Capitolo 24
Quando mio padre mi svegliò poco prima di uscire, oltre a borbottargli un: <Buon lavoro> ricambiato da lui con un <Buona mattinata>, constatai che i muscoli erano ancora doloranti anche se un filino meno del giorno prima.
Quella medicina aveva fatto miracoli.
Mi misi seduta, tastando il comodino alla cieca alla ricerca degli occhiali, e sentii qualsiasi muscolo esistesse sulla schiena e sul busto farmi male, in modo mediamente leggero ma insistente. Sapevo già che, però, erano gli arti la parte più dolorante. Infatti, appena mi misi in piedi, le gambe furono percorse da un lungo brivido di dolore lancinante, che mi fece mordere le labbra per evitare di urlare e svegliare qualcun altro.
Poi però avvertii l'urlo tipico di mia madre (che da quando avevo iniziato le superiori non sentivo più, dato l'orario diverso in cui ci svegliavamo): <AKIRA! LA COLAZIONE È PRONTA. O VIENI O TI ARRANGI!> proveniente dalla cucina e la risposta di mio fratello non tardò a farsi sentire.
<ARRIVO!>. Ma quello era un grido più lamentato di quello di mia madre, che era imperioso.
Mi era proprio passato dalla testa che era sabato e che mio fratello andava a scuola, invece che fare un pomeriggio come tante altre scuole. Va beh, era toccata anche a me quella sfiga e che, perciò, si mettesse l'animo in pace e si facesse i suoi tre anni di medie da 6 giorni su 7 a settimana.
Raccogliendo i miei disordinatamente ricci capelli in uno chignon fatto alla bell'e meglio, mi diressi in cucina, provando un attimo prima a stiracchiarmi. Altra scossa di dolore che partiva dalle mani e che arrivava fino ai piedi che non riuscirei a paragonare a qualcos'altro. Però non potevo neppure non stiracchiarmi, dato che altrimenti mi sentivo incriccata ed intorpidita.
E di sicuro, anche così dolorante, volevo assolutamente andare in centro ad Iwate a passare la mattinata con Shinichi.
Ero una masochista di livelli alti; e anche per quanto riguarda il livello mentale, dato certe fanfiction su ship improponibili che mi ero andata a leggere; guadagnandomi l'appellativo di "autolesionista mentale" da una ragazza su Wattpad con cui chattavo, spesso ironicamente, attraverso le nostre storie.
Mi aveva definito così dopo che le avevo detto che mi ero letta svariate storie (anche in inglese) su ship improponibili (come Harry Potter con Voldemort) e visto certi video indecenti per male proprio (come "Two Girls, One Cup") con Asami (che avevo solamente definito "la mia migliore amica").
Torniamo seri. Ripensare a certi schifi mi fa rabbrividire.
Salutai mia madre e mio fratello, che uscivano per iniziare un'altra giornata faticosa, mentre io ero sul divano, rilassata, già cambiata e con le lenti a contatto addosso (evento nazionale, per quanto raro le indossavo) dopo 10 minuti buoni che ci ero stata a sclerare su per mettermele correttamente (dannato astigmatismo presente sulla lente).
Alle 8:05 uscii, arrivando verso le 8:10 o poco più alla solita fermata del bus, dove c'era già il bus che, partendo dal mio paesino alle 8:20, avrebbe fatto, a metà percorso, tappa anche ad Iwate in suoi diversi punti e poi sarebbe andato avanti fino all'altra parte della provincia.
Sì, era un bus che si faceva un viaggetto bello lungo (di un'ora e venti in totale, se non ricordavo male).
Il bus partì in orario e mi lasciai avvolgere dalla musica salvata nel mio fidato telefono, dando una sbirciatina ogni tanto alla schermata di blocco del cellulare, caso mai ci fossero state nuove notifiche di Wattpad. Viaggio piatto e tranquillo fino ad Iwate, dove ero tesissima: avevo sempre paura che il bus quel giorno facesse tipo "Lol, nope!" e saltasse la mia fermata, piazza Chamino.
Appena oltrepassato il liceo classico/linguistico (con anche una diramazione con lo scientifico... sì, aveva tanti indirizzi quella scuola) e girati per la via a destra, diventai di nuovo calma mentre schiacciavo il bottone per la fermata non obbligatoria (forse si sarebbe fermato comunque, ma meglio prevenire che curare) e scesi appena potuto.
Peccato che il luogo dove mi stesse aspettando Shinichi era poco più in là nella piazza. Le navette e i bus normali avevano diverse fermate nella piazza, lo sapevo già in un angolino della mia mente.
Camminai fino alla fermata, dove non vidi Shinichi a prima occhiata. C'erano solo delle anziane donne che aspettavano la navetta e qualche ragazzo che, appoggiato contro l'edificio pieno di graffiti, aspettava probabilmente i suoi amici. Mentre andavo verso la fine dell'edificio, per proseguire una via dritta che portava fino alla piazza Kiridima (nella speranza di andare incontro al mio amico), mi feci prendere dal panico.
