Capitolo 27

Mio padre si riprese per primo e, con la voce abbastanza ferma, chiese: <A cosa dobbiamo la sua visita, Ōta-san, per portare con lei il capo della polizia di tutta la prefettura, Itō-san, e persino il Ministro della Sicurezza nazionale, Kimura-san?>.

Sapevo benissimo che dentro sarà stato almeno la metà del mio shock, che stavo mostrando apertamente.

Il mio cervello ancora non elaborava tutto, anche se ero certa che stava andando per ragionamento sociale, piuttosto che per il normale procedimento razionale. E, anche se ero conscia che si incappava di più nell'errore in quel modo, quasi supplicavo i miei neuroni di farmi capire qualcosa di quelle persone che avevo davanti e del perché fossero lì.

Ah, comunque tutto quello detto prima è frutto di psicologia e dell'accenno che avevamo fatto al nuovo capitolo, sul procedimento e l'influenza sociali.

Ritornando a noi, un istante dopo che mio padre ebbe chiesto, il campanello suonò. Mia madre si sporse in automatico e, sospirando sollevata, aprì il cancelletto una seconda volta. Il capo della polizia, quell'antipatico rompipalle dell'attacco alla scuola, dal cognome qualcosa del tipo Itō o Isō (l'ho già detto che ho una pessima memoria, no?), chiese: <Chi sta facendo entrare? Le vorrei far notare fin da subito che questa è una conversazione riservata solo al vostro più piccolo nucleo familiare.>

Ovviamente non lo disse con qualche sorta di gentilezza, ma con quella cazzo di strafottenza che mi faceva venire voglia di prenderlo a martellate sulla zucca. Mia madre, molto più brava di me a contenere la rabbia, fece: <È mio figlio da ritorno da scuola. Prima vi ho aperto senza guardare, pensando fosse lui.>

E, come a sostenere la sua tesi, in quel momento entrò mio fratello. Stava per dire un "Ciao", abbastanza stanco in volto, desideroso di buttare giù a terra lo zaino, ma la scena che si ritrovò davanti lo fece fermare e guardarci curioso e confuso.
Forse anche un pochino spaventato.

Mio fratello si tolse silenziosamente lo zaino, appoggiandolo piano vicino l'ingresso, facendo poi un mezzo inchino (reclinò solamente un po' la testa in avanti), recitando la formula che i miei genitori gli avevano insegnato per comportarsi da formale padrone di casa: <Benvenuti in casa nostra, signori. Prendete posto.>

E, anche se mio fratello non era né stupido né ingenuo, decise di recitare la parte dell'educato facendoci sbloccare tutti, più o meno.
<Ha ragione. Accomodatevi pure in soggiorno.> e mio padre fece un gesto meccanico, indicando il divano per fortuna ancora in ordine. Almeno non sembrava reduce di una lotta.

Mia madre si eclissò in cucina, dicendo che avrebbe preparato del tè. "Infame, ci hai lasciato qui con la patata bollente!" pensai, mentre i tre uomini si sedevano su uno dei due divani. Mio padre e mio fratello si sedettero sull'altro divano, mentre io mi appoggiavo al tavolo, stringendo con forza la presa.
Ero nervosa, e anche tanto. 

Però mi misi a "studiarli", cercando di capire qualcosa dalle loro emozioni. O almeno a studiare quelle dell'unico che conoscevo sul serio un pochino. Ōta-san era altamente nervoso e spesso si fissava le ginocchia, coperte da dei pantaloni eleganti, oppure strofinava trai i polpastrelli un lembo della sua giacca del suo completo a tre pezzi.
Mi chiedevo come facesse ad aver caldo, io a confronto ero... oh.

Mi ricordai ancora di essere con un abbigliamento da casa, decisamente molto poco elegante. Ero in imbarazzo. Ma non mi osavo neppure ad andare in camera dicendo "Ehi, mi vado a cambiare", per evitare di incappare nella rabbia o disappunto di quei tre. Finché non sapevo che volevano, era meglio rimanere amichevole.

