Capitolo 41
Il giorno dopo mi dovetti svegliare abbastanza presto, dopo una notte passata in parte in bianco, in preda ad ansie. Arrivai al bar per fare colazione, ancora più che semplicemente mezza addormentata.
Come sempre c'era anche BB, che mi stava raccontando un po' i cazzi suoi, ma con io che un po' ascoltavo ed un po' mi perdevo nei miei pensieri.
<May, tutto ok?> mi chiese BB ad un certo punto, mentre sgranocchiavo senza granché voglia la mia barretta dietetica al cioccolato e fissavo il portatovaglioli sul mio tavolo. Tutto questo non calcolando quasi di striscio BB che mi stava parlando di qualcosa che aveva fatto la sera prima.
<Eh?> fui risvegliata dai miei pensieri, con lui che si era messo a scrollarmi una spalla.
Alzai lo sguardo, ritrovandomi i suoi occhioni scuri a fissarmi, un po' curioso ed un po' preoccupato. Ritornai con lo sguardo alla barretta fra le mie mani, borbottando: <Sono solo un po' frastornata, tutto qui. Ieri i miei compagni di stanza hanno voluto fare un piccolo party di nascosto per salutare un tizio di quel piano che se ne andava stamattina e mi hanno trascinato lì. Sono rimasta alzata fino all'una di notte. E il fatto che oggi ci dobbiamo svegliare prima perché oggi ci sarà una piccola gita sfiancante... Beh, morirò giovane.> inventai lì per lì.
"Queste abilità da contaballe da dove mi sono sbucate, scusate?"
Lui mi sorrise comprensivo e, giochicchiando con la mia coda qualche secondo, commentò: <Tranquilla, posso immaginare. Beh, goditi la barretta e la smetto di rompere! Potevi anche dirmelo prima, se davo sui nervi.>
<Nah, mi piace sentirti parlare, hai una voce abbastanza gradevole, fino a che non urli. Inoltre, non mi piace fare la colazione in totale assenza di rumori. E poi... se non mi sveglio adesso non mi sveglio più.> gli sorrisi, occhi chiusi.
Aprii gli occhi e mi ritrovai BB a fissarmi un po' attonito.
<Scusa se ho detto qualcosa di strano, ma quando ho sonno o straparlo di boiate, o dico tutto quello che mi passa in mente senza filtri, o sembro uno zombie di prima categoria. Suppongo di essere la terza opzione, oggi...> spiegai, strofinandomi un po' l'occhio.
<Ah, ehm... okay. Ti porto via la roba. Ricordati di pagare, zombie.> fece a metà fra lo scherzoso e il qualcos'altro che non intesi, allontanandosi. Mi era sembrato che sulle guance il suo verde si fosse fatto un po' più intenso, ma supposi fosse stato a causa di un po' offesa trapelata, perché forse avevo detto delle cose offensive senza volerlo...
Ah, beata ingenuità, vecchia me.
Uscita dal bar l'ondata di afa mi investì. Ah... c'era molto più fresco nel bar, con l'aria condizionata a palla fin dalle 6:30 di mattina. Che poi, a pensarci bene, avevo avuto pure culo a trovare un bar in città che aprisse così presto, neanche fosse un autogrill...
Me ne tornai all'ISQ e mi cambiai già in tenuta da allenamento "solitario", cioè quello che facevo sabato e domenica: reggiseno sportivo, coda alta e pantaloncini corti. Ma, proprio mentre afferravo la maniglia, mi ricordai che dovevo andare al complesso dei controlli, che quindi c'erano anche Fukuda, Tanaka (probabilmente), Ōta e altre genti che non conoscevo.
Ehm... non me la sentivo proprio di andare lì così. Non era neanche molto decente, a dirla tutta.
Quindi mi misi addosso dei pantaloncini da ciclista, un po' più lunghi di quelli di prima, e infilai sopra una canotta, tanto per coprirmi un filino di più. Mi venne in mente che avrei dovuto poi indossare un costume ben più ingombrante di quegli indumenti e quasi mi sentii mancare, già immaginando le bestemmie che avrei tirato nel mentre che tentavo di mettermi/togliermi la roba di dosso e combattere con essa.
