Capitolo 32

Chiusi il mio zaino con un sospiro, mentre annuivo un po' distratta.
Mi ero presa tutti i libri che volevo più l'ebook (su cui avevo caricato almeno venti libri dal computer) e avevo messo dentro pure il portatile: me l'avevano dato tranquillamente, confidando nella mia cura.

Mi sedetti sul letto, accanto a mia madre che ri-controllava per l'ennesima volta la valigia accanto a me.
Qualche veloce rumore di zip e, a valigia chiusa, si sedette accanto a me sul letto.

<Oggi è già il 23 luglio...> notò mia madre, passando una mano sulla schiena.
<Non voglio andarmene per il compleanno di papà. Non voglio legarlo a una cosa brutta. Non voglio che nessuno di noi lo leghi ad una cosa brutta...> replicai con tono lamentoso.

<<Ogni tanto sei proprio una bambina!>> mi rimproverava ogni tanto mia mamma, ma in quel momento non aveva voglia di ricalcare il fatto.

Appoggiò la sua testa sulla mia spalla e disse: <Oggi è il compleanno di papà e tu stai facendo tutto questo per noi.>
<Lo so. Ma non mi rende comunque felice.>
<L'importante è che tutti noi ne siamo consapevoli, in special modo tu.>

Sospirai ancora, mentre mi giravo verso di lei col busto e l'abbracciai.
Un po' di calore familiare, di amore materno, che poi per più di un mese non avrei avuto.
Avevo sempre fatto la sbruffona, dicendo che non avrei mai sentito così tanto la mancanza dei miei genitori come invece sosteneva Akira.
Non avevo preso in considerazione il fattore "costrizione".
In quel caso... cazzo, stava facendo malissimo.

Mi staccai da lei e mi misi lo zaino su una spalla, mentre prendevo con entrambe le mani la valigia. O almeno ci provai, perché mia madre me la prese e, poggiata in verticale per terra, si mise a strusciarla per terra, con io che le aprii la porta per farla uscire da camera mia.

Mio padre la portò giù per le scale e la caricò in auto, ancora nel garage.
Salimmo tutti e quattro in auto, volti all'ISQ.
Uscimmo dal cancello e partimmo.

Guardai l'orologio.
Avevo fatto alzare tutti molto presto: mancava ancora qualche minuto alle sette.
"È anche vero che devo essere lì davanti per le 7:30, che ci si mettono venti minuti o poco più per arrivare ad Iwate e che nella mia famiglia siamo tutti un po' anticipatari, chi più e chi meno."

La lucina sulla parte superiore del mio telefono brillò di bianco, mentre io aggrottavo le sopracciglia (un messaggio di Whatsapp?).
Lo schermo si illuminò in automatico, per mostrarmi il messaggio in privato arrivatomi.

"Ehi, sei già partita?" [alle 6:59]

Era di Asami.

"Sì, proprio due minuti fa." [alle 7:00]

"Uff... peccato che non ci sarai quasi tutta estate!" [alle 7:01]

"Dispiace anche a me, ma i miei hanno voluto mandarmi a questo diamine di campo estivo per qualche strano motivo!" [alle 7:03]

"Al massimo dovevo andarci io! Te sei già una secchiona!" [alle 7:04]

"Ritornerò che sarò ancora più secchiona, allora!" [alle 7:04]

"Morirò giovane per colpa della tua troppa intelligenza quando ritornerai..." [alle 7:05]

"Sempre che non lo faccia prima io..." [alle 7:05]

"Ahah, hai ragione. Messaggiami appena puoi quando sei al campo, ok?" [alle 7:07]

"Ok, ok..." [alle 7:07]

"Buon viaggio e buon divertimento al campo!" [alle 7:08]

"Buona giornata..." [alle 7:09]

Infine un suo messaggio con un emoji che manda un bacino col cuore.
Sorrisi a quello e poi voltai il cellulare.
Mi ritrovai a sospirare. 

Era davvero brutto mentire, anche se era molto semplice via cellulare.
Con i miei genitori avevo pattuito di dire che sarei andata ad un campo estivo di un'altra prefettura di cui i miei genitori avevano sentito parlare e di cui si diceva aiutava molto i ragazzi, facendoli rendere molto di più a scuola; preparadoli a molti argomenti che poi avrebbero affrontato sia nel corso del secondo anno, che del trienno.

