Un giorno uguale agli altri
Un giorno in fila all'altro, ognuno uguale al precedente, Mira aprì gli occhi quand'era ancora buio. Da sempre, il suo orologio biologico era tarato prima del suono della sveglia impostata alle 7:00 del mattino. Indugiò ancora sotto la coltre di piume che avvolgeva in un bozzolo di calore lei e il suo Matias, che stava crescendo ormai, ed era sempre più sfuggente, irritabile, non già per mancanza d'affetto verso sua madre, quanto per l'intrinseco bisogno di affermare la propria identità al di fuori della sfera familiare, alla sua età.
Nei momenti che scandivano l'inizio della routine quotidiana, ringraziava tra sé delle piccole cose di cui godeva. Del suo bel bambino lì, nel grande letto dove ancora le faceva compagnia e, spesse volte, si addormentava mentre le raccontava delle sue giornate a scuola. Era grata per la loro piccola dimora dal mobilio che rilasciava il sentore gradevole del legno massello, molto diverso dal tanfo acre dei vecchi arredi tarlati che provocava, invece, tosse persistente a lei e a suo figlio. Una volta, al bambino che allora aveva nove anni, venne quasi un attacco d'asma, quando vivevano nella mansarda malsalubre di una delle tante case dove Mira aveva prestato servizio, nel passato. Ringraziava per la coperta non fatta di lana che, oltre a non scaldare abbastanza, avrebbe scatenato ulteriori allergie. Era contenta per il materasso alto e soffice che al risveglio la faceva sentire davvero riposata, portandosi via tutto l'indolenzimento dei muscoli. Niente era scontato.
Era grata che la dependance fosse arredata proprio come la dimora padronale: essa infatti era soprannominata castello Hernandez e, fino a non molti anni prima, era stata il luogo dei giochi dei tre pargoli del dottor Santiago, il datore di lavoro di Mira, e dei suoi nipotini dopo, i figli di Ermes, il maggiore degli eredi dello pneumologo in pensione.
Mira si sentiva una regina nonostante il lavoro di governante non fosse né leggero, né le facesse ricoprire una posizione di prestigio. Tuttavia ella gioiva del miglioramento delle sue condizioni lavorative. L'impiego ottenuto era stato un salto di qualità, soprattutto per quanto concerneva la possibilità di dare a suo figlio tutto ciò di cui necessitava nell'età della crescita; così, stavolta, non dovette preoccuparsi di scegliere tra l'acquisto di occhiali da vista con lenti speciali per la miopia o l'apparecchio ortodontico. Il contratto stipulato con il dottor Hernandez le aveva garantito entrambe le cose pagando un importo mensile che poteva permettersi.
Non era sempre stato così. Era impossibile dimenticare quanto avessero patito, lei e il suo ragazzo, quando avevano alloggiato presso dimore non riscaldate a sufficienza e inospitali. Le uniche possibili con la paga offerta da padroni duri, così che bisognava razionare cibo, acqua calda ed elettricità. Ripensava a quando, dopo estenuanti turni di pulizie, doveva scegliere se fare una doccia e poter lavare anche i capelli o lasciare sufficiente acqua nel boiler per suo figlio.
Ora, anche la fatica più dura era ricompensata dalla gentilezza degli Hernandez e dalla felicità di poter dare al suo ragazzo una casa dignitosa perché non si sentisse diverso, quello che non poteva invitare un compagno di classe, dopo le lezioni, dato che non aveva una casa propria; i ragazzini sapevano essere davvero spietati a quell'età, e soprattutto considerato che la scuola era situata in un quartiere di famiglie benestanti.
Il non dovere neanche l'affitto della dependance, ma solo le utenze – e su insistenza di Mira, il dottor Santiago non avrebbe voluto che pagasse nemmeno quelle – le aveva persino consentito di risparmiare per un bellissimo regalo già messo sotto l'albero per il Natale che si avvicinava. Matias sarebbe impazzito quando lo avrebbe scartato, e la gioia nei suoi occhi sarebbe stata il premio più bello per sua madre, soprattutto perché, conscio della loro situazione fin da piccolissimo, non aveva mai azzardato richieste costose all'indirizzo di Babbo Natale. Quest'anno lo avrebbe sorpreso.
