Capitolo 43
Alla fine, passammo l'esame... e pure indenni.
<Attenzione gente, sono riuscita a non farmi male, per una volta!> avevo strillato, uscita dall'ospedale insieme a Daisuke, che ridacchiava divertito.
Beh, si intuisce che non potevo che esserne più che soddisfatta.
Andammo alla sua auto, mi sedetti nel posto passeggero, poggiai il mio zainetto ai miei piedi e mi allacciai la cintura con tutta calma, prima che mi venisse in mente un lapsus. Proprio mentre partimmo diretti alla volta dell'ISQ, dove Daisuke mi avrebbe "scaricata" per andare a casa dal fidanzatino, chiesi: <Ora potresti gentilmente dirmi perché Espoir? Non ho sgarrato nulla, merito risposte.>
Sospirò come arreso, senza però poter scuotere la testa, e commentò: <Allora, quando vuoi, ricordi.>
<Il che è abbastanza raro, sii fortunato!> replicai ironica. <Comunque, su, dai! Vorrei avere una risposta!> feci, gonfiando le guance fintamente indispettita.
Dovette avermi visto con la coda dell'occhio, perché rise piano ma divertito ed asserì: <Sai, sei proprio una bimba a volte. Comunque... prima di tutto ho scelto la parola "speranza" perché... ehm... ho la speranza che tutto questo macello finisca per il meglio, con noi che abbiamo più diritti e senza morti. O, almeno, ho la speranza di non crepare mentre faccio questo lavoro.>
Rimasi qualche secondo muta.
Lo capivo molto bene.
Anch'io, in fondo, speravo che tutto quello finisse al più presto, anche se sapevo che era l'opzione più utopistica delle tre che avevo in mente sulle sorti di tutti quei fatti.
<Ohi... mi dispiace aver rotto quella tua piccola parte ingenua che credeva che...> tentò Fukuda, iniziando male, ma non me la presi né in quel momento, né prima.
<Tranquillo... non mi sono illusa fin dall'inizio. Anzi, ho sempre pensato al peggio perché so che c'è l'alta probabilità che questo peggio accada... ma forse proverò a fare come te, e ad avere un po' di speranza per il futuro.> spiegai, mentre entrambi cadevamo in un mutismo teso, denso di pensieri realistici, per quanto comunque essi fossero tristi.
<Comunque... perché in francese?> chiesi, rompendo quel silenzio.
Quella pesantezza parve scomparire, almeno in parte.
<Beh... di sicuro volevo usare una lingua straniera che pochi o nessuno conoscesse qui, così evitava di trapelare il suo significato. Immaginati essere chiamato <<ecco qua l'agente dell'H.E.R.O. Speranza!>> ... ti prego, no! Ho preferito ripiegare su una lingua europea ed ho scelto il francese, giusto perché ricordavo che i miei genitori ce l'avevano a morte coi francesi perché una volta, un mezzo francese-mezzo giapponese, una volta non aveva restituito loro 100 yen... E poi, Espoir ha un suono particolare, che mi piace, quindi vada per questo nome.> spiegò ed io ridacchiai alla sua ultima sentenza.
<Mi sembra giusto...> feci fra i risolini, che già si stavano spegnendo, in favore di un silenzio; questa volta molto più calmo del precedente.
<Tu invece... perché Gearth? Ha un significato particolare in una lingua come, non so, il filippino?> chiese lui, fermandosi al semaforo rosso.
Mi sentivo una stupida, mentre pensavo come formulare la cosa.
Poi mi dissi che tanto non avrei seguito il discorso mentale ed andai di getto: <In realtà... sarebbe l'unione di due parole inglesi. Girl e Earth. Girl significa "ragazza" e, beh, fino a prova contraria sono una persona di sesso femminile fin da quando son nata... Invece Earth significa "terra" e ciò deriva sia dal fatto che io con la terra devo avere un rapporto molto vicino per usare al massimo il mio potere... sia perché è l'inizio del nome del mio Quirk. Avrei voluto usare Quake, o Earthquake per intero, però poi mi sarebbero usciti nomi come Girlquake o chissà altro e non è che mi ispirassero tanto... ho preferito ripiegare sul più corto ed il più orecchiabile, a parer mio.>
<Mh, capito. Ok, niente lingua strana.>
<Sì, però il mio nome sembra idiota di fronte al tuo, sia per musicalità del nome, sia per significato: il tuo è profondo, il mio... è semplicemente stupido.> borbottai, fissandomi le ginocchia.
<Non è <<semplicemente stupido>>. È semplice, punto e basta. E ci sta. Il tuo nome in codice, comunque, deve essere una cosa che ti viene naturale da sentire se usato per te, deve essere qualcosa che si colleghi a te... e mica dobbiamo dire a tutto il mondo il significato del nostro nome da agente? A chi importa, oltre a noi due sciroccati impiccioni l'un con gli affari dell'altro?>
Ridacchiai leggermente e feci: <Siamo amici ficcanaso.>
<E va ben così!>
Ridacchiai un po' più forte, sollevata.