Insomma, una balla unica.
Però comoda e che eravamo riusciti a spacciare per vera.
Sarò stata già quasi dentro Iwate, che la lucina del mio cellulare lampeggiò di nuovo di bianco. 

Questa volta il messaggio era di Shinichi.

"Ehi, dimmi che non ho mandato il messaggio troppo tardi per salutarti!" [alle 7:19]

"Giusto al pelo." [alle 7:20]

"Quindi fra poco varcherai la soglia di un Inferno 2.0?" [alle 7:21]

"Purtroppo..." [alle 7:21]

"Dai, pensa che quando ritornerai ci farai sentire ancora più stupidi di quanto non lo siamo già!" [alle 7:22]

"Sei masochista, per caso?" [alle 7:23]"

Solo da quando ti conosco." [alle 7:23]

"Che bei modi di fare che trasmetto." [alle 7:23]

"Meglio questo della droga!" [alle 7:24]

"Ora devo proprio smettere. Ciao Shinichi" [alle 7:24]

"Ciao May..." [alle 7:25]

E subito dopo mandò un altro messaggio che era solo l'emoji del cuore rosso che batte.

Appoggiai il cellulare sul posto libero accanto a me, che vidi dal finestrino che ormai eravamo arrivati.
Mi sentivo come un condannato che sta salendo al patibolo a morire.
E non era per nulla una bella sensazione, assicuro tuttora.

Mio padre girò in una vietta accanto l'ISQ e parcheggiando sul fondo di essa. Uscimmo e io (con già lo zaino in spalle) andai verso il bagagliaio mentre mio padre apriva il baule premendo un tasto nell'abitacolo e quel suono d'apertura mi entrò nelle orecchie.
Estrassi la mia valigia e tirai giù la valigia, senza dare una reale occhiata a chi c'era sull'uscio dell'entrata secondaria di servizio ("per non dare nell'occhio" come recava un messaggio di una settimana prima).

Sospirai, alzando lo sguardo alla porta di servizio.
Sbattei più volte le palpebre, vedendo che c'erano Ōta-san e Tanaka ad attendermi alla porta.  
Il mio medico mi fissava ancora una volta dispiaciuto, la donna con un piccolo sorriso dolce ad increspare le sue labbra (stranamente non mi diede fastidio, come invece avevo pensato che sarebbe accaduto se qualcuno mi avesse sorriso a quel cazzo di ingresso).

Salutai i due medici con un cenno, mentre mi facevano entrare da quella porta secondaria. Dietro di me non sentii parole, forse si dissero qualcosa solo con gli occhi. Ero certa, però, che c'era il peso del dolore e dell'amara consapevolezza a pesare sulle spalle della mia famiglia e sulle mie (e forse pure su quelle dei due medici).

Ōta richiuse dietro di sé la porta. Potei sentire le ruote dell'auto dei miei genitori fare attrito con la ghiaia del vialetto mentre faceva retromarcia.
Si allontanavano... e con loro una parte di me.

Il silenzio venne rotto da Tanaka che mi propose con voce dolce: <La accompagno nelle sue stanze signorina Miura?>
Annui, aggiungendo: <Solo Amaya, la prego. Signorina Miura proprio non lo posso sentire.> e feci un piccolo sorriso tirato, che lei ricambiò (il suo però era solare). Iniziò ad andare e io la seguii, mentre Ōta prendeva un'altra strada.

"Chissà dove va..." mi ero domandata, mentre ritornavo con lo sguardo avanti a me e seguivo Tanaka, che si stava dirigendo verso gli ascensori.
Mentre andavamo lì, notai che non c'era proprio nessuno intorno a noi (neppure la receptionist che era simpatica quanto l'ebola).

<L'ISQ aprirebbe alle 8:00, ma per cercare di farti passare inosservata ti abbiamo convocato a quest'ora. Comunque ti avverto già degli orari. A meno che non ti diamo io od Ōta-san disposizioni diverse, la sala di allenamento è quella annessa al mio studio, quello dell'altra volta. Piano 5, sala 3; ok?> mi spiega ed io annuisco.