Che si fosse dimenticato della nostra uscita?
Che fosse solamente in ritardo?
Che fosse successo qualcosa di brutto ad un suo familiare e, non volendo andarsene e ancora sotto shock, avesse dimenticato di dirmelo?
Che fosse successo qualcosa di brutto proprio a lui?
La mia mente facilmente viaggiava verso i peggiori scenari, dato il mio pessimismo da catastrofista cosmico e la mia inclinazione alle paranoie. E quel mio lato di me rinforzava tutta la mia paura sul perdere le amicizie.
Infatti mi ero chiesta un attimo, in preda ai mille pensieri negativi, "Che mi abbia preso in giro?".
<SORPRESA!> sentii urlare gioiosamente da dietro di me. Qualcuno appostato dietro l'angolo, non visto da me perché immersa nei miei pensieri, mi aveva assalita da dietro. Lanciai un mezzo gridolino, spaventata e col cuore in gola dall'essere ridestata in quel modo dai miei pensieri, per vedere che era solo Shinichi.
<Scusa, ma volevo farti uno scherzetto! E ho visto come eri già preoccupata mentre camminavi fino a qui. Sei incazzata con me?> chiese Shinichi, già più calmo e quasi neutrale, come era di solito.
<No, però non ti azzardare a rifarlo mai più!> lo fintamente minacciai, puntandogli il dito contro, con falso sguardo arrabbiato.
Lui, in tutta risposta, alzò leggermente le mani avanti a sé e, con un lieve sorriso, fece: <Ok, ok, non mi azzarderò più, somma Amaya-chan.>
<Meglio così.> sorrisi sinceramente, sempre poco più col labbro inclinato a sinistra.
Ci incamminammo verso piazza Kiridima, chiacchierando del più e del meno.
In un momento di piacevole silenzio, mi disse: <Stai bene così.>.
Avevo indosso una maglietta a maniche corte con una scritta caso, messa sotto una camicetta a quadri neri, bianchi e grigi lasciata aperta e dei jeans blu scuro, i miei preferiti. Ai piedi calzavo degli stivaletti da mezza stagione con dei brillantini sul lato esterno, non erano totalmente nuovi ma volevo usarli le ultime volte prima di metterli via con l'afosa estate. I miei capelli erano sciolti e scombinati, anche leggermente più del solito perché ero riuscita a farmi una bella doccia prima di cambiarmi.
Non avevo addosso gli occhiali, sostituiti dalle lenti a contatto, e avevo un filo di trucco proprio invisibile: un po' di lucidalabbra, una sottile fila di matita sotto l'occhio e un po' di ombretto di due tonalità di rosa sfumate sulle palpebre.
Ah, e vabbè, avevo la mia borsetta nera a tracolla, piena di "borchie" sul lato davanti.
Cioè, parliamone: ero molto semplice.
Non mi sembrava di essere tutto questo granché. Lo guardai leggermente confusa, con, tra l'altro, una vocina nella testa che faceva "Vuoi dire che di solito facciamo schifo? Oh, lo sappiamo benissimo; grazie per avercelo ricordato!".
Si morse il labbro inferiore e tentò di dire qualcosa: <Cioè, intendo che, ehm...>, impanicandosi totalmente.
Gli sorrisi leggermente, come ad incoraggiarlo, e ridacchiando commentai: <A parole tuo, mio caro...>
Lo sapeva bene che io "mio caro" e "mia cara" li dicevo con ironia ai miei amici, a prenderli bonariamente in giro. Però parve impanicarsi ancora di più, calandosi nel mutismo totale.
Inclinai in avanti la testa, a cercare di vedergli il volto, dato che si era girato dall'altro lato.
Come mai si era imbarazzato?
Avevo detto qualcosa di sbagliato?
Stava facendo calare nel disagio imbarazzante pure la sottoscritta così!
Continuammo a camminare, e io mi persi nei miei pensieri, volgendo ad un certo punto lo sguardo su Shinichi. Era vestito in modo più... ricercato del solito, se così potevo definirlo. Aveva addosso una camicia totalmente azzurrina, leggera, col colletto rigido, supposi che sotto avesse o una canottiera/maglietta bianca (o anche nulla) e dei jeans blu scuro completavano il look, andando in una pendant tono su tono con la camicia.
Ai piedi aveva delle Adidas bianche con tre strisce nere che non gli avevo mai visto addosso prima. E il ciuffo (che simpaticamente chiamavo "marmotta", con l'aggiunta di altri aggettivi come "morta" a seconda di come fosse) era ravvivato e intravedevo quella sorta di lucentezza tipica del gel, a tenere le punte più ordinate.