La sveglia trillò appena e Mira l'agguantò per spegnerla, non volendo svegliare suo figlio. Era il primo giorno delle vacanze invernali. Scostata la coperta, infilò i piedi nelle pantofole e si mosse nella penombra della stanza illuminata da un caleidoscopio di lucine che si diramavano dalla lampada notturna posandosi su soffitto e pareti. Sbadigliò e un brivido la scosse al di sotto del pigiama grigio chiaro, di ciniglia, con un orsetto impunturato a rilievo sul petto, mentre avanzava verso il bagno. Proseguì lungo il corridoio, poi, avviando il termostato, per far partire il riscaldamento che avrebbe spento prima di uscire di casa. Se la prese un po' più comoda non dovendo alternarsi con Matias, visto che non c'era scuola.
Un pigro grigiore ammantava la cucina ancora immersa nella semioscurità. Mira accese i faretti posizionati al di sotto della cappa d'aspirazione e si apprestò a preparare la moka da tre tazze, emblema della sua italianità. Quando Matias si sarebbe svegliato, avrebbe trovato la casa calda e la tavola della colazione imbandita con biscottini di frolla bicolore, crema alla nocciola, pane a cassetta e una gustosa bevanda vegetale alla mandorla, da macchiare con il caffè avanzato nella caffettiera, che intanto aveva sparso la sua fragranza avvolgente per tutta la casa. Dai primi di dicembre, anche il tavolo in legno grezzo di pioppo che troneggiava al centro dell'ambiente unico, costituito dalla cucina e dal soggiornino adiacente, era vestito di un bel runner rosso vivo. Mira provvedeva a ogni particolare perché non mancasse l'atmosfera del periodo. Dalla presa multipla, collocata ai piedi del grande abete finto, premette l'interruttore per illuminare l'albero. Il primo anno che era arrivata aveva decorato solo gli interni. Stavolta, Ahmed, l'addetto alla manutenzione, ed Ermes si erano generosamente offerti di addobbare anche la parte esterna di una variopinta cornice di lucine. Così, il cinque dicembre, con largo anticipo, la piccola dependance era già adorna di tutto punto come il resto della villa.
Mira sorseggiava piano il suo cappuccino nella luce soffusa dei faretti mentre fuori la giornata andava rischiarandosi, proiettando la sua luce lattiginosa attraverso nubi cariche del primo nevischio invernale.
Con gli occhiali sulla punta del naso, la donna scorreva i notiziari online, dal cellulare. Nel susseguirsi di gesti ripetuti in una lenta replica quotidiana, sciacquò la tazza nell'acquaio per poi riporla nella piccola lavastoviglie da quarantacinque, utilissima per non stancarsi ulteriormente dopo il lavoro. Un piccolo vezzo, quello, che si era concessa con i risparmi dei primi mesi di stipendio. Centocinquanta dollari per un usato praticamente nuovo, e che Dio benedica Ahmed che l'aveva accompagnata a ritirarla e le aveva dato una mano per carico, scarico e montaggio.
Tornata in bagno, lasciò scorrere l'acqua nella doccia e recuperò del vestiario comodo per il lavoro, dalla camera da letto. Prestò attenzione a non svegliare il bell'addormentato, ma non resistette a un bacio, soffiato appena, sulla guancia ancora paffuta del suo quasi tredicenne. Lo salutò, bisbigliandogli le solite raccomandazioni; era una grazia lavorare praticamente a pochi metri da lui perché la prudenza non era mai troppa per la super apprensiva mamma Mira.
Alle 8:00 casa Hernandez era ancora avvolta nella quiete ovattata delle prime ore del mattino. Mira entrò in cucina e selezionò la terapia da somministrare al dottore insieme alla colazione. Indossato il grembiule, si dedicò ad apparecchiare il tavolo da pranzo, posizionato nel soggiorno, collocandovi il necessario per Santiago e suo figlio.
A piedi nudi, non fece rumore sulla moquette delle scale, Ermes, mentre discendeva dabbasso. Accortasi in qualche modo della presenza di qualcuno nella stanza, oltre a lei, Mira sollevò il viso e incontrò gli occhi assonati e sorridenti dell'uomo, che la salutò con un cenno della mano.
Mira ricambiò il buongiorno con un sorriso ampio, avendo le mani impegnate a disporre le posate.
«Mi hai preceduto, stavo scendendo in cucina a prendere le medicine per papà. Non riesco mai ad anticiparti. Comunque vado io a svegliarlo» le comunicò, rigirandosi a metà scala e risalendo verso le camere padronali al piano superiore.
