verso Alex e lo vedo sbiancare.
Per un attimo temo addirittura che sverrà, ma fortunatamente è abbastanza forte da rimanere lucido.
Si accascia sulla sedia come un manichino rotto, proprio accanto alla futura suocera. Si prende la testa tra le mani e strizza gli occhi con forza, probabilmente per impedirsi di piangere.
Il mondo intero deve essergli appena crollato sulle spalle.
<<Il dottore ha detto che questo genere di aborti spontanei sono del tutto normali durante i primi mesi di gravidanza. A maggior ragione dato la salute piuttosto cagionevole di Katherine>> interviene il padre della ragazza, cercando in qualche modo di offrire un minimo di conforto al futuro marito della figlia e alla moglie.
Tuttavia, il suo tentativo di smorzare la tensione non funziona.
Il mio ex sembra non ascoltarlo nemmeno e la madre di Katherine gli scocca uno sguardo minaccioso, come ad ammonirlo e a spronarlo a starsene in silenzio.
Lui ammutolisce, intimorito.
<<So che non è il momento giusto per parlarne>> prorompe la donna, rivolgendosi ad Alex, <<Ma non credi che non fosse decisamente il caso di rivolgersi a mia figlia in quella maniera, dato il suo stato?>>
Tenta di contenersi e finge disinvoltura, ma non mi sfugge una sfumatura di risentimento nel tono della voce.
Finalmente comprendo le ragioni del suo atteggiamento scorbutico: nel profondo, stava tacitamente covando collera e sospetti nei confronti di Alex.
Lui, dal canto suo, non alza neppure lo sguardo. È ancora immobile, con le mani affondate nei capelli e non credo che l'abbia sentita.
Adesso mi sento decisamente di troppo.
Non conosco le dinamiche del litigio che potrebbero aver provocato il malore della ragazza e, senza dubbio, non penso che mi riguardino.
Ciò che è successo tra i due non sono affari miei e non spetta a me dare alcun giudizio.
Tuttavia, su una cosa non posso che concordare: questo non mi sembra affatto il momento giusto per discutere di una cosa del genere.
Alex è già abbastanza scosso e preda dei sensi di colpa. Non ha bisogno che qualcuno infierisca sui suoi sentimenti.
Mi contengo dal dirglielo e mi limito a sedermi accanto al mio ex.
Non so come, ma trovo addirittura il coraggio di posargli una mano sulla gamba, nell'ennesimo tentativo di confortarlo. Evidentemente, il breve momento di intimità che abbiamo condiviso poco fa deve avermi infuso abbastanza forza per provare a riavvicinarmi a lui.
Tuttavia, ovviamente, le mie speranze vengono ancora una volta disilluse e Alex torna a respingermi.
Si irrigidisce e, senza guardarmi, sussurra freddamente: <<Tessa, è meglio che tu vada.>>
Per un attimo rimango tramortita, delusa. Ma alla fine, senza farmelo dire due volte, decido di andarmene.
Ormai ne sono certa: accanto a lui non c'è più posto per me.
***
Al mio arrivo a casa, trovo Andrew ad attendermi sulla soglia.
Non ha ancora smesso di piovere, sebbene le precipitazioni siano notevolmente diminuite. Dunque, se ne sta seduto sui gradini che accompagnano all'uscio, proprio sotto alla grondaia, e si ripara dal maltempo.
Appena mi scorge, mi accoglie con un'espressione a dir poco affranta e corre inaspettatamente ad abbracciarmi.
Io, per tutta risposta, non posso fare a meno di contrarre i muscoli e irrigidirmi: sono troppo sorpresa di ritrovarlo qui e, soprattutto, non ho scordato il litigio di questa mattina.
Le parole che ha urlato sono ancora un chiodo fisso nella mia mente e non smettono di perseguitarmi.
Devo ammettere che non sono una persona che dimentica facilmente.
Ricordo sempre tutto nei minimi particolari – persone, parole, momenti. A maggior ragione quando si tratta di qualcosa che mi ha colpito o ferito particolarmente.
Questa tendenza a ricordare ogni cosa è decisamente una condanna ma, talvolta, mi protegge dal commettere nuovamente lo stesso errore: raramente concedo seconde possibilità a qualcuno che ha tradito la mia fiducia o che ha messo tutto in discussione.