Ritornando a noi... ah sì.
Ōta-san di sicuro era nervoso. Quello mi preoccupò un poco. Se era nervoso il mio medico da quando ero piccola, non doveva essere niente di buono, specialmente se con lui c'era un agente della polizia e il Ministro della Sicurezza Nazionale!
Un piccolo dubbio, spaventoso, mi percorse la testa.

E se mi avessero voluto sbattere in carcere perché ero troppo pericolosa? D'altronde, con l'aumentare degli attacchi dei possessori di Quirk, non mi sarei stupita troppo se ci avessero soppressi o cose del genere. Lo avrebbero fatto con gusto, poco ma sicuro, e avevano la scusa di farlo "per un bene superiore", in questo caso la salvezza dei civili. 

Ma perché dovrebbero esserci proprio loro tre?! Non ha senso!
E se... 

"May, calmiamoci. Forse siamo solo noi a reagire in modo esagerato!" mi imposi nella mente, mentre il cuore batteva frenetico dall'ansia. 

"Calmarci? Come?! Quale motivo logico porterebbe tre persone diverse del genere in casa nostra se non per qualcosa di terribile?! Ci uccideranno! O, sarebbe peggio, ci rinchiuderanno in prigione a marcire per il resto dei nostri giorni! O, forse, forse... hanno trovato un modo per toglierci il nostro Quirk, rendendoci innocui, ma rendendoci altamente instabili a livello fisico e mentale?! Ah, chi lo sa? Però è certo che sarà qualcosa di terribile!" strillò una voce altamente catastrofica nella mia testa.

Strinsi la mano non appoggiata al tavolo con forza, fino a sentire le unghie premere con forza nel palmo della mano.
Almeno quel piccolo dolore mi aiutava a rimanere lucida: non potevo pensare al peggio.
Non subito.

Sospirai lievemente, stanca, neanche fossi invecchiata di dieci anni in una botta sola. Però l'ansia e lo stress giocavano scherzi del genere. In quel momento mia madre entrò in soggiorno, portando con sé sei tazze di tè caldo su uno di quei vassoi dove, di solito, mettavamo la carne da fare alla griglia.
Mia madre poggiò il vassoio sul tavolino dell'Ikea bianco posizionato fra i due divani, mentre lei si sedeva accanto a mio fratello. Io, intanto, avevo preso una sedia da quelle attorno al tavolo e l'avevo posizionata vicino ai miei genitori.

I tre inaspettati ospiti presero una tazza ciascuno, come i miei genitori e mio fratello. Visto che erano solo sei tazzine, erano finite. Ed era meglio così.
Odiavo il tè in qualsiasi sua forma. 

Sì, anche i giapponesi sono capaci di odiare il tè: solo perché qualcosa è così tipico e fondamentale di una cultura mica vuol dire che piaccia a tutti. E secondo me vale così in tutto il mondo: ci sarà da qualche parte nel mondo, per esempio, un italiano che odia la pasta o la pizza, no? O un americano che odia il McDonald? 
E perciò io, anche se sono giapponese, odio il tè.

Il non berlo, però, non mi impedì di sentirne l'odore.
Non ero per nulla esperta di tè, ad essere onesta. Sapevo solo dare ai tè che in casa mia si bevevano certe attribuzioni. 

Per esempio, un tè dall'odore delicato, quasi neutro, era quello che spesso mio padre beveva la mattina, mangiandoci insieme qualche biscotto, facendo così la sua colazione. Un tè dall'odore abbastanza forte, che spesso mi pizzicava il naso, lo attribuivo al tè che mio fratello voleva a tutti i costi bere prima di andare alle partite di calcio, perché gli dava la carica. 

Quello che invece si stava diffondendo per la stanza aveva un odore dolce, quasi nauseante, e sapevo che mia madre lo beveva sempre alla sera per distendere i nervi. Le camomille la facevano stare attiva ed altri tipi di tè con proprietà simili non avevano effetto.

