Capitolo 8
<Dobbiamo pur vedere il livido sul fianco, il taglio sulle ginocchia e se hai altre ferite come quella sulla schiena, no?> chiese retorico il ragazzo. E nel mentre che mi abbassavo i pantaloni, tenendo le cosce il più vicino e attaccato fra loro possibile, sussurrai un pudico: <Lo so, è che mi vergogno.>
Kiw e Harada si fissarono per qualche attimo negli occhi, probabilmente stavano comunicando in un modo tutto loro. Poi la donna mi venne più vicino e, mentre scostava un filino più in basso le mutande per osservare bene il livido sul fianco, ben rossastro e con una piccola abrasione allegata, mi fece: <Amaya, giusto due secondi fa ti ho fatto una domanda a cui però non hai dato risposta. C'è un motivo specifico per il fatto che sei chiamata con un nome che significa "pioggia notturna"?>
Rimasi un pochino spiazzata da quelle parole, non trovando lì per lì il perché di quella domanda e risposi: <Quando sono nata io, il 23 agosto, diciamo che era alla fine di un'estate particolarmente torrida e, quasi subito dopo essere nata alle 2:59 del mattino, ha iniziato a piovere, portando un bel po' di fresco. E...>
Feci una pausa nella quale Harada disse: <Ora siediti, cara. Kiw, finisci tu con la ferita sulla gamba.> e poi prese la cassetta con i medicinali e andò a rimetterla a posto. <Non continui? Eppure mi sembrava che avessi altro da dire...> commentò freddo Kiw non risparmiandosi nel buttare un ettolitro di acqua ossigenata addosso alla lunga ma superficiale ferita che mi ero procurata sulla gamba gamba.
Annuii per poi riprendere, persa nella mia logorroicità: se qualcuno mi metteva a mio agio e mi faceva parlare... beh, solitamente credo che se ne pentisse e che mi scambiasse per una radio ambulante, ma senza tasto "Off".
<E diciamo che trovo molto bello e poetico il significato di "pioggia notturna", oltre che azzeccato con la sottoscritta. Perché, detto così, sembra una cosa o né bella o né particolare, ma nel suo contesto era una cosa sia gradita che, in un certo senso, desiderata. E ogni tanto è piacevole dirsi che, in fondo, forse sono una "cosa" buona.> conclusi, persa nei miei pensieri.
<Dovresti fare un corso per quanto riguarda l'autostima perché, se nonostante tutto, ti reputi solo a volte e solamente con qualche probabilità importante... Sei messa male!> borbottò Kiw, mettendo un enorme cerotto quadrato sulla mia ferita. Provai a dondolare e flettere la gamba e sentii il ginocchio messo molto meglio. <Messa male?> chiesi, ma il ritorno dell'altra infermiera non mi fece ricevere risposta.
<Va meglio?> chiese la donna, ritornata con una pomata per le abrasioni e antidolorifica, iniziando a spargermela sulla botta sul fianco che aveva lasciato in sospeso. <Sì, molto. Grazie ad entrambi.> e guardai un attimo Kiw, in attesa che finisse il discorso di prima.
Messa la pomata e la bendatura la donna mi diede il permesso di rivestirmi e, mentre lo facevo, Kiw mi parlò: <Ho odiato i dotati di Quirk fino da piccolo solamente perché il Governo voleva ciò e mi aveva inculcato quella ideologia in testa.>. Aveva introdotto l'argomento e in quel momento ero diventata curiosa e stupita: un perfetto estraneo mi voleva parlare del suo passato e di sue faccende personali?
Ma che cazzo?
Riprese quasi subito a parlare: <Poi, qualche mese fa si è presentato al pronto soccorso un bambino sui quattro anni, che ci dissero che era stato picchiato a sangue da dei bambini delle elementari perché, avendo compiuto da poco i quattro anni, la sua inaspettata natura di essere umano dotato di Quirk era sfociata fuori. Ed era un Quirk anche abbastanza semplice e poco "eccezionale" a impatto visivo, visto che creava semplici bolle d'aria o d'acqua di grandi dimensioni. In esse però poteva inglobare oggetti ed era riuscito pure ad inglobare una gamba della mamma, una volta e per solo cinque minuti, a quanto letto negli archivi. Fu portato quasi subito d'urgenza a fare delle lastre, dati tagli profondi, lividi ed ematomi presenti sul corpo.> e fece una pausa ad effetto. Capivo quel bambino, anche io mi ero ritrovata a tornare a casa con lividi o ferita in più, causate dai bambini che mi spintonavano e dicevano: <E ora usa il tuo potere, dai!> e io mi trattenevo perché mi avevano insegnato che altrimenti avrei fatto a loro del male e avrei avuto seri guai.