Non per orgoglio o per amor proprio, ma perché semplicemente impiego mesi ad aprire il mio cuore a qualcuno e venire tradita equivale a chiudermi per sempre.
Sono consapevole – per esperienza personale – che le persone non cambiano e chi ci ha ferito – o abbandonato –, lo rifarà eternamente; non importa quanto si dica pentito o pronto a rimediare.
Restituirgli la lama con la quale ci ha colpito una volta significa, senza ombra di dubbio, concedergli nuovamente e ingenuamente il potere di ferirci.
È proprio questo lato del mio carattere a portarmi a comprendere e a non rimproverare la cocciutaggine con la quale Alex si ostina a non volermi perdonare.
Non sono mai riuscita a farlo neppure io, come potrebbe riuscirci lui?
Vedendo che non ricambio l'abbraccio, Andrew mi lascia andare. <<Perdonami, Tess>> inizia a dire, ma io tento di interromperlo con un gesto della mano.
Non voglio che aggiunga altro. Non servirebbe.
<<Dico davvero, Tessa, mi sono comportato da idiota. Da stronzo>> insiste invece. <<Ti prego, permettimi di dimostrarti che si è trattato solo di uno sporadico momento di rabbia e di gelosia. Nulla di più. Non avevo intenzione di ferirti.>>
Non ribatto. Non so che dire.
Apprezzo il fatto che sia venuto fin qui per scusarsi, mettendo da parte l'orgoglio e dimostrando che tiene al nostro rapporto.
Qualcun altro, forse, non sarebbe neppure arrivato a tanto. Si sarebbe limitato a chiamare o a mandare un breve SMS di scuse.
Essere venuto a scusarsi di persona gli fa decisamente onore.
In fondo, so che posso perdonarlo.
A parte oggi, si è sempre comportato in maniera impeccabile con me. Mi ha trattato ogni giorno con gentilezza, pazienza e affetto. A volte addirittura con amore.
Tuttavia, non so se riuscirò a fidarmi ancora di lui.
Una parte di me è convinta che stia dicendo la verità: l'atteggiamento terribile di questa mattina deve essere per forza dovuto ad un momento di collera e di gelosia.
Non riesco a credere che Andrew sia una persona cattiva o subdola. Non è possibile.
D'altro canto, però, come ho già detto, non so se valga veramente la pena di dargli la possibilità di deludermi ancora.
<<Perdonami>> sussurra di nuovo, appoggiando la fronte alla mia. Ancora una volta resto in silenzio, ad ascoltare le gocce insistenti di pioggia che hanno ripreso a piombare sull'asfalto. Ne sento alcune sfiorarmi il viso e bagnarmi i capelli, ma non mi importa: in questo momento, rimanere immobile sotto la pioggia è estremamente rilassante.
<<Ho bisogno di tempo>> ribatto dopo un po', scostandomi da lui.
Andrew abbozza un sorriso sghembo e mi guarda dolcemente.
Ecco, penso, questo è il suo sguardo.
<<Ci vediamo a lavoro domani?>> mi domanda improvvisamente e io torno a rabbuiarmi.
<<Non avevi detto che sono licenziata?>> chiedo accigliata. <<Tuo padre non ha neppure risposto al messaggio che gli ho inviato. Deduco di non essere più la benvenuta.>>
<<Ho parlato io con mio padre. Puoi tornare a lavoro quando vuoi e assentarti ogni volta che ne hai bisogno. Ovviamente se si tratta di una buona causa>> ribatte alzando un sopracciglio.
Non riesco a trattenermi dal lanciare un urletto di gioia e di saltargli al collo.
<<Grazie, Andrew. Non sai quanto te ne sono grata>> esclamo stringendolo forte.
<<Non c'è di che, Tess. Farei qualsiasi cosa per renderti felice, è il caso che tu lo sappia>> ribatte lui, senza smettere di sorridere.
Prima di andarsene, mi stampa un breve bacio sulla guancia. Si incammina verso la sua auto e io resto a fissarlo finché non sale, mette in moto e sfreccia via.
A seguito di quello che è successo qui, sono obbligata a ricredermi: forse alcune persone meritano una seconda possibilità.
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