Capitolo 33

N/A: avviso già adesso, così mi tolgo il pensiero dalle scatole. 
Io questa settimana parto e vado via per due settimane, senza possibilità di connettermi ad un wi-fi, dovendo sopravvivere coi miei due giga, adesso ancor meno, mensili. Quindi, dato che so già che non posso mantenere la promessa di un aggiornamento settimanale (l'ho imparato a mie spese gli anni scorsi), fino a che non ritornerò la storia non sarà aggiornata.

Però, quando ritornerò, pubblicherò qualcosa sia lunedì, che martedì e forse forse forse pure mercoledì. 
Vedrò bene ancora come farmi perdonare. 
Grazie dell'attenzione.

La prima settimana scivolò via dalle mie mani senza che io potessi farci qualcosa.
E così anche la seconda.
E la terza era appena iniziata...

Mi era sembrato di non avere uno scopo, di star diventando qualcun'altra, di non essere più l'Amaya Miura che era entrata là dentro (e che conoscevo).

La nuova me mi faceva paura. Faceva tutto impegnandosi, certo (era nel mio carattere dare il meglio di me), ma pareva essere dedita ad un mezzo voto di silenzio.
Parlavo il minimo indispensabile sia con Tanaka, sia con Ōta.

E, ovviamente, quando uscivo e andavo a mangiare stavo sulle mie; mangiando in un miscuglio di calma ed ansia indefinibile, con la musica nelle orecchie e uno sguardo impassibile.

Avevo passato le intere due settimane (anche sabato e domenica come da regole: disubbidire non mi avrebbe portato da nessuna parte) ad allenarmi senza mettere in mezzo la mia unicità. Solo allenamento fisico.

Alla mia domanda su quel modo di allenarsi, Tanaka mi aveva risposto: <Te l'avevo già detto, con ogni probabilità, anche la prima volta che ci siamo viste: solo un corpo forte e allenato può sperare di poter modellare al meglio la sua unicità. Un corpo troppo debole non può sperare di controllare e sfruttare al massimo i propri poteri.>

Inoltre mi avevano detto che non avrei fatto la visita di luglio per il Quirk, logicamente: ero comunque sotto continua osservazione.

Fatto sta che in quei quattordici giorni mi ero convertita in una sorta di automa con un mezzo mutismo selettivo e gli unici momenti in cui ero più "la vera me" erano quando mi estraniavo da quel luogo e stavo su Wattpad (e pubblicavo o scrivevo o commentavo) o su Whatsapp, a "parlare" con i miei genitori o con Asami o con Shinichi. 

Anche solo quando mi ritrovavo a fare i compiti delle vacanze sulla scrivania con Youtube accanto come rumore, ero già la più vecchia me. D'altronde, erano delle cose che facevo da anni, cose quasi abitudinarie... cose che mi facevano pensare di essere ancora a casa.

Ma la situazione era chiara: ero immersa in un grigiore che odiavo, che avevo cercato di tenere lontano negli ultimi anni, ma che era ritornato e mi aveva ghermito con il suo finto sorriso dolce. E ora stava mostrando i suoi denti aguzzi, graffiandomi l'animo fragile, trasformandomi in ciò che voleva lei, assorbendomi nella sua massa grigia e deprimente. E questo procedimento stava avvenendo con una rapidità che, nel mio lato conscio di questo cambiamento, mi spaventava.

Sapete come ci si sente ad addormentarsi e sperare di dormire il più a lungo possibile, perché non si vuole continuare in quel modo che non si può cambiare? Spero di no. E, lo sapevo, era solo per un mese e mezzo circa, ma mi stava distruggendo più in fretta di quanto quasi 13 anni di discriminazione ed odio immotivato avevano fatto.

E avevo paura di cambiare, avevo davvero una tremenda paura.

Perchè, in fondo, cambiare in quel caso avrebbe significato infrangere una delle promesse che mi ero fatta in terza media, quando volli ricominciare: "Cambia da te per te". E quello sarebbe stato cambiare a causa di altri per, a pensarci bene, un maggiore tornaconto di altri.

Le cose migliorarono nella terza settimana, nello specifico da martedì mattina. Ero andata, come al solito, a fare colazione in un bar che era giusto a 100m dall'ISQ, e dove facevo solo quella. Avevo optato per differenti posti dove mangiare durante la giornata. Per fortuna era estate e camminare fa sempre bene, quindi anche quando mi facevo quasi venti minuti di camminata per andare in un bar a pranzare e quando ci mettevo dieci minuti nella direzione opposta alla sera per prendermi qualcosa di caldo ad un locale take away (il cui pasto avrei di sicuro consumato nel ritorno e davanti la porta secondaria dell'ISQ), mi mettevo l'anima in pace.