"Una cosa alla volta, May, una cosa alla volta..." mi dissi in testa, uscendo finalmente pronta dalla stanza, zainetto con dentro il necessario in spalla.
Uscii dall'edificio e poco più di un minuto dopo arrivò Fukuda.
In un silenzio che rendeva ancor più evidente la nostra eloquenza di prima mattina, ancora entrambi eravamo mezzi addormentati, arrivammo al complesso. Era il momento, o, almeno, di lì a poco, di testare quanto facessi (facessimo, io e Fukuda) schifo o bene (impossibile la seconda cosa, almeno nel mio caso).
Arrivati davanti il complesso, ci guardammo un attimo negli occhi, incerti sul da farsi, per poi entrare. Nei nostri piani avevamo fatto 3 round a morra cinese per decretare il perdente che sarebbe andato a chiedere informazioni alla reception.
Ovviamente persi io.
Però la fortuna mi baciò e, appena oltre l'ingresso, c'erano i due dottori ad aspettarci. Ōta aveva la sua solita faccia tranquilla, ma in un certo senso intransigente e da capo, come se da anni fosse allenato a tenere sotto al suo ordine stormi di bimbi con problemi di iperattività.
Tanaka aveva il suo solito sorriso in volto, però una cosa stonava: era vestita "normale", non come Ōta che aveva addosso il suo camice bianco, in compagnia di pantaloni neri e scarpe chiuse altrettanto scure.
Tanaka infatti aveva su dei pantaloni rosso fuoco, abbinati a una maglietta "aranciongialla" (come definisco io una certa tonalità di arancione abbastanza chiara), con una stampa dai fiori bianchi e giallo limone. Ai piedi aveva dei sandali con zeppa, coi lacci neri e la suola fatta stile corde che a me proprio non piaceva.
<Come mai lei non ha su il camice, Tanaka-san?> chiesi, cortese e curiosa.
Mi sorrise ancora di più, sempre amorevole, dicendomi: <Amaya-chan, io non sono stata richiesta come supervisore, perciò sono venuta qui solo per farvi un augurio. A quanto pare non essere né il vostro medico fisso dei controlli, né il capo della polizia, né uno dei ministri del nostro Governo non mi permette di entrare, nonostante vi conosca da un pochettino...>
Spalancai gli occhi quando assimilai le sue parole e, mentre internamente urlavo, domandai: <Ci saranno anche quei due là?>
Non sono "quei due là", Amaya-chan...> mi rimproverò Ōta.
<Ha comunque tutti i diritti di chiamarli così. E lei lo sa benissimo.> commentò Fukuda, guardando negli occhi il mio (anzi, il nostro) medico esaminatore. Gli avevo raccontato di come ero stata incastrata e, se già odiava il suo capo e quei fanfaroni del Governo, alle mie parole aveva iniziato ad odiarli di più.
Ōta sospirò, abbassando leggermente lo sguardo, come ad ammettere ed espiare una colpa che però non aveva.
<Ehm... andiamo a fare il controllo per vedere cosa sappiamo fare?> chiesi, volendo rompere il teso silenzio che si era formato. I due uomini annuirono e Ōta fece strada, mentre noi tre ci lasciammo alle spalle la signorina Tanaka.
<Prima vi dovrete cambiare.> avvertì Ōta, mentre giravamo a destra.
<Eh? Ma non ci hai detto di mettere su nulla di particolare!> protestai.
<Combatterete con le vostre divise da agenti dell'H.E.R.O. Fukuda sa già come sarà la sua, a parte la "maschera" che proverà quest'oggi. Te invece, Amaya... sono riusciti già a finire il tuo costume. Poi, poco prima di iniziare il test, vi direte i nomi da agenti. Così vi abituerete e non vi chiamerete per nome durante il lavoro.> spiegò il medico.
<Lei è così sicuro che supereremo il test, Ōta-san?> chiesi, un po' stupita. Il mio medico sì credeva in me e nelle mie potenzialità, ma non era un sognatore.