«Ermes, è compito mio, non preoccupar...» ma prima che potesse terminare la frase, il figlio del padrone di casa era già di sopra. Era indubbiamente un uomo a modo, di buon cuore, come tutta la sua famiglia, molto disponibile e poco avvezzo a farsi servire. Era arrivato alla villa all'inizio dell'estate appena trascorsa e, negli ultimi mesi, faceva spesso la spola tra la casa dei suoi genitori e New York, dove lavorava e viveva, per vie delle condizioni di salute dell'anziano padre ormai rimasto solo. Ermes era uno stimato attore e il suo lavoro gli permetteva, tra le altre cose, una gestione piuttosto autonoma dei suoi impegni.
Pochi istanti dopo, con piglio energico, l'uomo ridiscese di sotto e sedette a tavola iniziando a servirsi del bendidio a disposizione. Suo padre gli avrebbe fatto compagnia di lì a breve. I tempi del dottor Hernandez erano diluiti, occorreva cautela nel discendere la scalinata che collegava il piano superiore a quello sottostante. Benché vi fosse un montascale, il dottore preferiva non perdere del tutto l'elasticità muscolare, finché avesse potuto reggere lo sforzo.
Il bastone, dal quale il vecchio Santiago non si separava più ormai, faceva udire il suo tocco ritmato, attutito dalla moquette che ricopriva i gradini, quando Ermes invitò Mira a fargli compagnia mentre sorseggiava il caffè.
«Mi fermerei volentieri, ma devo terminare le faccende di là e recarmi al mercato, più tardi.»
«E va bene, ma se non fuggi via come una lepre, ti accompagno, così ti aiuto con la spesa.»
Mira sorrise, non volendo smorzare in malomodo gli entusiasmi del figlio del suo titolare. «È che devo sbrigare anche altre commissioni per tuo padre e dunque mi ci vorrà parecchio tempo, dovendo andare in vari uffici pubblici.»
«Sicura che non ci sia niente in cui posso aiutarti?»
«Sei sempre gentile, Ermes, ma sta' tranquillo, faccio da sola. Goditi il tempo con tuo papà.» Mira lo salutò con un sorriso.
Intanto Santiago era disceso e aveva preso posto a capotavola, accanto a suo figlio. Avvolto nell'austera vestaglia di vigogna dai toni amaranto, allungò una mano verso il pane a cassetta e la confettura preparata dalle mani fatate della sua governante di fiducia.
«Allora staremo da zia Ana alla vigilia. Sei dei nostri o hai altri programmi? Dovrei darle conferma». L'anziano genitore si informò circa i programmi del figlio mentre spalmava un velo di marmellata di amarene scure come la veste da camera che indossava, e rigorosamente senza zuccheri aggiunti, su una fetta di pane morbido, pronto ad addentarla.
«Starò con voi ovviamente, papà. Piuttosto Carmen, Mira e Ahmed che faranno? Hai già comunicato loro i nostri programmi?»
«Come tutti gli anni, avranno due giorni liberi perché stiano con i loro familiari. A proposito, quando arrivano i tuoi bambini?»
«La prossima settimana, il giorno di capodanno. Amanda va in Europa dai suoi, e staranno con me, per fortuna. Potrei morire lontano da quelle due pesti.»
«Allora faremo così», il tono di Hernandez padre si fece più serio. «Ermes, inizio a sentirmi molto stanco, lo sai. Zia Ana ci invita sempre a fermarci da lei, alla vigilia e il venticinque. Quest'anno ho deciso di accettare e di non rientrare alla villa, a tarda sera, come di solito, visto che Vero Beach dista un po' da qui. Comunicalo tu ai ragazzi, così saranno liberi fino all'ora di pranzo del ventisei. Se tu hai altri programmi mettiti d'accordo con loro.»
Ermes asserì alle proposte di suo padre. «Non ho impegni particolari, resto da zia, con voi e avviso gli altri. Saranno contenti di avere mezza giornata in più per loro; lavorano sodo, e qui alla villa c'è sempre tanto da fare» osservò, tuffando nel suo cappuccino fumante una generosa porzione di pane e confettura che divorò con golosità. «Mmh, papà, quindi non ci sarà nessuno da domani sera, qui a casa? Sarà bene riprogrammare l'allarme per i prossimi due giorni» aggiunse.
