Capitolo 38
So che sono cose private, ma io voglio provare a raccontarle lo stesso.
Dovrei narrare la mia storia, come mi hanno detto, ma ciò non vuol dire che sono io l'unica con una vita ed una storia "degna" di essere letta e conosciuta, anche se solo in parte.
Se poi queste pagine verranno scartate in una futura revisione, quello non mi toccherà.
Io non sarò tra i revisionanti, poco ma sicuro, e mi dispiace per chiunque lo farà (avrà tanto da leggersi e correggere con molta pazienza).
Inoltre voglio dare, per quel che posso, onore a Daisuke perché, dannazione!, se lo merita e anche tanto. Ha il diritto di avere la propria storia stilata bene, anche perché non potete immaginare quante volte si era fermato nel suo discorso, quantità che non voglio definire né con un numero, né raccontandovi per filo e per segno l'intera scena.
Ma posso dirvi qualcosa a riguardo, perché mi sento di farlo.
Tutti quei singhiozzi e interruzioni erano accadute perché forse, perso nei ricordi, stava tentando di scacciare quel magone che si prova sempre al rievocare brutti ricordi; mentre cercava dentro di sé la forza di continuare a raccontare e mostrarsi debole con le proprie parole.
Ci vuole coraggio per mostrarsi deboli, e ciò vale davanti a chiunque. Sconosciuti, nemici, amici od amanti che essi siano. È comunque mostrarsi come la incrinata statuina di fragile cristallo quale si è davanti a qualcuno che ti può giudicare; nel bene e nel male del gesto.
Quindi, mi sembra anche giusto che voi non sappiate alla perfezione il dolore che provava nel raccontarmelo, dolore intriso nelle sue parole gravi, ma che sappiate i suoi tristi eventi.
Tanto, suppongo si potrà intuire da quel che seguirà quanto il dolore era stato profondo nella sua voce.
Iniziamo dal principio.
Nacque in una famiglia normale, media borghesia, ed era il figlio minore di tre; due ragazze e lui l'unico ragazzo. Era diventato subito l'orgoglio del padre che, molto all'antica, bigotto e maschilista, lo pensava già a colui che avrebbe preso le redini del piccolo negozio di proprietà della famiglia da generazioni. Nella sua testa, le due figlie, invece, si sarebbero dovute trovare un ricco partito, il più ricco che fossero riuscite ad accalappiarsi.
Però, quando il piccolo pargolo aveva aperto i suoi occhi, già di un quasi totale viola brillante (aveva giusto qualche punta di blu, come testimoniavano certe foto non viste da anni), il padre aveva storto il naso, perché li riteneva "strani ed anormali"; infastidito sempre di più dalla cosa man mano che coi mesi quel viola-blu diventava sempre più un ametista puro.
Si capisce già dall'antifona che la famiglia non era delle migliori, molto per causa del padre, ma, ad essere onesti, neanche la madre era tutta questa dolcezza
<<A dirla tutta, tra i due, non so chi fosse peggio. La legge degli opposti che si attraggono era una cazzata, almeno nel loro caso: entrambi pessimi, così pessimi che forse non augurerei neppure al mio peggior nemico di aver avuto simili genitori nella sua vita>>; tanto per citare parole sue.
Tutto iniziò ad andare a rotoli quando Daisuke scoprì il proprio Quirk a quattro anni, in un modo abbastanza comune; cioè in un momento di necessità per il bambino. Tutta la famiglia era in giardino e, mentre lui giocava con le sorelle, la loro palla era finita su un ramo un po' troppo in alto per i tre sbraccianti bambini. Ma, prima ancora che uno dei due adulti si potesse alzare, quattro tentacoli rossi e neri, dall'aspetto oleoso, erano spuntati dalla schiena del piccolo Daisuke, lacerandogli la maglietta, afferrando delicatamente la palla e consegnandola nelle mani del bambino stesso.
Daisuke aveva spalancato gli occhi in orrore, conscio che a casa loro una persona con Quirk era solo un mostro, un essere inferiore; una feccia con le gambe ed un cervello microscopico.
Per i suoi genitori, le persone con Quirk dovevano essere sterminate.
Da lì, infatti, ebbe inizio un periodo della sua vita lungo più di un decennio.
Passò ben 13 anni di abusi, urla, insulti, calci, pugni e chi ne ha più ne metta da parte del padre. Ma anche dalla madre. Non sapeva quante volte aveva dovuto usare dei trucchi "rubati" alle donne di casa per poter coprire lividi sul volto e tenere maniche lunghe e jeans lunghi addosso per nascondere altre botte, vergognandosi spesso di cambiarsi in palestra con gli altri, nascondendosi sempre in un angolo.
E non è che a scuola fosse tanto meglio.
Insulti, infondati o meno, lo perseguitavano dalla metà della prima media e mai lui aveva osato vendicarsi o rispondere mentre lo spintonavano. Avrebbe voluto tante di quelle volte usare il proprio potere per sbatterli a terra e ridurli in un modo tale che neanche le loro madri avrebbero potuto riconoscerli... ma allora sarebbe passato nel torto marcio.