<Grazie per avermelo ricordato. Ho una memoria davvero pessima, spesso e volentieri.> commento e lei ridacchia: <Tranquilla, Amaya: non sei l'unica che pare soffrire di Alzheimer precoce.>
Le sorrisi, grata di farmi sentire un po' più a mio agio.
Salimmo nell'ascensore e schiacciò il pulsante con su scritto 3.

<Comunque gli allenamenti sono dalle 9:00 alle 13:00 alla mattina e dalle 15:00 alle 18:30 al pomeriggio; così da lunedì a venerdì. Il sabato e la domenica sarebbe chiuso il complesso, ma è tenuto aperto solamente per farti stare qua. Non ci saremo nè io nè Ōta; dovrai fare per conto tuo degli esercizi alla mattina, mentre al pomeriggio è il tuo tempo libero. Ti consiglio di non saltarli perché poi al lunedì ce ne accorgiamo se fai la furbetta...>

<Afferrato il concetto> risposi, mentre l'ascensore era arrivato ed andavamo verso il fondo del corridoio.
<Ma... ehm... per il cibo come faccio?> chiesi, preoccupata di parere indiscreta.

Lei ridacchiò e fece: <Settimanalmente ti daremo un certo tot di soldi che dovrai decidere te come spendere. Ovviamente non possiamo dartene di più e quello che avanzi te lo tieni per la settimana dopo. Cerca di non fare stupidaggini.>
<Capito. Di solito non tendo a sperperare tutto subito...> commentai e lei fece: <Beata te, io ho le mani bucate; sto riuscendo solo adesso a trattenermi...>

Arrivammo davanti l'ultima porta del corridoio e l'aprì con una chiave che estrasse dalla tasca dei suoi jeans.
Entrò e io la seguii.
<Questa è la tua stanza!> annunciò, per poi aggiungere: <Il bagno con doccia non è annesso, ma è qui praticamente: è la porta giusto prima di questa.>

Mi guardai attorno.
Ero in una stanza dalle pareti giallo ocra chiaro e il pavimento a mattonelle grigio molto chiaro.
Sulla parete opposta alla porta, sotto una finestra che si apriva a ghigliottina, c'era un letto piccolo (da una piazza sola, supposi) con la tastiera e lo "scheletro" in legno chiaro (pino?) e le lenzuola estive di un azzurro acceso. 

Vicino alla tastiera, dietro il letto, c'era un piccolo tavolino bianco con una lampada dell'Ikea sopra e una sveglia non digitale (tipo quelle con le campanelle e il fastidioso "triiiiin", tipiche dei vecchi film).

Sulla parete a destra c'era un enorme armadio a tre ante, sui toni del legno del letto, e accanto all'enorme armadio un cassettone abbastanza grande; tutti e due dell'Ikea, mi parvero. Sulla parete a sinistra, invece, c'era una scrivania bianca (sempre dell'Ikea) con su solamente una lampada e un barattolo dipinto di bianco che faceva da "moderno" portapenne.
Con il sedile sotto la scrivania e lo schienale contro il bordo della scrivania, c'era una sedia con ruote nera, imbottita e ricoperta di un materiale sicuramente finto (pelle sintetica).
Accanto alla scrivania c'era una libreria vuota alta poco più di me e larga neanche un metro.
E, a completare l'arredo, un enorme tappeto circolare giallo chiaro era posizionato al centro della stanza.

<Come ti pare?> mi chiese Tanaka, richiamando la mia attenzione su di lei.
La guardai un attimo, notando quanto fosse speranzosa. Registrai solo allora in un angolo della testa che i suoi jeans neri avevano degli strass colorati sulle cosce e sulle gambe, che la sua camicia panna aveva dei motivi floreali e che la graziosa treccia che aveva era fermata alla fine da un nastro coda di cavallo era fermata da un elastico con su una piccola rosa rossa di plastica.

<L'ha arredata lei?> chiesi, ritornando a guardare la stanza.
Lei si mantenne in silenzio mentre io appoggiavo la valigia accanto la porta insieme allo zaino (notai allora che quella parete era vuota, eccezion fatta per dei quadri di mare e montagna) e mi toglievo le scarpe.