Ed io non mi sentivo affatto pronta. Anzi, non volevo esserlo, in un certo senso. Avrebbe significato andare in prima linea al posto degli agenti fatti venire in trasferta da altre prefetture. Però sapevo anche che mi avrebbero comunque spedita come carne da macello in prima linea quindi... boh.
Non sapevo che pregare.
<Di Fukuda ne ho più che la certezza, è comunque già stato allenato bene prima dell'ISQ e le sue settimane ad allenarsi erano più per prevenzione e affinamento che altro...>
"Ecco, appunto, mi pareva di sentire odore di sfiducia nei miei confronti..." mi dissi, aspettandomi come su di me Ōta non avrebbe detto nulla di buono.
<Nonostante tu non abbia fatto nessuna accademia militare, hai anni di controlli e mezzi allenamenti alle spalle e che ti avevano già un po' impostato, Amaya. Inoltre, sei molto migliorata in queste sei settimane, si è visto sensibilmente e ripongo molta fiducia nel tuo successo. Si può sempre migliorare, vero, ma fin dove sei adesso "non è un punto così malvagio", per dirlo a modo tuo.> fece lui.
Ok, aveva speranza in me!
Stavo iniziando a scommettere mentalmente quanto ci avrei messo per rompergli quella sua fiducia mal riposta in me perché, di partenza, mai darmi fiducia.
Non ero mai stata una vittoria sicura, ma neanche una vittoria probabile o abbastanza possibile.
Almeno a parer mio, ed usando una strana metafora, mi sentivo perennemente come il ronzino zoppo di turno in mezzo a cavalli in forma e di sangue puro, tutti "pronti" a fare una gara all'ippodromo. Puntare sul ronzino zoppo sarebbe come buttare i soldi nel cesso.
Ed io ero il ronzino. Scommettere sulla mia vittoria od avere fiducia in me era una cosa che non portava risultati buoni.
Tutto questo, ovviamente, sempre a detta della mia mente con un'autostima esistente tanto quanto l'isola che non c'è o Hogwarts.
Mi distolsi da quei pensieri quando i due adulti davanti a me si fermarono, davanti una porta di un metallo biancastro, come tutte le altre presenti nell'ospedale. Ōta aprì la porta e mi ritrovai davanti ad una sala di controllo più grande delle altre e senza stanza di attesa.
Subito c'era l'ingresso per le diverse cabine di cambio, la stanzina di controllo dei medici e la stanza dell'esame che intravedevo dal piccolo vetro nella porta fosse piena di... oh no.
Robot.
"Voglio morire!!!" strillai mentalmente, cercando di mantenere un volto rilassato.
<Andate nelle diverse cabine di cambio e provatevi i vostri vestiti. Poi uscite. Ah, Amaya...> mi fermò però Ōta, facendo gesto a Fukuda di andare avanti e lui lo fece.
Mi fece segno di stare ferma un attimo, andò nella sala di controllo, poi ritornò indietro con in mano un tubo di metallo senza cavità lungo una trentina di centimetri ma dal diametro non troppo eccessivo. Lo guardai perplesso.
<I "piani alti" hanno deciso che dovevi avere un'arma aggiuntiva e hanno dato a me l'ordine di crearla su misura per te. Ho pensato a questo.> mi spiegò, un po' orgoglioso.
Continuai a fissare il tubo nelle sue mani, dubbiosa.
<Scoprirai come funzionerà, sicuramente. Ma lascio a te il tutto.> e me la consegnò, per poi dirmi: <Va' a cambiarti.>
Io andai verso la cabina di cambio con in mano quello strano tubo, continuando a fissarlo perplesso.
"E come cazzo dovrei capirlo?! Grazie Ōta-san, grazie! Così lancerò 'sto coso ai robottini dal panico e farò una figura di merda epocale!" mi dissi mentre entravo nella cabina di cambio, fissando subito un pacco color panna poggiato sopra la panca centrale nella stanza.
"Ah. Già. Il costume. Vediamo cosa hanno combinato."
N/A: ok, capitolo abbastanza barboso.
Però, ehi, siamo agli ultimi punti salienti del secondo arco narrativo!
Nel prossimo scopriremo i nomi da H.E.R.O. di Amaya e Fukuda.
Perciò... alla prossima!
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