«La villa non rimane deserta: Ahmed e Carmen staranno dalle loro famiglie, ma Mira rimane qui con suo figlio, nella dependance. Uhm, in effetti sì, potresti riprogrammare l'allarme per le due intere giornate, anziché solo per la notte. Non mi piace saperli qui tutti soli, anche se casa è ben recintata.»
«Mira e Matias non vanno dai loro parenti?» chiese Ermes mentre si serviva ancora del caffè.
«Non hanno parenti; di solito restano qui. L'anno scorso la pregai di venire con me, sia a Natale che in altre festività, ma non ci fu verso. Mira è una donna molto riservata, teme sempre di essere di troppo.» Il dottor Hernandez mandò giù quelle parole come un boccone amaro, sebbene cercasse di non darlo a vedere.
Ermes allora smise un momento di servirsi da mangiare e cercò il viso del padre. «Quindi loro restano sempre qui?» Una morsa allo stomaco lo pungolò.
Hernandez padre annuì mestamente e depose la tazza da tè smezzata; all'improvviso non aveva più tanto appetito nemmeno lui. Mira e la sua vita privata erano un argomento spinoso anche per la sua vecchia scorza resistente che tante ne aveva viste e sopportate.
Poco più tardi, Ermes discese nuovamente in soggiorno, dopo essersi preparato per uscire. Quella mattina avrebbe accompagnato suo padre a sbrigare le ultime compere per i regali di Natale; una scusa per portarlo a fare una passeggiata nel centro di città addobbato per le feste, così da distrarlo e passare del piacevole tempo con lui, evitando che trascorresse tutto il giorno in casa in preda ai ricordi malinconici di quando sua moglie era ancora viva.
Dalle vetrate scorse Mira scaricare la spesa dal mini van adoperato di solito da Ahmed. Si diresse verso l'ingresso secondario che accedeva in cucina. Le sporte erano quasi più grandi di lei, ma con meticolosa organizzazione dispose tutto sul tavolo da lavoro e sistemò ogni prodotto al suo posto. Ermes la osservò poi frugare nella borsa dove armeggiò con alcuni documenti: dopo averli controllati, riprese le chiavi del van e vi si rimise alla guida. Non era la prima volta che esaminava i dipendenti di suo padre. Il personale era molto efficiente e Mira risaltava per la compostezza e la sua precisione. Da luglio l'aveva studiata attentamente, tutti i giorni. Era forte, piena di determinazione, leale, onesta. Ermes si sentiva tranquillo in merito alla cura che mostrava verso suo padre. In quei mesi aveva imparato a conoscere anche Carmen, dalla personalità più scoppiettante e Ahmed, ragazzo molto pacato. Mira però aveva qualcosa in più; a motivo suo padre l'aveva scelta come governante.
Di ritorno a casa, dopo il lavoro, la donna aveva ordinato la cena a domicilio: era il martedì della pizza. Ormai non mancavano che poche ore alla vigilia. Dopo la serie tv guardata con suo figlio, aveva concesso lui di attardarsi ancora a chattare con i suoi amici: il magico mondo dei videogiochi assorbiva del tutto i ragazzini. Per fortuna ancora non pensavano a correre dietro alle ragazze. Mira sperava ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo per quell'altro tipo di problemi.
Aveva finito di incartare gli ultimi pacchetti con i piccoli doni che servivano per Ruba Pacco, il gioco in cui lei e Matias si sarebbero sfidati in una lotta all'ultimo tiro di dado, a mezzanotte.
Alla fine della lunga giornata si lasciò cadere esausta sul piccolo sofà a due posti, nella calda aura delle lucine dell'albero. Prese un libro, inforcò gli occhiali e tirò sulle gambe la coperta in pile. Indossava ancora i jeans e il maglione a collo alto e calzini pelosi che utilizzava su quelli di velo, per camminare sul parquet. Era stanca e non aveva voglia di cambiarsi, lo avrebbe fatto prima di andare a letto.
Come ogni sera il flusso dei pensieri la sospinse tra i ricordi delle feste passate. Qualcosa le sarebbe sempre mancato ma in fin dei conti aveva lì suo figlio: la sua famiglia. Loro due sì, una famiglia di sole due persone. L'odore delle pagine ingiallite la riportò ai natali affollati, passati a fare i compiti delle vacanze, al mattino, mentre sua madre armeggiava nel tinello, e poi i pomeriggi via, a casa degli zii tra infinite manches di giochi da tavola per i più grandi e di nascondino, sotto le sedie, tra le gambe degli adulti, per lei e i suoi cugini.