Come se quelli avuti non fossero stati abbastanza.
<Vedere i suoi genitori in lacrime era straziante: vedere il proprio figlio ridotto ad un malmesso sacco da boxe per una cosa che non aveva scelto doveva essere brutto; anche perché forse si davano la colpa di quel Quirk sbucato. Io ero nel reparto pediatria per del tirocinio ed ho assistito il bambino per tutto il tempo che era rimasto lì. Mi aveva ricordato il mio cuginetto morto in seguito ad un incidente a causa di un coglione ubriaco. Parlai con quel bambino, accecato dal ricordo del mio cuginetto e mi fece male sentire certe parole di totale sfiducia in sé stesso e tutta quella depressione, contenuta in un bambino di soli quattro anni, che piangeva. E allora capii la verità: voi non siete mostri con forza o elementi soprannaturali, diversi o sbagliati rispetto a noi. Siete anche voi comuni esseri umani, con solo una caratteristica particolare come i capelli rossi o gli occhi rosa, solo che il vostro, dato che quasi sempre capitate in una famiglia di senza Quirk, non è genetico. È casuale. Almeno per adesso. Quando, all'ospedale, ho sentito che qua c'erano dei dotati di Quirk impazziti e probabilmente qualcuno dentro, dotato di poteri, li stava respingendo ho chiesto di venire. E lei è venuta con me. È l'unica che sa di tutto questo che ti ho detto.> concluse.
Io mi ero finita di cambiare ed ero stupita di ciò che mi aveva detto. Lo fissavo confusa. <Perché mi hai detto tutto questo?> chiesi, mentre la donna stava accuratamente nella parte anteriore dell'ambulanza, con ogni probabilità.
<Perchè mi sono fatto spiegare cosa era successo dentro. E mi hanno detto che tu hai scelto noi comuni umani anche se avresti tutto il diritto di odiare noi senza Quirk in generale. Ma il tuo voler bene ad alcuni non razzisti e il credere nel meglio della gente ha prevalso in te. Questo era tanto per dirti come una persona possa cambiare nel tempo. Tanti senza unicità devono aprire gli occhi su ciò, ma se quello successo oggi non fosse un caso isolato... voi dotati di Quirk sarete nella merda più totale e sarete più soggetti al cambiar partito.> spiegò, guardandomi con quei sottili occhi che parevano scrutarmi fin dell'anima. Mi sentii vulnerabile e debole sotto quello sguardo, e pensai fosse tanto controproducente per una persona che lavorava sia all'ospedale sia nel pronto soccorso in ambulanza.
Chiusi gli occhi un attimo, chinai la testa ed espirai profondamente. Chissà perché, ma trovavo tanto veritiere le parole di Kiw e avevo paura di commettere uno sbaglio e scegliere lo stesso lato di Angel ed Eye-Tech. Mi chiesi per un attimo se tutti loro non avessero famiglia, o fossero stati rinnegati da essa, e avessero trovato appiglio negli altri e nell'odio. D'altronde, anche io avrei volentieri teso una mano alla vendetta, se non fosse stato per Asami. Finché lei, la mia famiglia e quelle poche altre persone che mi importavano erano sane e salve, avrei sempre avuto almeno un motivo per scegliere loro e, perciò, i senza Quirk.
La donna ritornò nell'esatto momento in cui finii di vestirmi e mi congedò con: <Di solito si dice "Alla prossima", ma con il mio lavoro è meglio solamente dire "Buona giornata".> <Mai dire mai con me, soprattutto se riguarda ferite e cadute.> ribattei io salutando con una mano entrambi e, prima di scendere, augurare: <Buona giornata.>
Scesa dal mezzo, vidi l'agente enorme e dotato di Quirk di prima guardarsi con leggera frenesia intorno, insieme ad... Asami?! Che ci faceva con lui? Avrei tanto voluto urlare il suo nome ma, data la mia timidezza e le mie pare nell'urlare volontariamente in pubblico, non lo feci. Per fortuna, non rimasi nel dubbio per tanto dato che, quasi subito, Asami incrociò il mio sguardo e, tirando per la manica della divisa l'omaccione, si diresse verso di me. Sorrisi imbarazzata e tentando di essere dolce, sicuramente incurvando di più un solo lato della mia bocca nel mio tipico orribile (a detta mia) sorriso, e mi stupii quando quella nanetta mi assalì e mi abbracciò. Ricambiai comunque con la mia solita forza stritolatrice, sollevandola e facendola esalare un lamentato <Aiuto>, prima di rimetterla giù e staccarmi; cosa che fece pure lei con un sorriso smagliante in volto.
