Capitolo 4 - Salta con me!

Arrivò al binario mentre il vento cominciava ad aumentare la sua potenza. Dovette ripararsi al lato di una colonna, così da non gelare stando ferma.

«Ginevra, sei qui!»

Si voltò non appena sentì il suo nome e ritrovò la figura di Marco. Spalancò gli occhi stupita di vederlo in quel punto.

«Che ci fai qua?» gli domandò, guardandosi attorno. Era spaventata, non lo negava, ma la rassicurò la consapevolezza di avere così tante persone accanto a lei.

Avrebbero potuto proteggerla o chiamare aiuto, nel caso in cui lui avesse avuto cattive intenzioni. Solo che, non sapeva per quale motivo, ma stentava a credere a quell'eventualità.

«Non lo so», affermò lui.

«In che senso?»

Marco si grattò la nuca e guardò attorno. A Ginevra sembrava quasi come se stesse cercando la risposta a quella domanda sui volti della gente.

«Ho sentito un impulso che mi ha spinto a seguirti. Non so per quale motivo», iniziò, «e a essere sinceri mi sento anche uno sciocco a non aver preparato nulla da dire».

La bruna lo fissò, spalancando gli occhi nuovamente. «Hai sentito di voler seguire me?»

Lo disse puntandosi il dito contro e calcando la voce su quell'ultima parola. A Ginevra quelle cose non accadevano.

«Forse hai ragione. Non ha senso. È stato un piacere», dichiarò voltandosi per incamminarsi verso il sottopassaggio che l'avrebbe condotto al di fuori della stazione.

Non appena raggiunse metà scalinata, l'altoparlante annunciò l'arrivo del treno al binario. Ginevra guardò verso la direzione d'arrivo e subito dopo girò la testa dall'altra parte, in quel punto nel quale Marco ormai non riusciva più a scorgerlo.

Scosse il capo per cercare di scacciare quelle malsane idee che le stavano ronzando per la testa. Non sapeva nemmeno chi fosse, come avrebbe potuto seguirlo? E per quale motivo, soprattutto?

Si bloccò.

Il treno macinava metri sulle rotaie, mentre razionalità e impulso facevano a botte nella sua persona. Sentiva entrambi esporre le loro ragioni, ma lei dentro di sé sapeva a chi doveva dar retta.

Guardò il treno, e poi si voltò. Corse verso le scale che l'avrebbero condotta nel sottopassaggio e accelerò il passo per cercare di uscire dalla stazione il più presto possibile.

Superò le porte automatiche e scrutò tutta la piazzola che si presentava dinanzi alla sua vista. Ci vollero pochi istanti e finalmente lo vide: stava camminando lungo la via che Ginevra percorreva sempre per tornare a casa.

Si tirò su la borsa che cadeva dalla spalla e cominciò a correre verso di lui. Non sapeva perché lo stesse facendo, ma soprattutto dove avesse trovato quel coraggio.

A Ginevra non capitavano quelle cose.

E, specialmente, non faceva quelle follie per uno sconosciuto che l'aveva pedinata per motivi a lei non noti.

«Marco, aspetta!» gridò quando gli fu vicino. Lui si voltò all'istante e le sorrise, come se non si aspettasse di ritrovarsela lì.

«Che ci fai qui?» disse lui, ponendole la stessa domanda che aveva fatto lei pochi minuti prima.

Ginevra rise e, stando al gioco, rispose un «Non lo so» che, a dirla tutta, era più vero di quanto lei stessa potesse immaginare.

«Ho sentito anche io l'impulso di seguirti e non so per quale assurdo motivo», ammise. Quei due avevano solamente parlato qualche istante, ma ciò era stato sufficiente a far decidere a Marco di deviare il suo percorso per andare da lei.

Forse il destino le stava giocando un brutto scherzo, ma Ginevra percepì una piccola fiamma ardere dentro di sé. Si sentiva viva, per la prima volta dopo tanto tempo, perché eventi simili non capivano nella sua vita da anni, ormai. Non accadevano, ma in quelle rare occasioni lei era dell'idea che andassero colti al volo.

«Ok, ho ufficialmente rinunciato alle mie ore di lezione. I tuoi piani saltati quali sono invece?»

Lui la guardò perplesso. «Piani saltati? Veramente io avrei delle cose importanti da fare...»

Pronunciò quell'ultima frase con voce flebile e alla ragazza venne naturale fare un passo indietro. Scosse il capo e sorrise perché era stata proprio una sciocca a credere che un ragazzo potesse essersi davvero interessato a lei.

Si sentì male al pensiero di quello che passava nella mente del ragazzo alto e dal fisico slanciato che si trovava dinanzi a lei. Se fosse stata da sola, si sarebbe data delle pacche sulla fronte, così da ricordarsi che certe cose non esistevano. O, almeno, non accadevano a lei.

«Tranquillo», asserì la mora. Nell'attimo seguente aggiunse: «Non fa niente. Io allora vado verso casa e... beh, ci si vede in giro, Marco».

Dalla bocca del ragazzo con gli occhi a mandorla uscì una grossa risata. «Ma come sei poco fiduciosa, Ginny. I miei piani non erano niente di rilevante e, se a te va, mi piacerebbe davvero tanto offrirti qualcosa da bere.»

Ginevra gli sorrise, sia per il modo in cui l'aveva chiamata sia per l'offerta che le aveva fatto. Probabilmente era davvero strana come solevano definirla. Il suo umore era cambiato in maniera talmente repentina che, in quel momento, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era la gioia indescrivibile che batteva nel suo petto per quel ragazzo interessato a conoscerla davvero.

Si domandò quale assurdo gioco del destino fosse incappato lungo la sua via e quali astrali coincidenze avevano fatto sì che Ginevra si scontrasse con Marco, nel luogo in cui passava tutti giorni al medesimo orario.

«Allora ti va?» ripeté lui, dinanzi alla sua mancata risposta. «Non ho cattive intenzioni, lo giuro», aggiunse alzando le mani, come nei film, per far vedere che non aveva armi di alcun tipo.

Ginevra rise e si avvicinò a lui. Era piccola al suo fianco, con il suo metro e sessanta confrontato agli almeno venti centimetri in più di lui. Ciò, però, non la faceva sentire in pericolo e, in cuor suo, sapeva che nulla di male sarebbe accaduto.

«Certo, andiamo.»

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