Ogni tanto pensava a quanto avrebbe voluto riportare le lancette indietro per rivivere una sola di quelle ore spensierate accanto ai visi che erano divenuti solo memorie sbiadite. Eppure sembrava ieri che, mentre tutti brindavano alla mezzanotte del nuovo anno, lei sgattaiolava in un cantuccio buio a osservare le luci della sua città, fuori dalla finestra, e immaginare il futuro e come sarebbe stato essere grandi e viverlo lontano da un paese dalla mentalità troppo provinciale per i sogni arditi di una ragazzina che volava nei posti dalle milleunanotte, come Aladino sul magico tappeto delle pagine dei suoi amici libri.
E lontano ci era andata davvero. Tanto. Per ricominciare tutto da zero. Per sé e per suo figlio. Certo, la vita aveva preso una piega diversa dalle sue aspirazioni, a un certo punto, ma non era tempo di recriminare.
Assorta nei suoi pensieri quasi non si accorse del lieve picchiare alla porta che la riportò al presente. Era tarda sera, forse Ahmed o Carmen avevano terminato qualcosa, in casa. Aperto l'uscio, dopo aver controllato dallo spioncino, Mira si ritrovò davanti Ermes.
«Scusa l'ora, mi sono permesso perché ho visto le luci accese, all'interno. Posso? Fa freddo!»
«Vieni, entra» lo accolse.
«Mira... io, ecco... non faccio tanti giri di parole: domani sera voglio che tu e Matias veniate da zia Ana» bofonchiò in palese imbarazzo.
«Ti manda tuo padre?» concluse lei con un sorriso ironico.
«Non accetterò un no per risposta. Partiamo alle cinque, domani, naturalmente andremo con la macchina di papà: guiderò io.»
«Ermes... sei gentile ma è una festa di famiglia e io non ho neppure niente da mettermi.»
«A-a che ti ho detto? Niente storie. Non è un red carpet, qualunque cosa tu indossi, andrà bene. Allora a domani alle cinque!» Ermes interruppe le rimostranze di Mira e guadagnò l'uscita augurandole una frettolosa buonanotte che non ammetteva repliche. Mira sorrise tra sé del fare guascone dell'uomo.
Testone, come tuo padre, si limitò a borbottare mentalmente mentre indossava il pigiama in ciniglia grigio chiaro con l'orsetto impunturato sul davanti e disattivava la sveglia. Coricata accanto al suo pargolo biondo lo ascoltava parlarle a perdifiato dei videogiochi, dello sport che tanto gli piaceva. In men che non si dica s'erano addormentati sotto la calda trapunta.
Alle quattro e mezza del pomeriggio del giorno dopo, ancora in jeans, si tormentava su cosa avrebbe indossato. Seppure non fosse un evento era pur sempre una cena di Natale e lei, di elegante, possedeva ben poco. L'ansia arrivò alle stelle, quando sentì bussare alla porta.
Matias aprì a Ermes che era un po' in anticipo. Il ragazzo, pronto di tutto punto, felpa maxi, calzoni della tuta e Jordan ai piedi, allargò le braccia in segno di resa.
«Deve ancora vestirsi, non ti illudere... tryhardi a FIFA 23? Ti avviso: io sono un pro, però.»
Ermes accettò di buon grado e si sistemò sul sofà in posizione con il controller alla mano.
Dopo una ventina di minuti Mira fece capolino in soggiorno con indosso il cappotto di già.
«Appena in tempo» le sorrise Ermes, «Matias mi ha appena fatto fuori.»
«Ti ho arato! Mi dispiace, ti devi allenare di più» soggiunse l'interessato con orgoglio.
Ermes sorrise mentre lui e il ragazzo seguivano Mira all'esterno.
«Vuoi passarmi le buste mentre chiudi la porta?» Ermes si offrì con la gentilezza che lo caratterizzava.
«Aprirmi il baule dell'auto soltanto. Sono due passi, ce la faccio.» Il dottor Hernandez era già accomodato sul sedile del passeggero, accanto al posto di guida e li aspettava.