Fukuda sapeva, alcune volte, quali corde toccare per sapermi prendere bene ed era una delle cose che mi piacevano di lui: era bravo con le parole, davvero, ma come tutti gli umani sbagliava.
E quando sbagliava, poteva anche ferire.
Ma quando azzeccava... diamine se faceva bene.
Arrivammo davanti l'ISQ in ulteriore poco tempo.
Scattai subito fuori dall'auto, dopo averlo abbracciato affettuosamente e preso con me il mio zaino. Lui mi salutò dal finestrino con una mano, prima di concentrarsi di nuovo sulla strada ed andare via, volto a casa sua.
Entrai dalla porta sul retro, respirando sollevata. C'era poca gente, come sempre, e come sempre schivai praticamente tutti, arrivando indenne alla mia stanza.
Lì mi buttai sul letto e chiusi gli occhi, rilassandomi.
Quella che era diventata la mia routine estiva stava per finire. Poi sarei tornata a casa... dai miei genitori, mio fratello, i miei amici... Mi mancavano un po' tutti, a dire il vero. Ok, Fukuda era ormai mio amico e Ōta e Tanaka ero stati davvero molto pazienti e gentili... ma mi mancava un po' vivere come prima, come se nulla di catastrofico e sconvolgente fosse accaduto.
Beh, una volta tornata a casa avrei avuto fino all'inizio della seconda settimana di settembre prima che le scuole ri-iniziassero.
Avrei potuto passare quelle due settimane in compagnia di famiglia ed amici!
Non vedevo l'ora.
Tra l'altro, Ōta mi aveva promesso che il giorno dopo saremmo stati io, lui, Tanaka e Daisuke nella palestra, ma armati di bibite e snack presi ad un discount qualsiasi, a rilassarci davanti un film che avremmo deciso sul momento, proiettato su una parete bianca della palestra.
E poi, la mattina dopo, appunto, sarei tornata a casa!
Non stavo nella pelle!
Avevo la valigia e lo zaino praticamente quasi del tutto pronti: mancavano le ultime cose che mi sarebbero servite ancora in quelle meno di 48 ore et voilà!
Ciao ciao ISQ e il tuo regime ferreo!
Ma ero conscia che non sarei potuta tornare in totale pacchia a casa, perché sapevo già che avrei dovuto fare specifici allenamenti anche a casa, tre volte a settimana, per non battere la fiacca.
E, ovviamente, non mi sarei dovuta abbuffare come un maiale.
<<Anche se la massa e la forma sono quelle>>, come avevo provato a dire ad Ōta quando mi aveva comunicato la cosa.
Non credo di averlo mai visto guardarmi così male, come Tanaka che praticamente sibilò: <Non dire cose del genere! Non è assolutamente vero! Non ti guardi proprio mai allo specchio, eh?!>
Non avevo capito tutta quella rabbia improvvisa, ma fui accondiscendente, anche se ero dentro di me "Ehi, non c'è bisogno di mentirmi, sapete?"
Poggiai una mano sulla pancia, espirando piano, godendomi il silenzio.
A volte il silenzio mi intrappolava, mi isolava e mi asfissiava, ma ci sono altre volte che invece mi cullava, mi liberava e mi faceva respirare. Quella volta, si rientrava nel secondo caso.
E probabilmente mi sarei addormentata e avrei saltato l'ora di pranzo, se il telefono non avesse fatto il suo rumoraccio da forno a microonde, segnalandomi che era arrivata una notifica da Wattpad o Instagram.
Mi misi a sedere, sbuffando, notando l'orologio.
<Mi cambio con calma e poi vado a mangiare, allora...> borbottai, alzandomi dal comodo letto e stiracchiandomi.
Passò il giovedì fra scherzi, bevande, snack e cibo spazzatura, lì nella solita palestra dell'ISQ, dove ci guardammo diversi film comici, dei classici, che io non avevo avuto ancora la fortuna di vedere. Non so tutt'ora quantificare quanto risi e quanto fui rilassata quel giorno, come se fossi una persona normale con una vita normale.
Però, passiamo a venerdì mattina, mentre aspettavo i miei genitori per venirmi a prendere.
Mio padre si era fatto dare il turno pomeridiano a lavoro e mia madre aveva detto che il negozio poteva stare chiuso anche tutta la mattinata, se questo le permetteva di vedermi al più presto.
Quando vidi la conosciutissima auto blu accostarsi vicino alla porta secondaria e tutta la mia famiglia scendere da essa, avevo gli occhi lucidi dalla gioia.
Ok, ero sempre stata una persona sentimentale, ma mai mi era capitato di piangere per la distanza di una persona, almeno nel senso fisico.
Per la distanza a livello emotivo avevo già versato tante lacrime e altre ne avrei versato.