<Perché?> chiesi diretta. Lei mi guardò interrogativa. <L'abbraccio. Pensavo che in questa situazione non mi avresti mai abbracciato.> spiegai, stizzita, aggiungendo mentalmente "Mentre sicuramente con loro due l'avresti fatto!"
Una delle due a cui mi stavo riferendo alla era la sua migliore amica da quando quest'ultima era nata e con lei non ce l'avevo mentalmente con lei: c'era da sempre per Asami ed era giusto che lei stesse su dei gradini più in alto di me. Mentre ero gelosa di una ragazza, quella con cui eravamo più "amiche" dell'altra aula. Loro due si erano legate molto e, con lei, era più "espansiva" che con me, anche se io ero quella più espressiva tra le due. Lei mostrava o apatia, o una strano divertimento o rabbia. Tre cose e io non le avevo visto altro; io, per la miseria, pensavo di essere un pochino più espressiva. Ma mi dicevo che forse mi sbagliavo, per evitarmi paranoie lunghe ore.
Comunque per esempio, quando Asami era arrabbiata o particolarmente triste, io non potevo neppure poterla abbracciare velocemente che altrimenti si incavolava, mentre durante l'intervallo Asami la abbracciava da dietro e la usava da peluche, anche se era abbastanza comico dato il fatto che la mia migliore amica era più bassa di lei. E mi dava fastidio, mi sentivo inferiore, ma ovviamente non glielo avevo mai detto e mai l'avrei fatto con così facilità dato il mio comportamento a riccio che funzionava praticamente come: qualcosa dall'esterno mi faceva male e minaccia? Non esternavo il dolore con nessuno e mi chiudevo in me, ingoiando tutto e provandolo a soffocare.
Ecco perché non parevo mai neppure un pochino gelosa o davvero triste, parevo solamente neutra nel primo caso e un filo malinconica nel secondo. Non volevo mostrare agli altri i miei problemi perché da piccola li consideravo inferiori ai problemi altrui, perché mi dicevo che IO ero inferiore a loro. Almeno questa cazzata me la ero fatta abbastanza passare dalla testa, anche se quel comportamento rimaneva.
Ma, ritornando ad Asami e alla mia gelosia, non potevo neanche pretendere che lei ricambiasse alla stessa maniera il bene che le volevo. Avevamo 15 anni e lei, le amicizie, le aveva vissute attivamente e realmente nel bene o nel male; io i miei primi 13 anni li avevo passati con vuoto o falsità, nulla di paragonabile ad una "vera" amicizia, sperimentata per la prima volta con lei. Lei per me era il mio inizio, io per lei solo un'altra tappa. Forse ero nella top cinque del voler bene a persone non consanguinee, ma non potevo sperare di essere nell'essere nella top tre, dato anche il suo fidanzato. E con lui non avevo da prendermela. Lì c'era anche attrattiva sessuale, cosa che io con lei non volevo.
Ero etero, fino a prova contraria.
<E perché, scusa? Ero preoccupata per te e... beh, avevo bisogno di te.> ammise lei e una vocina fastidiosa dentro di me mi accarezzò la mente con "Neanche a lei interessi più di tanto. Tu, per gli altri, sei sempre solo una bambola di pezza da usare e poi buttare via appena inutilizzabile. Lo constata il suo comportamento con te in questi giorni. Quasi non ti ha abbracciato ma, ehi, appena le servi eccola che rispunta dolce e affettiva"
Scossi la mia testa da quei pensieri, mentre scostavo sgarbata Asami da me. Non volevo dare corda a quella vocina, quella diffidenza spuntata successivamente ad una svolta data alla mia vita dopo i primi 13 anni vissuti male, fin troppo. Ecco cos'era la mia vita, sopravvivenza ignorando tutti quei piccoli mali, accumulatosi negli anni e diventati troppo pesanti da portare sulle spalle della mia anima, fragile e delicata come la povera bambina di 3 anni e mezzo la cui vita era stata cambiata in un inesorabile peggio.
N/A:
Io: Amaya, rompi i coglioni! Smettila di fare la fatalista!
Amaya: ma sei te che mi hai reso così!
Io: infatti lo adoro! È esattamente come ti volevo!
Ok, ritornando un filino più seri (*coff coff* COME NO *coff coff*), ho fatto questo microscopico dialogo solo per dirvi che se Amaya appare troppo rottura di scatole, è fatto apposta.
Amaya è un personaggio che si fa giusto un pochino di pare mentali. E col suo pessimismo si crea una accoppiata micidiale!
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