Durante il tragitto, Ermes e Matias continuarono un acceso dibattito sulle novità dei videogames. La conversazione dai toni vivaci coinvolgeva anche Mira e Santiago, nel limite che potessero intervenire, da profani, e dire la loro. Tra una risata e uno scambio di frecciate da parte di Matias all'indirizzo di Ermes, e Mira che cercava di mitigare gli animi, la mezz'ora di tragitto verso Vero Beach volò. Giunti a casa Estrada, presso la villa di zia Ana, Ermes aprì lo sportello per far scendere suo padre, e subito dopo a Mira.
«Ermes, accompagno io tuo padre, tu puoi prendere i regali, per favore?»
Ermes l'aveva anticipata: aveva già le borse in una mano e con quella libera la fermò. «Ci penso io a papà. È il tuo giorno libero, voglio che riposi». Glielo disse con la voce che s'era fatta più grave di mezzo tono e rivolgendole un'occhiata carica, di quelle che avevano saettato, tra loro, dal retrovisore, fra una battuta e l'altra. Mira deglutì e si affiancò a suo figlio, lasciando che Ermes, con al braccio suo padre, la precedesse.
Giunti in casa, zia Ana e il resto dei cugini fecero le feste a Mira e suo figlio per la contentezza vedere anche loro lì.
«Volete darmi le giacche?» Ermes si comportava da perfetto padrone di casa. Mira annuì appena e sfilò il pastrano di panno nero, porgendolo all’uomo che le rivolse un'occhiata discreta e soggiunse «Eri tanto preoccupata di cosa mettere. Visto?! Non ce n'era motivo, stai benissimo!»
«Grazie» pronunziò lei, abbassando lo sguardo timidamente.
Preso posto alla tavola ricolma di ogni prelibatezza, zia Ana pregò Santiago, suo fratello maggiore, di condurli in una preghiera di ringraziamento prima di prendere cibo. I commensali, fatto silenzio, si presero per mano, come da usanza. Non fece eccezione Ermes che, pur non essendo particolarmente credente, rispettava le tradizioni per amore dei suoi familiari. Porse il palmo della mano a Mira, seduta di fianco a lui e, intrecciate le mani, chinarono appena il capo e ascoltarono Santiago che pronunciava la benedizione.
Pomeriggio e serata volarono tra la cena e i giochi. Matias conosceva i figli dei cugini di Ermes, avevano più o meno la sua età, ma tra loro s'era intrufolato pure un quarantenne brizzolato che pareva il più figliolo del gruppetto e, in qualche manche di FIFA al cardiopalma, aveva fatto mangiare la polvere ai ragazzini.
Poco prima di mezzanotte, sparecchiato il grande tavolo, tutti i pacchi erano stati posti al centro per la sfida più attesa: Ruba Pacco!
Al lancio del dado, se esso si fermava sul sei, il partecipante che aveva tirato poteva prendere un dono. Durante il secondo giro, un partecipante sorteggiato stabiliva un tempo che non diceva agli altri e tutti tiravano ancora. Questa volta, a chi fosse toccato in sorte il sei avrebbe rubato un regalo al partecipante alla sua sinistra. Naturalmente i doni nei pacchi erano sciocchezze da poco: caramelle, guanti, calze ecc. Eppure erano tutti piuttosto agguerriti. Fortunatamente si terminava quasi sempre senza spargimenti di sangue. Mira ed Ermes avevano continuato a osservarsi spesso, quando erano sicuri che l'altro non potesse accorgersene. Puntualmente finivano per incrociare gli sguardi che fuggivano imbarazzati. Il fare guascone di lui non dispiaceva a Mira, era sì scanzonato e allegro ma era un uomo capace di mettere persino da parte un lavoro prestigioso per stare accanto a suo padre. Ermes ammirava l'abnegazione di Mira verso il suo lavoro e verso suo padre e quella sera fu felice di vederla sotto una luce diversa. Fu bello guardarla ridere e divertirsi con suo figlio. Spesse volte la credeva così seria da esserne incapace, ma non perché la ritenesse priva di sentimenti, tutt'altro.
La mezzanotte era trascorsa da poco ed Ermes, preso in una conversazione con i suoi zii, cercò istintivamente Mira, non vedendola più nelle vicinanze. Si diresse verso la cucina e nella penobra intravide la sua sagoma accanto alle vetrate. Avanzò verso di lei, non volendo disturbarla. Il brusio dei festeggiamenti arrivava come una eco lontana. D'istinto posò una mano sulla spalla della donna, le dita affondarono nel candido maglione di angora.