E tutt'ora non saprei quantificare fu bello, sollevante ed euforico (e tante altre emozioni confuse insieme) abbracciarli, sentire il loro calore, il loro respiro, il loro profumo.
Erano casa mia e finalmente ero con loro.
<Mi siete mancati tanto. Ma tanto, tanto, tanto...> sussurrai, la voce leggermente tremante, le lenti appannate da lacrime e respiri caldi ed affannati.
<Anche a noi, May, anche a noi.> fece mia madre, stringendomi fortissimo, riempiendomi di baci sulle guance come mio padre, mentre mio fratello solamente mi abbracciava forte (fu la cosa che più mi stupii più di tutte, quella).
Non mi sottrassi a tutto quell'affetto e li lasciai continuare per quanto vollero, mentre dentro il mio cuore qualcosa tornava a posto.
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Arrivata a casa, iniziai a disfare la valigia, sorprendendo i miei familiari, prima fra tutti me stessa. Di solito, se andavamo in vacanza e poi bisognava disfare le valigie, ero sempre molto <<ah, ok, lo farò quando avrò bisogno di vestiti... forse.>>.
Beh, devo dire che non ci misi neanche tanto, grazie alla quantità di roba che finì dritta dritta nella cesta dei panni sporchi, dopo un mese e mezzo di sfruttamento, con un lavaggio settimanale a delle macchine a gettoni discretamente costose.
Buttata sul letto, presi il cellulare.
Avevo messo una story su Whatsapp dove si vedeva che stavo viaggiando in macchina con sotto scritto "finalmente si ritorna a casa... addio campo estivo!" e avevo mandato un messaggio in privato sia a Shinichi che Asami, che recava "I'm coming back, mondo! E sono pronta per urlarti nelle orecchie ancora una volta dopo oltre un mese di assenza (e stritolarti amorevolmente, obv)" o qualcosa del genere.
Entrambi mi avevano risposto. Cliccai su Asami solo perché era quella più sopra, per notifiche.
Il leggero sorriso di aver ricevuto risposta si afflosciò, notando che era un semplice "ok".
"OK? SUL SERIO?! Prima me la mena un mese e mezzo perché non posso essere con lei, poi ieri, per il suo compleanno, le mando gli auguri, le faccio un papiro enorme, e lo visualizza e basta... Ma cosa le prende?!" pensai, abbastanza abbattuta.
Uscii dalla chat con lei per andare su quella con Shinichi, sperando in qualcosa di meglio, e infatti qualcosa di meglio ottenni. Il suo messaggio recitava: "Allora che te ne pare di venire a casa mia, questo pomeriggio? Avevo in mente di fare un po' di roba... e anche di ospitarti la notte, fare un bel pigiama party, anche se solo noi due! Il mio modo di celebrare in ritardo il tuo compleanno :)".
Un enorme sorriso mi si dipinse sul volto, leggendo quella proposta. Scattai a sedere, andando verso il soggiorno, in cerca di mia madre o mio padre per chiedere. Trovai solo mio padre, coricato sul divano, a guardare qualcosa alla TV.
Mi avvicinai a lui, per farmi spazio sul divano, e accoccolarmi a lui.
<Così tanta voglia di affetto, May? Non ci speravo...> commentò mio padre, ed io feci uno sbuffo, anche se non aveva tutti i torti a dubitarne.
<Ehm... oltre che sì, voglio delle coccole, è che... Shinichi mi ha chiesto se potevo andare a casa sua, questo pomeriggio, per poi stare lì anche la notte...> chiesi, speranzosa di un consenso.
<Né io né tua madre ti possiamo portare...> sospirò mio padre, ed il mio volto si ombreggiò, mentre poggiavo la testa sul suo petto, iniziando a borbottare cose come: <<Vabbè, fa nulla>>.
<Però...> fece mio padre ed io alzai di scatto la testa, speranzosa.
<Se ti fai dire dove abita di preciso, vediamo come ci possiamo arrangiare coi pullman extraurbani ed urbani, ok May? Adesso chiamo anche tua madre.> e provò a mettersi seduto per prendere il cellulare sul tavolino, dato che c'ero io di mezzo.
Per rendergli più facile la cosa, "rotolai" giù dal divano, sedendomi sul pavimento, mentre mio padre chiamava mia madre.
Lo osservai mentre un sorriso speranzoso si faceva largo sul mio volto: se tutto andava in porto, non vedevo l'ora di andare a casa di Shinichi. Volevo tanto rivederlo, ridere e chiacchierare con lui, facendo finta di non avere un fardello enorme sulle spalle, almeno per un po'.
N/A: e per la gioia di my dear, finalmente ritorna Shinichi, alla fine del secondo arco!
E adesso un'avvertenza piccina picciò per il capitolo che uscirà la prossima settimana: preparate cuscini in cui sclerare, bombole d'ossigeno e calmanti perché sarà un fluff unico, gente!
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