Capitolo 26
Eravamo nella prima metà di di giugno, il numero preciso non lo ricordo e chi mai se lo sarebbe potuto ricordare? Non avevo verifiche o esami a cui legare quel giorno, e quindi non lo ricordavo. Forse avrei dovuto, dato che fu il giorno quando seriamente qualcosa iniziò ad incrinarsi nella mia vita. O, con ogni probabilità, lo so nei meandri della mia mente, solo che voglio impedire che passi dall'area dell'inconscio al conscio, perché so che maledirei anche quella data.
E già ho da dannare la data in cui scoprii il mio Quirk a 3 anni e mezzo e quando accadde l'incidente a scuola, che mi aveva fatto entrare in un ciclone molto più grande di me di cui ancora non sapevo nulla...
Ma andiamo con calma, diamo un po' di contesto alla scena, preferisco così.
Certa gente preferisce essere diretta e dire subito i fatti, a me sinceramente non piace; almeno per quanto riguarda i testi scritti. È il contesto a dare un certo tono al tutto, come in un discorso. E, visto che facevo un liceo delle scienze umane, stavo imparando a conoscere come anche solo la situazione di sfondo fosse importante e decisiva.
Ritornando a noi...
Ero a casa, essendo un sabato (questo lo ricordo), e stavo guardando la TV con i miei genitori, mentre Akira stava tornando da scuola da solo, dato che abitavamo solo a 200 metri dalla scuola del nostro paesino.
Era ancora una normale mattinata...
Al telegiornale stavano parlando del pericolo dei ribelli, cioè dei ragazzi coi Quirk che stavano iniziando seriamente a seminare il panico in diverse prefetture del Giappone, e stavano rievocando (come facevano spesso e volentieri) la prima rappresaglia capitata in tutto lo Stato, e cioè alla mia scuola il 20 aprile.
Quella data ancora non la detestavo, era solo una un po' più importante di altre, ma non pregna di odio...
La telegiornalista passò la linea all'inviato sul posto e a cosa stava accadendo lì. La telecamera inquadrò una donna che stava combattendo con la sua unicità, a viso ben coperto, contro un ragazzino con una unicità ben pericolosa, che invece era tutto ghignante e continuava a gridare qualcosa di incomprensibile a noi. Le sue parole si perdevano nel casino causato dai civili che venivano allontanati dai poliziotti ordinari, i quali urlavano quasi tutti insieme istruzioni diverse.
Quella situazione ancora mi era lontana dalla quotidianità...
Poi l'inquadratura venne spostata su un uomo, l'inviato, che iniziò a parlare: <Qui ad Hosu il panico è stato scatenato pochi minuti fa da un ragazzo dotato di Quirk, la cui identificazione è ancora in corso, che ha urlato come prima cosa "Alla resistenza!" prima di attivare il suo potere e generare il panico. La polizia è accorsa il prima possibile e adesso sta cercando di mantenere sotto controllo la situazione, mentre una degli agenti statali dotati di Quirk sta contrastando il ribelle stesso.
Dato che questo tipo di rappresaglie stanno diventando sempre più frequenti, queste file di poliziotti verranno rimpolpate da nuove reclute e inserite in una nuova istituzione chiamata "Humans Engaged to Resolve Opposition", in acronimo H.E.R.O., e, tradotta, l'istituzione significa "Umani Impegnati a Risolvere l'Opposizione".
Dovranno aggiungersi a queste file tutti i poliziotti dotati di poteri, rigorosamente coperti in volto e con nomi in codice con cui rivolgersi al pubblico per mantenere la loro sicurezza, e ci potranno essere pure dei volontari. Infatti potrà unirsi volontariamente qualunque maggiorenne dotato di Quirk desideroso di combattere per il suo Paese che richiederà il permesso specifico. Per maggiori informazioni guardare la page online pubblica del Governo. Ed ora, la linea in studio.>
Allora il telegiornale ritornò alla signora in studio, che commentò con qualche frase quella notizia, per poi passare a qualcos'altro.
Tutto ciò ancora mi era estraneo...
Intanto in casa mia c'era mia madre che commentava, quasi derisoria: <Se il Governo è davvero così convinto che ci saranno pure dei volontari... quelli al suo interno sono davvero più cretini di quanto pensassi.>
Mio padre continuò il discorso, dicendo: <Non immagino che lavoro avranno da fare quelli dell' H.E.R.O. anche per solo evitare di essere scoperti dai civili o dai ribelli. Non vorrei mai che né io, né nessuno che io conosca finisca per fare una vita del genere...> e sapevo anche senza guardare, che stava osservando me, quasi sollevato. Per mia fortuna ero solo una quasi 15enne, studentessa di un liceo e che, inoltre, era riuscita a sbrogliarsela da un problema legale capitato un certo giorno di aprile.