Mira non sobbalzò, si volse piano e lo guardò. Non dissero niente, rimasero fermi, per qualche istante, in quel silenzio che li univa attraverso pensieri molto simili, forse.
«Ermes, chiamo un taxi. Sono le una, sarà meglio che vada a casa. Mi avete regalato una fantastica serata. Siamo stati bene.»
«Non pensarci nemmeno, ti accompagno io. Sono sobrio, ho bevuto pochissimo.»
«Ma...» Mira fece per replicare però Ermes la fermò.
Durante il tragitto di ritorno, la donna chiese a Ermes una variazione di percorso. L'auto degli Hernandez sostò davanti alla chiesa Mater Dei. Solo il tintinnio di una monetina spezzò il reverenziale silenzio della navata centrale, rimasta ormai deserta dopo la messa di mezzanotte, quando Mira si inginocchiò e accese il suo cero per ringraziare. Ermes la attendeva in posizione un poco più arretrata.
Nel suo cuore, Mira recitò una preghiera anche per lui: Signore, grazie per l'amicizia di Ermes, perché tiene tanta compagnia a Matias, perché è buono come suo padre e tutta la sua meravigliosa famiglia che ci ha accolti non come estranei ma come parte integrante della loro vita. Grazie perché le giornate passano più svelte e leggere. Grazie perché gli Hernandez ci fanno sentire meno soli. Non abbiamo meriti ma tutto viene dalla tua grazia. Amen.
Un giorno in fila all'altro, ognuno uguale al precedente, Mira sedette, come ogni sera, prima di andare a letto, sul davanzale della finestra, fissando verso l'esterno, travolta da una fiumana di pensieri, nella sola illuminazione fioca dell'albero delle feste.
Ermes stava salutando Matias. Pochi attimi dopo una mano si posò ancora sulla sua spalla. Mira si volse e notò come, negli occhi di Ermes, tutta la goliardia da giullare della serata avesse lasciato posto a un'espressione cerchiata dalla stanchezza.
«Ne senti la mancanza, vero?» sospirò la donna quasi in un sussurro.
«Tanto quanto a te mancano i tuoi cari» soggiunse lui abbassando lo sguardo «ci mancheranno sempre le persone che non ci sono più e quelle che non possono essere con noi. È a loro che pensiamo mentre ridiamo e ringraziamo per tutto quello che invece abbiamo.»
«Stiamo diventando vecchi, e melodrammatici. Ermes non fare tardi oltre, va' a casa. Buonanotte». Mira gli lasciò una carezza e un bacio sulla guancia.
«Non mi va di tornare a Vero Beach, facciamo una maratona di vecchi film? Era un'abitudine con mamma e i miei fratelli.»
«Anche io facevo sempre la maratona notturna di film con mamma e i miei fratelli!» Mira si illuminò e accese la tv, «C'è Jerry Lewis, stanno dando Cenerentolo!» propose euforica.
Dieci minuti dopo, una vaschetta di gelato al cacao, tre cucchiaini e il telecomando alla mano, Mira Ermes e Matias si rannicchiarono sul sofà, sotto l'ampia coperta in pile. Quell'annata, la morsa del freddo bussò anche alle porte della sempre soleggiata Florida e fuori aveva iniziato a nevicare lieve lieve ma fitto, eppure castello Hernandez non era mai stato un nido più accogliente.
Angolino Autrice:
Buona Vigilia a tutti!
Mi credevate rintanata come un Grinch ammusato? E invece sono a cantare felici Caroselli di Natale insieme al vecchio Scrooge!
Spero che questa piccola favola senza grandi pretese vi tenga compagnia e vi scaldi un poco il cuore, come ha fatto con me, mentre la scrivevo.
Mira, Ermes, Ana, Santiago e Matias sono i personaggi di una storia più ampia a cui lavoro da diverso tempo ormai. Ve li ho voluti presentare regalandoveli in una parentesi natalizia (ebbene l'inguaribile romantica che c'è in me non ha resistito).
Termini da gamer come Tryhardare, arare e pro significano rispettivamente provarci con impegno (dall'inglese try hard) e arare sta per battere spudoratamente (si rifà al termine agricolo per indicare che uno è stato capovolto, raso al suolo), pro sta per pro gamer cioè un giocatore di livello esperto; robe da madri di maschi adepti ai videogiochi. 🤦♀️
Detto ciò, cari amici vicini e lontani, ancora Buone Feste!
Nives.
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