Quella mattina, al "locale" più vicino a quell'istituto, dove avevo preso l'abitudine di fare colazione, ero andata già mezza pronta per fare poi gli allenamenti: avevo già la coda di cavallo, coi miei capelli ricci che facevano uno scompigliato e gonfio groviglio riccioluto contro la mia nuca ed inizio collo, una felpa leggera aperta e che faceva vedere sotto la mia canotta azzurrina che lasciava intravedere le spalline del reggiseno sportivo (avevo avuto la cretina idea di provare a fare il primo lunedì mattina tutta quella roba col mio reggiseno normale... e mi ero ampiamente pentita), dei pantaloni che arrivavano alle ginocchia e delle scarpe da ginnastica nere con dei particolari rosa.

Ero seduta ad un tavolino, abbastanza intontita, col capo chino sul cellulare mentre aprivo e chiudevo diverse app per vedere di ciascuna le notifiche avute, aspettando di ordinare. Ad un certo punto sentii dei passi dietro di me (davo le spalle al bancone) e poi una voce (incredibilmente familiare, tra l'altro) chiedermi: <Cosa prende?>

Alzai la testa per dire al cameriere in modo umanamente comprensibile cosa prendevo, che quasi persi un colpo quando incrociai il mio sguardo con un paio di iridi castano scuro come le mie, ma su una pelle dal colore verde.

<B-BB?!> esclamai, svegliandomi del tutto, e mettendomi a sedere più rigida.
Sbatté più volte le palpebre pure lui, come ad accertarsi di non avere le traveggole, per poi dire: <May... cosa ci fai qui, ad Iwate?>

<E tu che ci fai in questa parte di Iwate? Tu abiti da tutt'altra parte, no?> chiesi.
<Prima rispondi te.> fece fermamente, appoggiando la mano con la penna sul fianco, mentre la mano con il taccuino rimaneva molle contro il bacino.

<Beh... sono qui perché qua vicino stanno facendo una specie di corso di potenziamento a cui i miei genitori mi hanno obbligato ad iscrivermi e sono costretta a stare qua fino a fine agosto.> mentii, come avevo fatto con una dipendente di quello stesso bar il giorno prima (altra cazzata che speravo reggesse pure lei).

<Che enorme sfiga, però... perché sei qui a fare colazione?> chiese ancora.
<Perché ci coprono tutto eccetto la colazione. E i miei mi danno, ogni volta che passano a salutarmi la domenica, i soldi necessari per farci colazione e concedermi qualcosa in più per una settimana.>

<Capisco... e come...?> ma non finì la frase perché da dietro di me arrivò una tosse forzata.
Mi girai e vidi una ragazza dietro il bancone fare finta di nulla, mentre asciugava dei bicchieri (forse i reduci dalla sera prima).
BB sbuffò e, borbottando un: <Ok ok, mi metto a fare il cameriere e non l'amicone>, poi mi chiese: <Cosa prendi?>

<Un cappuccino, un cornetto alla crema e una di quelle barrette di cioccolato> ed indicai, voltandomi, le barrette da "dieta" che c'erano vicino alla cassa.

BB scarabocchiò sul taccuino quelle tre cagate in croce, mentre andava verso il bancone e consegnava il foglio alla tizia lì dietro. Erano solo loro due, a quanto pareva. Nel locale, oltre a me, non c'era tanta gente. Solo qualche camionista o guidatore, comunque, che si prendeva qualcosa per iniziare la giornata e due donne in tailleur attorno ad un tavolino e che parlavano continuando a sorridere (forse due amiche che si incrociavano a fare colazione prima di andare a lavoro entrambe...).

Poco dopo arrivò BB con la mia roba e io gli chiesi nel mentre che appoggiava la roba sul tavolo: <Quindi adesso lavori in questo bar?>

<Sì, ho compiuto 18 anni proprio alla fine di giugno e i miei mi hanno detto <<Ora sei maggiorenne e puoi trovarti un lavoretto estivo per avere un po' di soldi da te; non puoi pensare che ti diamo tutto noi>> e cose del genere. Perciò ho cercato un po' in giro e ho trovato solo questo bar disposto a prendermi per il turno della mattina o del pomeriggio, da inizio luglio fino a fine agosto, 6 giorni su 7. Tutta la scorsa settimana e ieri ho fatto pomeriggio, ma oggi mi hanno messo al mattino (a caso). La paga non è molta, ma è comunque qualcosa di tutto mio e che posso usare per quel che voglio senza rimproveri dei miei genitori...> mi spiegò, fermandosi a parlare con me invece che tornare al lavoro.

Gli sorrisi, annuendo, e poi feci: <Meglio se ritorni al bancone e fai il tuo lavoro, invece che chiacchierare con me...>
Lui sospirò esasperato e, mentre si allontanava, fece: <Se venissi qua tutte le mattine finché c'è questo corso, potrei anche supplicare di restare al mattino...>

<Sarebbe bello.> sorrisi, prima di tornare con la testa alla colazione che avevo davanti ai miei occhi, gustandomi quei momenti con rinnovata gioia.