Non avrei mai pensato che avrei dannato quella data, che avrei vissuto disastri in prima persona, che l'istituzione H.E.R.O. mi sarebbe diventata così familiare; ma io non potevo controllare il Fato.
Il campanello del cancello di ferro suonò per qualche secondo per una sola volta. Mia madre si alzò dal tavolo, quasi esasperata, andando ad aprire la porta d'ingresso e anche il cancelletto. <Avrà dimenticato anche questa volta le chiavi...> borbottò mia madre, mentre andava in ciabatte fino alla porta di legno d'ingresso.
Mi dissi in un angolo della mente che era strano che mio fratello avesse suonato una sola volta. Lui faceva sempre tre suoni corti ed uno prolungato, ormai avevo capito ciò. Ormai riconoscevo come suonava al nostro campanello. Ma non ci feci tanto caso, pensando che comunque era solo il suono d'un campanello, non era nulla di così importante e fondamentale.
E invece avrei dovuto dargli importanza...
A pensarci a posteriori, se avessi notato che c'era qualcosa di strano, avrei agito di conseguenza e forse la mia vita sarebbe andata in modo diverso. Se mi fossi alzata, se avessi scostato le tende e avessi visto chi c'era al cancello... che avrei fatto?
Sarei rimasta immobile?
In quel caso non avrei cambiato nulla, se non che il terrore mi avrebbe pervaso un minuto prima, circa.
E se fossi riuscita a reagire?
Che avrei fatto se, visto la scena, non fossi impallidita e i miei muscoli si fossero mossi?
Sarei scesa di giù e chiedere a quattrocchi perché fossero lì? In quel caso, forse, avrei peggiorato la situazione. Mi sarei fatta odiare fin dall'inizio e sarebbe stato un Inferno ancor peggiore di quello successivo.
E se avessi provato a scappare?
Via, lontano, per paura, per istinto di presagio negativo, senza nulla e nessuno; con la speranza che nessuno a cui volessi bene avesse ripercussioni.
In quel caso che fine avrei fatto?
Sarei morta in strada come una vagabonda qualsiasi dopo poco? Avrei iniziato a rubare per vivere, continuando la mia esistenza nell'ombra? In questo caso, mi sarei unita ai ribelli, in cerca di unità e di un posto da chiamare di nuovo casa? In un altro, orribile, finale, sarei finita per essere resa una merce di quel nero ed oscuro traffico di bambini ed adolescenti?
Una schiava... e con quale compito?
Quello di una sguattera come Cenerentola ma senza principe azzurro o la Fortuna a salvarmi? O sarei finita ad essere qualcosa di ancora peggiore, una bambola privata di tutto, della sua anima e della sua innocenza più profonda?
Sinceramente parlando... non lo so. Non saprei come sarebbe potuto andare il tutto se avessi avvertito come "pericolo" quel qualcosa al di fuori dell'ordinario.
Boh.
Le mie teorie forse sono così orribili perché io stessa sono un po' pessimista.
Sempre pronta a pensare a scenari così brutti.
Di certo so solo la realtà, cioè quello realmente accaduto.
Quello che avevo realmente compiuto e di quello che realmente avevo subito.
Quello che il Mondo mi aveva tracciato come linea guida e che io avevo seguito alla perfezione.
E io sono qui a raccontare questo.
Inoltre la Storia, in generale, non si fa né coi "Se...", né coi "Ma...".
Io non potevo controllare il Fato, poco ma sicuro, come qualsiasi mortale...
Mia madre aprì la porta pronta a rimproverare mio fratello perché aveva dimenticato le chiavi, per immobilizzarsi confusa, stupita e spaventata. Le avevo visto aprire e chiudere la bocca senza dire nulla, gli occhi castano scuro spalancati. Scattò come una molla, ritornando velocemente in cucina, togliendosi il grembiule e mettendosi meglio nel mollettone i capelli tinti di nero.
<Che c'è, Sakura?> chiese allarmato mio padre, scattando in piedi.
... e inoltre nessuno può davvero predire il futuro a questo mondo...