Credetti che avesse bisogno di quel tè in quel momento (come tutti nella nostra famiglia), e quell'odore dolce mi entrò fin nella testa, stordendomi leggermente.
<A cosa dobbiamo la vostra visita? C'entra qualcosa la visita che Amaya ha svolto all'ISQ a fine maggio?> chiese mio padre rompendo il silenzio, dopo qualche sorso del tè.

Il signor Ōta alzò lo sguardo su mio padre, rispondendogli: <Beh, diciamo che la visita all'ISQ è parte integrante del perché siamo venuti fin qua da voi.> prese un piccolo respiro, per poi continuare: <Tutti quei test fatti in modo straordinario quel pomeriggio avevano uno scopo specifico: verificare le abilità di Amaya in specifici campi. E ha superato i parametri per essere ritenuta idonea.>

<Idonea? Io? A cosa? Perché non ci aveva detto nulla prima, Ōta-san?> chiesi a raffica, spaventata.
Avevo sbottato, ma quella vocina dentro la testa che mai mi abbandonava ripeteva, canticchiando: "Idonea ad a soffrire? Idonea a perire? A cosa siamo idonee noi?"
Pareva una inquietante filastrocca che continuava a ripetersi nella testa.
Mi tremavano le gambe e dovetti impegnarmi per farle smettere.

<Se ci lasciasse parlare, lo sentirebbe, signorina> mi rimbeccò il capo della polizia, Itō, sono certa del cognome.
Wow, mi ricordavo il cognome: miracolo!
Ehm, tornando seri... avevo voglia di spaccargli il muso. Era davvero insopportabile.

Ōta continuò con il suo discorso, chiedendo retorico: <Avete sentito parlare del nuovo corpo della polizia statale dei dotati di Quirk, H.E.R.O.?>.
Tutti nella mia famiglia, eccetto mio fratello, annuimmo. 

<Ne hanno parlato poco fa al telegiornale. È formato sia dai poliziotti dotati di Quirk, anche solo quelli che stanno facendo il corso di preparazione, e da qualsivoglia volontario, no?> riassunse mia madre. Sia il Ministro che il poliziotto annuirono e fu il primo dei due a prendere successivamente la parola: <Però... diciamo che c'è anche una piccola clausola, non fatta trapelare ai giornalisti.>

Il sangue mi si congelò nelle vene.
Avevo paura di dove volesse andare a parare perché avevo un bruttissimo presentimento.
Speravo che fosse tutto ma non quello a cui stavo pensando, la situazione peggiore, anche se le possibilità del contrario erano remotissime.

E, beh, credo che il Fato mi abbia riso sguaiatamente contro, dicendo "Speraci!", davanti la mia disperazione e i miei pensieri.

<Se, precedentemente, un possessore di Quirk è finito sotto l'occhio del Governo per reati penali ed è stato assolto, si può decidere di metterlo fra i candidati che si possono arruolare, affinché possano materialmente dimostrare di non essere contro i civili ed il Governo giapponese... E mi risulta che lei, signorina Miura, sia stata accusata di uso non autorizzato del suo Quirk il 20 aprile passato ed assolta poco dopo.> notò con un luccichio perfido il Ministro.

No... Non poteva essere. Non ci volevo credere!

<N-no. Il caso è-è stato chiuso ancor prima d-di essere... aperto.> protestai debolmente, con la disperazione che mi stava iniziando a soffocare lentamente.
Guardai con rabbia e istinto omicida Itō.

<Potrei aver detto quella mattina che il caso sarebbe stato chiuso ancor prima di essere aperto, intendendolo però in senso figurato. Il caso, in realtà, è stato aperto e subito dopo chiuso il 20 aprile scorso.> mi spiegò il capo della polizia, guardandomi con finta innocenza.
"Brutto figlio di puttana patentato ad essere uno stronzo pezzo di merda..." pensai, senza pormi filtri. Sentii un odio inquantificabile annebbiarmi per qualche istante la vista.