E quella scoperta di BB cameriere fu uno dei due motivi che mi permisero di scacciare quel grigiore che mi stava velocemente mangiando. Grazie a BB, riuscii a svegliarmi praticamente ogni giorno con un leggero sorriso (in prospettiva di quei venti minuti con BB nello stesso luogo, a chiacchierare appena potevamo senza essere fulminati dall'altra persona di turno) e andare verso l'ISQ, per iniziare gli allenamenti mattutini, con la serenità nell'animo.

La seconda causa del mio miglioramento, fu l'arrivo di una persona il giovedì subito dopo la scoperta di BB cameriere. Per quella settimana avevo continuato con l'allenamento solo fisico, con l'introduzione di qualche mossa base di arti marziali miste, elemento essenziale del bagaglio di qualsiasi soldato e poliziotto (e, a quanto pare, avrebbe fatto parte anche del mio bagaglio); più aggiunte di qualsiasi sport di lotta.

Era giovedì mattina ed ero da poco arrivata nella palestra, dove c'era solo Ōta-san ad allenarmi quella mattina. Non mi stava facendo da avversario, mi stava solo spiegando teoricamente come tirare calci e pugni efficaci, che poi io dovevo provare ad eseguire su un manichino di gomma piuma. Non credo che debba dire che, nel provare a dare dei calci con la gamba alzata dando un po' di perno sull'altra, mi sia sbilanciata e caduta diverse volte all'indietro. Ōta-san mi aveva guardato ogni volta senza giudicarmi troppo, offrendomi le prime volte la mano.
Poi, notando il mio orgoglio nascosto che faceva finta di non notare la mano, aveva smesso.

E tutte le mie cadute le aveva commentate, anche nei giorni precedenti, solo con: <È importante che tu sappia cadere bene, Amaya. Comunque a te da il vantaggio di usare il tuo Quirk se sei abbastanza reattiva e ti impedirà di farti troppo male anche quando dovrai cadere o scontrarti con forza contro oggetti o persone per fare danni.>

Io annuivo alle sue parole, mentre però dentro di me pregavo che quei combattimenti, che quel pericolo a cui ero stata costretta andare incontro, che quel "quando"... non arrivasse mai.

Fatto sta che, dopo un po' la porta dietro di me si aprì mentre proprio provavo a dare un ennesimo calcio al manichino ad altezza collo (<<Più doloroso e difficile da parare che verso il fianco>> mi aveva detto Ōta-san). Ciò mi deconcentrò, la curiosità mi pizzicava la nuca, e perciò persi ancora una volta l'equilibrio... a metà, però. Diedi un calcio al manichino ed esso tremò al mio colpo (sentii il supporto di legno sotto il manichino traballare) e riacquisii stabilità continuando il perno sul mio piede a terra, appoggiando poi il piede prima per aria per riavere l'originaria stabilità.

Stavano venendo verso di noi Tanaka con dietro un uomo molto alto, robusto, giovane (venticinque o trent'anni? Non ero proprio brava con le età...), con i capelli scuri, gli occhi di un viola intenso, tanto da parere due piccole ametiste su quel volto squadrato e con un accenno di barba, mentre la sua guancia destra era macchiata del mio stesso simbolo, la Q circondata d'alloro. Un possedente di Quirk...

Era così familiare... ma dove l'avevo già visto?

<Credo che tu lo conosca già Amaya, no? Me l'ha affermato lui stesso appena gli ho fatto vedere una tua foto.> poi rivolse il suo sguardo oltre a me, verso Ōta-san, mentre l'uomo "a me conosciuto" ci guardava con fredda circospezione.

<Lui è l'unico altro agente dell'H.E.R.O. della prefettura di Iwate oltre Amaya, già lavora nelle forze della polizia della città, ma comunque anche lui può migliorare. Il suo nome è Daisuke Fukuda> e a quel nome detto da Tanaka qualcosa scatò nella mia testa.

Ora ricordavo!

<Sei l'agente del 20 aprile, che era venuto per l'attacco alla scuola superiore, giusto?> chiesi, gli occhi fermi ed interrogativi su Fukuda, mentre la voce di dubbio era intaccata dalla felicità.

Mi aveva aiutato, per quanto aveva potuto lui, e perciò gli ero comunque grata.
Davanti quella mia dimostrazione di infantilità (la milionesima, suppongo) Fukuda fece un microscopico sorriso, annuì e commentò: <Vedo che allora ti ricordi di me, Amaya...>



N/A: ed ecco Fukuda!
E da qui in poi, non ce lo scolleremo per quasi tutto il secondo arco narrativo, per poi rimanere comunque iper-presente per gli altri archi narrativi.
Quindi... o ce lo si fa mandare giù o ci si convive malamente come con un altro personaggio 

*coff coff* NANA KILLER *coff coff*

Ah, che brutta questa (finta) tosse!

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