<C-c-c'è i-il medico d-d-di May c-c-con u-u-un ministro... n-ne sono certa e... e... uno della polizia di Iwate, credo? Cosa sta succedendo?> fece, balbettando e spaventata.
Anzi, terrorizzata.
Le labbra, anche se chiuse, tremanti.
Scattai in piedi anch'io, mentre mio padre sbirciava attraverso la tenda e sbiancava pure lui. Mi sentii terrorizzata.
<Quel poliziotto è il capo della polizia di tutta la prefettura di Iwate.> fece mio padre con tono funebre.
Cosa stava succedendo?
Perché Ōta-san era lì?
Perché con lui c'era il capo della polizia di Iwate?
Perché perfino un ministro?
Perché tutto quello?
Perché?
Non capivo nulla.
Terrorizzata.
Confusa.
Con il respiro sempre più breve.
Con il battito cardiaco sempre più veloce.
Con le gambe sempre più molli ed una crisi nervosa sull'orlo di scoppiare.
... ed infatti il Destino fece il suo corso.
La voce di Ōta-san ci raggiunse, mentre apriva di più la porta: <Mi dispiace signor e signora Miura, e specialmente a lei signorina Amaya, ma non si poteva fare altrimenti. Mi hanno detto di tutto ciò stamattina e mi hanno vietato di dirvi qualsiasi cosa.>
Ci girammo tutti e tre verso l'ingresso, vedendo il mio medico fin da quando ero piccina sorriderci amaro, sinceramente dispiaciuto. Cercai di calmarmi, pensando che non era nulla, ma era tutto inutile. Poi entrò un uomo alto, sarà stato sul 1.90m. I capelli rossicci erano tenuti perfettamente in ordine, in un taglio molto corto. Non aveva traccia di barba o baffi sul viso squadrato. Gli occhi marroncino chiaro, color miele, per mia sfortuna così terribilmente simili a quelli di Asami quando cambiavano al Sole, si incastonarono nei miei. Un brivido di terrore mi percorse, mentre la mia testa era vuota.
L'uomo inarcò le sopracciglia, quasi spiacevolmente deluso.
<Ci dispiace di avervi interrotti durante il pasto, ma almeno così eravamo certi di avervi qui.> spiegò l'uomo sconosciuto, squadrando anche i miei genitori. Beh, mi ricordai pure che ero vestita in modo ridicola, con una semplice maglietta azzurra un po' sporca da precedenti pasti e dei pantaloni lunghi da tuta, violacei. Ero buffa da vedere, poco ma sicuro, anche perché avevo i capelli raccolti in uno chignon fatto alla bell'e meglio.
Poi la terza persona si fece avanti. Era sensibilmente più bassa dell'uomo di prima, ero un filino io più alta di lui. Aveva gli occhi porcini. I vestiti borghesi con su comunque il suo distintivo facevano vedere bene la pancetta che aveva. Il ghigno sul suo volto era divertito.
Sapevo chi fosse.
<Ci rivediamo signorina Miura. È passato un mese e mezzo, circa, dal nostro primo incontro, no? Spero che lei si ricordi di me come io ricordo di lei.> fece, tutto gongolante nel tono. Eccome se lo avevo riconosciuto. Era lo stesso sgradevole e fastidioso capo della polizia di quella mattina a scuola, il 20 aprile, quando Angel, Eye-Tech e altri dotati di Quirk incappucciati e braccianti fucili avevano fatto irruzione a scuola. E io avevo salvato tutti con la mia unicità, in "un atto di coraggio" si potrebbe definire.
Mi sentii ancorata al pavimento dallo shock e dalla confusione, mentre Ōta-san si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle. Il colpo secco con cui richiuse la porta mi fece ritornare sul pianeta Terra, capace di muovermi, anche se l'angoscia ancora mi segnava il volto.
Spero che il Mondo si sia divertito a vedermi disperata in quel momento.
N/A: ZAN ZAN ZAAAAAAAAAAAAAAAAAAN!
Ecco qua l'inizio di ciò che mena Amaya dall'inizio della storia!
Le cose di qua in avanti si complicheranno, gente.
-e non solo per quanto riguarda questo lato della vita di May... eh eh-
Amaya: devo avere paura?
Io: beh... sì? Stai comunque parlando con me! *sorriso malvagio*
Amaya: *terrorizzata* cosa vuoi fare!?
Io: ah, nulla! Guarda! Voglio solo incasinarti anche- *auto-censura*
E niente... alla prossima settimana!
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