Tanto era la mia stanza, no?
Alzai di nuovo lo sguardo su di lei e feci: <Chiedo perché è tutto coordinato e dai colori particolari: sembra il suo stile, da quel che posso vedere da come è vestita.>
Le sorrisi timidamente e feci: <Non è male, davvero. È carina e particolare. Credo che mi sentirò abbastanza a mio agio in questa stanza...>

Il suo mutismo si spezzò e, con gli occhi luccicanti di orgoglio, fece: <Beh, a quanto pare non ti sfugge nulla! Avevano fatto le pareti di un giallo orribile, all'inizio, ma li ho costretti a fare le pareti di questo giallo più carino e ho tenuto le stesse cose prese prima, cambiandone solo il colore.>

Mi sorrise per continuare: <Sono contenta che ti piaccia, Amaya. Volevo davvero provare a rendere questo posto più confortevole! D'altronde...> e li si bloccò, quasi spaventata da quello detto.
Sospirai.

"D'altronde questo posto sarà il mio incubo. E questa sarà la mia prigione dorata."

Mi guardò preoccupata e, prima che partisse alla carica di scuse, feci: <Tranquilla. Lo so... Però grazie davvero per il pensiero carino... Posso stare da sola? Così mi preparo e...> <Certo, certo!> mi interruppe lei.
<Queste sono le tue chiavi> e mi venne più vicino per porgermi la chiave da lei usata poco prima. Il portachiavi allegato era un semplice dischetto bianco decorato ai bordi con una doppia riga gialla.

<A dopo!> mi salutò, uscendo dalla stanza e richiudendosi la porta in tutta fretta.

Scalciai le scarpe con stizza, facendole finire contro il muro vuoto. Ero sopra il tappeto e sentivo sotto i miei calzini la sua morbidezza. Arricciai le dita dei piedi, aggrappandomi a quei ciuffi di morbido tessuto e, ad occhi chiusi, mi sedetti, immergendo le mani lì in mezzo.

Dalla finestra lasciata un filino aperta entrava il cinguettio degli uccellini.
Immaginai di non essere lì, ma di essere su un prato qualsiasi a prendere il sole e ad aspettare il ritorno della persona (o delle persone) con cui ero venuta in quel campo. Pensai alla fresca brezza di un venticello leggero che mi avrebbe spostato a suo piacimento i capelli, mentre attorno a me i fiori più alti dell'erba si muovevano sinuosi sotto la danza del venticello leggero.

Aprii gli occhi, risvegliata da una notifica del cellulare.

Mi guardai intorno.
Ero in quella stanza dalle pareti giallo ocra, con una valigia e uno zaino accanto la porta, una terribile consapevolezza a pesarmi nel petto e una stupida recita da portare avanti.

Mi morsi il labbro inferiore reprimendo quelle dannate lacrime.
Sbattei più volte gli occhi, sfregandomeli alzando un po' gli occhiali, senza toglierli.
Avevo già pianto abbastanza per quella nuova condizione, per quella "permanenza estiva", per quel pericolo che dopo avrei affrontato.
Dovevo essere forte.
Non potevo buttarmi giù.

<Per loro, May; solo per loro...> mi ripetei in un sussurro tremolato.
Mi alzai e andai verso la valigia, pronta ad aprirla e tirare fuori quello che mi sarebbe servito di lì a poco.
A disfare la valigia ci avrei pensato dopo, mi ero detta.

"Come vorrei fare con tutto questo..." aveva aggiunto una piccola parte di me.


N/A: e da qui si entra ufficialmente nel secondo arco narrativo, gente!
Non credo proprio sarà lungo come il primo, dato che io con i capitoli sono già al 42, in corso, ed è quasi finito il secondo arco, per trama. Ma mai dire mai, specialmente con me, dato che non so quanti capitoli di inframezzo fra secondo e terzo arco ci saranno; ma di sicuro devo dire e fare diverse cose, necessarie anche per i prossimi archi narrativi. 

Però prometto (o, beh, almeno ci provo) che verso il capitolo 50, massimo 53, saremo già nel terzo arco narrativo. Ripeto, io ci PROVO, poi quel che sarà, sarà.
-diamine, questa sarà in assoluto la mia storia più lunga mai scritta-

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