Lui... io... quindi...

Fu in quel momento, suppongo, che iniziai ad odiare la data 20 aprile, perché per me significava aver dato una possibile breccia al Governo di intaccarmi, perché non avevo più la fedina penale pulita.
Ero diventata vulnerabile quel giorno.

<Infatti, signorina Miura, lei è nella lista dei possibili membri dell'H.E.R.O., dopo aver riscontrato ottime potenzialità nei test fatti all'ISQ. Noi siamo qui, oggi, per mostrarle questo...> e l'uomo estrasse da dentro la giacca, da una tasca interna, un plico di fogli piegato in quattro. Li dispiegò e li appoggiò sul tavolino dell'Ikea. Era un contratto con innumerevoli clausole.

Mi sentii mancare e pregai di sprofondare con la sedia verso un mondo lontano.

<... e chiederle di unirsi all'istituzione H.E.R.O. e combattere per il nostro paese, signorina Miura, contro chi ne sta minacciando l'equilibrio. Ovviamente agirà senza mostrare la sua reale identità, per sicurezza sua e dei suoi cari, e sarà lautamente ricompensata con uno stipendio molto alto.> continuò il Ministro Kimura, se non ricordavo male il cognome.

Tirò fuori una penna dalla taschina sul petto. La aprì e rivolse il cappuccio della penna verso di me, come ad invitarmi di venire lì e afferrarla. Anche da seduta al mio posto notai che era una stilografica, una Montblanc per la precisione. ("Porca puttana, quanto cazzo deve essere ricco per portarsi in giro una penna del genere come se nulla fosse?!")

<Accetta, signorina Miura? Ovviamente può leggersi coi suoi parenti tutte le clausole del contratto; che spiega più in dettagliato in cosa consiste il lavoro da agente dell' H.E.R.O., la preparazione che dovrà fare e tanti altri aspetti.> fece il Ministro Kimura, incatenando i suoi occhi così simili a quelli di Asami quando erano esposti al Sole nei miei.

Però, ci tengo a ricordare una cosa.
Quello fu il giorno in cui la mia vita si sconquassò completamente per una seconda volta: infatti, da lì in poi, nulla fu più lo stesso del passato.
Troppi avvenimenti sarebbero successi per poter comparare quello spezzone di vita al precedente.

La prima volta in cui la mia esistenza fu ribaltata fu quando scoprii di avere un Quirk, visto che ero stata "condannata" ad una vita molto più complicata di molti altri dal punto di vista sociale, interpersonale e pure lavorativo.

E la terza volta, l'ultimo grande sconquasso, accadde abbastanza più in là, rispetto a dove sono col raccontare. Ma non vi voglio dire nulla di più, per ora. 
Devo comunque spiegarvi ancora tanto prima di quell'altro punto di svolta (sempre negativo) nella mia vita; perciò meglio se riprendo da dove mi ero interrotta...



N/A: adesso le cose iniziano a farsi complicate.
Ad Amaya hanno richiesto di arruolarsi nell'H.E.R.O... mica male come situazione, eh?
Secondo voi cosa farà la piccola, povera e sfortunata May?

Amaya: *guance gonfie e rosse* non sono piccola!
Io: piccola nel senso di ingenua.
Amaya: ma sono tipo te; e noi non siamo per nulla pure ed innocenti.
Io: sì, ma abbastanza ciecata forte su alcune cose...

Amaya: *sbuffa* ma non sono povera! 
Io: economicamente no, ma tranquilla che presto sarai "povera" nel senso figurato, oltre che sfortunata.
Amaya: ma io sono già sfigata...
Io: la situazione peggiorerà, fidati ;)
Amaya: ... devo iniziare a pregare per la mia salvezza adesso od ora?

Comunque, piccola noticina, ho scelto la data del 20 aprile PROPRIO a caso... *coff coff* seh, certo *coff coff*.
Vabbè, finito di sparare cazzate, per ora. 
Vi saluto e alla prossima settimana!

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