E di trovare un nuovo fondo al peggio non se la sentiva.
C'erano solo due persone a confortarlo, e queste due erano le due sorelle maggiori, la più grande aveva 3 anni in più di lui, l'altra solo uno.
E, fin dall'età di 7 e 5 anni, gli furono sempre accanto.
<<Mi sono chiesto spesso se davvero fossero figlie dei nostri genitori, perché ne erano al totale opposto.>> per citare ancora parole sue.
Fin da piccole le due lo aiutarono e più volte avrebbero voluto chiamare qualche ente per denunciare i molteplici accaduti, sia dentro che fuori casa, ed aiutare il povero fratello minore, ma lui si era sempre opposto perché era convinto che tanto uno come lui non sarebbe mai stato difeso.
Ed infondo, era la verità che le due ragazze negavano a loro stesse ed al fratellino.
Infatti, quasi metodicamente, tentavano di convincerlo di almeno chiamare, fallendo miseramente ogni volta; incontrando un invalicabile muro di sfiducia nel mondo.
E la situazione orribile di Daisuke si aggravò ancor di più quando, a diciassette anni, una volta era rientrato con un ragazzo, anche lui possedente di Quirk; dicendo che era un amico conosciuto durante gli esami.
Beh, possiamo dire che era ben oltre che un semplice amico, ecco.
Infatti la madre, sentiti strani rumori, andò verso la camera del figlio ed entrò senza tante cerimonie, beccandolo mentre era nel pieno dell'atto con quel ragazzo.
La madre aveva iniziato ad urlare ed entrambi i ragazzi si erano rifugiati sotto le coperte. Il "fidanzato" venne mandato via da casa, e di lì a poco letteralmente a calci in culo. La donna chiamò il marito, dicendogli velocemente l'accaduto, ed esso si precipitò a casa come una furia che sarebbe anche solo difficile da immaginare.
Quella sera fu la peggiore che Daisuke ricordasse, e questo la diceva lunga.
Entrambi i genitori lo percossero con tutta la violenza e rabbia che avessero in corpo, arrivando ad essere più belve, mostri che loro ripudiavano, piuttosto che umani.
E sputarono parole velenose e sprezzanti, le milionesime stilettate contro quell'animo troppo ferito, ma ciò non voleva dire che fecero meno male delle volte precedenti.
Smisero solo quando furono stanchi ed affamati, lasciandolo come un ammasso di carne umana dolorante nell'animo e nel corpo, rinchiuso dentro la propria camera a chiave; impedendo alle due sorelle di soccorrerlo.
Quella stessa notte, Daisuke scappò di casa con quel che aveva in camera di utile ed iniziò il suo periodo di vagabondaggio, durato circa 6 mesi; in cui sfuggì ai controlli trimestrali (dato che era ed è in classe S+), lavorò in nero, visse in case abbandonate con senzatetto, drogati e disperati, trasformandosi.
Se già i suoi genitori e i compagni di scuola l'avevano forzato ad essere fin da piccolo più forte ed insofferente di tanti altri; quei sei mesi lo resero apatico, freddo, senza pietà o compassione per altri. Per lui era come essere in una perenne guerra silenziosa, in cui se ti fermavi ad aiutare qualcun altro o finivi ucciso nel mentre da qualche esterno o dalla persona stessa che stavi aiutando.
Poi conobbe l'esistenza di una istituzione, un'accademia, dove veniva accettato chiunque e dove, in parte, quelli come lui erano ricercati: l'accademia militare. Coi soldi risparmiati, si prese qualcosa di decente dopo una notte passata in un motel, tanto per ripulirsi, e prese un treno fino, quello che lo portasse più vicino possibile alla base, dove venne accettato subito; andando oltre i suoi trascorsi.
Non era così fuori dal comune che disgrazie del genere capitassero ai possedenti di Quirk, purtroppo.
Fu lì che conobbe Hideki, anche lui iscrittosi all'accademia militare, ma sotto costrizione dei genitori; che lo volevano o militare o medico.
Ma, dato che non eccelleva così tanto negli studi, avevano ripiegato sul corpo statale di sicurezza.
Fukuda mi spiegò bene di quando fu stupito da Hideki, un diciottenne così solare e dolce nonostante fosse in un ambiente così severo. Era sempre il primo a scherzare in mensa, trascinando dietro molti dei compagni di camerata, dava più che volentieri sostegno morale quando gli allenamenti erano severi e fu il primo ad accettare Daisuke per quel che era, cioè un possedente di Quirk, ma che era una persona come tutti loro.
Quel ragazzo riuscì, nei loro anni di convivenza in quell'accademia, a far accettare Daisuke a tutti i loro compagni di camerata (che, purtroppo, persero usciti da lì).
Comunque fu pressoché inevitabile per lui che qualcosa gli nascesse e crescesse nel petto, trasformandosi da un'amicizia mischiata a stima ad un amore sincero.
Ma durante l'accademia non disse nulla né fece avance od allusioni ad alcunché, troppo spaventato dal rifiuto e allo stesso impegnato a dare il meglio di sé.