Ridacchiai senza volerlo e commentai: <Ti sei messo in ghingheri, eh? Vuoi cercare di fare colpo su qualche ragazza qua in centro?>
Lui mi guardò e notai le sue orecchie arrossirsi (<<Quando sono in imbarazzo mi diventano rosse le orecchie>> mi aveva detto una volta), mentre balbettava: <No, è che... in classe... non mi sento a mio agio vestito così...>
<Però con una ragazza fatta di acidi al naturale, mentre si sta girando in centro città, no... giusto?> notai, ironizzando e non trovando il senso logico della sua sentenza. Io ero timida ma coerente: con certi vestiti addosso (e tipi di trucco ed acconciature) mi ci ritrovavo solo con Asami, che si divertiva ad agghindarmi come una bambolina... facendomi calare nel disagio puro anche se eravamo solo noi due.
<È che ogni tanto le nostre compagne mi guardano di sottecchi e ti fulminano ogni tre per due. Non puoi capire quanto provino a parlarmi quando durante la ricreazione quando non ci sei o quando alla mattina tu devi ancora arrivare; soprattutto quella smorfiosa Barbie di Yumi che prova a fare delle avance o roba del genere... ancora non ha capito che mi sta sulle palle?> sbottò lui, con le mani in tasca e la testa che scuoteva più volte.
Sorrisi divertita: aveva un senso tutto, allora.
<Inoue-kun, sei carino, è capibile che delle nostre compagne si siano prese una sbandata potente per te e che provano a rimorchiarti, infastidite di conseguenza da me perché parlo spesso con te. E Yumi è una che quel che vuole, lo vuole ottenere poi per principio. Perciò, o trova qualcuno meglio o ti ottiene o lei crepa. Semplice, no?> feci retorica.
Lui roteò gli occhi e fece: <Se un giorno quella lì viene coinvolta in un incidente stradale... sappi già che non sono stato io a prendere le chiavi di mia madre, guidare e investirla. Proprio non io.>
Risi, aggiungendo: <E io non sarò lì a temporeggiare con l'ambulanza, facendo la spaventata e non collaborando con l'operatore al telefono.>
Sorridemmo, ridendo piano, prima di fermarmi davanti l'unica libreria presente in piazza Kiridima.
Anche Shinichi fece lo stesso, in sincronia con me.
Eravamo proprio simili per certe cose...
<Vuole anche lei fare qui la prima tappa, mademoiselle?> chiese, mettendosi in una posa da damerino che aspetta la mano di lei per fare il baciamano.
Ridacchiai e, afferrandolo simpaticamente per il polso, lo trascinai dentro il negozio. <È l'unico negozio che, per ora, mi interessa visitare in tutta la giornata, quindi figurati te se non voglio entrarci...> notai.
<Capisco, capisco bene, mademoiselle.> disse, ripetendo quella parola a me ancora sconosciuta.
<L'hai detta ancora, quella parola.> feci, guardandolo curiosa.
<Intendi "mademoiselle"?> chiese a sua volta, con un sorrisetto divertito in volto.
<Sì. Che lingua è? Che significa?>
<È francese, significa "signorina.">
<Sai il francese?!>
<No, solo qualche parolina. Mio padre da giovane c'è andato per lavoro e ancora usa qualche parola con la mamma, e lei ricambia con quelle che papà le ha insegnato.>
<Beh, figo comunque. Anch'io voglio chiamarti in un modo figo, in un'altra lingua.>
<Sempre francese?>
<Nah, non necessario. Andrebbe bene anche qualsiasi altra lingua europea.>
<Allora posso aiutarti: mio padre è una sorta di poliglotta. Sa parlare bene oltre al giapponese, l'inglese, il cinese mandarino, un po' di russo, il francese, lo spagnolo ed un poco di arabo; giusto le basi>
<Sa parlare spagnolo? Mica è europea come lingua?>
<Sì. È la lingua in cui è stata fatta Despacito.>
<Ah, bene. Allora... vorrei chiamarti ragazzo, dato che signorino mi fa troppo strano. Sai come si dice ragazzo?>
<Sì, mio padre spesso chiama me e mio fratello così. Ragazzo si dice "chico".>
<"Ki...ko?"> provai a dire, sbagliando clamorosamente.
<No. Chico. Chi-co.> fece, scuotendo la testa, divertito.
<Chico.> dissi lentamente. Lui annuì, raggiante.
<Brava, l'hai detto benissimo.>
<Allora andiamo a rubare libri nella sezione gialli, chico!> esordii mentre, da ancora vicini l'ingresso, lo trascinavo verso la sezione gialli della libreria.
Lui ridacchiò e, lasciandosi trascinare da me, fece: <Come desidera lei, mademoiselle.>
N/A: un po' di flirt forse neppure così implicito... perché sì.
Mi piace.
Il capitolo mi è venuto fuori con naturalezza e mi sono detta "perché non metterlo? Diamo qualche gioia con un po' di ship!"
E quindi... ecco qua questo capitolo!
Però non ho nient'altro da dire, perciò... alla prossima!
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