Aveva trovato uno scopo, allenarsi ed uscire di lì al meglio allenato e preparato.
Quando, finita l'accademia, era riuscito ad essere accettato come membro speciale della polizia di Iwate, si era sentito felice con sé stesso. Inoltre il suo cuore aveva fatto diverse capriole nel petto quando Hideki, tutto sorridente, davanti una birra ad un bar, gli aveva comunicato pimpante che era stato accettato anche lui nella polizia di Iwate, ma, ovviamente, come membro normale.
Dalla loro assunzione, passarono diversi mesi in cui lavorarono spesso negli stessi turni, diventando sempre più affiatiati, correndo anche diversi pericoli sul lavoro; come quella volta che parteciparono ad un blitz volto a stanare una sede di una mafia giapponese con collegamenti in Corea e Cina.
Quella volta ci fu una sorta di piccola guerra di trincea, tra pistole dei poliziotti e mitra di alcuni sottoposti dell'organizzazione. I due ne uscirono quasi del tutto indenni; Daisuke solo ferito ad una spalla perché un proiettile era passato attraverso il suo scudo, costituito dai tentacoli del suo Quirk tenuti compatti. Non era nulla di grave, ma ancora aveva una cicatrice che era un po' tirata su un nervo scoperto e quindi se premuta troppo gli dava fastidio.
Però, la sera stessa del blitz portato a termine con successo, Daisuke, all'ospedale, uscì dalla sala operatoria a notte fonde addormentato e con il proiettile rimosso, le sue condizioni buone e stabili. Ma non riuscì a sfruttare al meglio la dose di sonnifero che lo faceva dormire tranquillo, anche se stava finendo di avere effetto, perché si risvegliò dopo poco a causa delle lamentele delle infermiere fuori dalla sua porta, che volevano mandare via Hideki.
Era lì per vedere l'amico e collega e mai le infermiere lo avrebbero desistito dal vedere l'altro, anche solo dormiente, perché era senza ferite e per il divieto delle visite di notte.
Ma Daisuke sentì la discussione e, alzando la voce, si fece udire oltre la porta.
Allora Hideki entrò e, certo che le infermiere petulanti se ne fossero andate, col coraggio in una mano ed il cuore nell'altra, si dichiarò al possessore di Quirk, dicendo che dopo l'orribile sensazione della possibilità di averlo perso quella sera, non voleva tenersi più nulla dentro.
Non serve dire che Daisuke ricambiò il sentimento, prendendogli le mani fra le sue, sorridendogli sinceramente, sussurrandogli: <<Ti amo anch'io>>.
Presto andarono a vivere insieme, mentendo al mondo.
Dicevano che erano semplici inquilini e, finché gli spazi non sarebbero diventati troppo piccoli, ad entrambi andava bene condividere l'appartamento con l'altro.
Infatti, come già si era capito, tenevano la cosa all'oscuro di pressoché tutti.
Le uniche eccezioni eravamo io ed i genitori di Hideki, due persone fantastiche quanto il loro figlio (per fare una semicit di Daisuke), che accettarono sia la relazione gay del figlio, sia che il partner fosse un possedente di Quirk.
I genitori di Fukuda, invece, non ne sapevano nulla ed a lui andava bene così.
Da quando era scappato, mai si era degnato di cercarli più e mai i due avevano provato a rintracciarlo; altra testimonianza del nulla affettivo che c'era fra loro.
Aveva perso i contatti, anche se non per scelta, anche le sorelle; ma, quando scoprì che sarebbe diventato agente dell'H.E.R.O., pensò che era anche meglio così: meno rischi che, se fosse stato smascherato, qualcuno a cui voleva bene fosse poi coinvolto.
E poi conobbe me, prima all'attacco alla mia scuola, e poi lì, all'ISQ.
Concluse il racconto della sua travagliata vita, dicendo con aria un po' mesta: <<E da lì in poi, sai anche tu cosa è accaduto, a grandi linee.>>
Io, finito di sentirlo raccontare la sua vita, ero praticamente con la mascella a terra, con un miscuglio di emozioni orribili dentro il petto.
Mi sentii una merda perché io mi lamentavo di parole dure, amicizie false e compagnia briscola, mentre lui aveva subito ben di peggio, senza mai arrivare ad un nessun punto reale di rottura, andando contro a qualsiasi conclusione logica. Nonostante la vita di merda avuta, era una persona fantastica.
Se già per Daisuke provavo del rispetto, da quel sabato quel sentimento divenne una profonda stima e un grande attaccamento fraterno.
N/A: ed ecco qua la tragica backstory di Fukuda con dei genitori che, al confronto, Endeavor vincerebbe il titolo di "#1 padre dell'anno".
Vabbè, dopo questo capitolo in pieno MIO stile, cioè non proprio allegro e pieno di drammi, posso dire che i prossimi capitoli saranno abbastanza leggeri; una piccola pausa in mezzo al casino che May si è ritrovata a subire all'ISQ.
Detto questo, alla prossima settimana gente!
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