Capitolo 21

Dall'esterno, quell'ISQ, pareva una versione revisionata del luogo dei miei esami trimestrali.
Se la struttura che ero abituata a vedere era costituita da un enorme, largo ed unico edificio a molti piani, con solo una grande finestra centrale ad ogni piano (saranno stati una decina), quello dell'ISQ era una struttura costruita da due sorta di "torri" più strette dell'unica centrale dell'ospedale (per comodità lo chiamavo così, l'edificio dei miei esami), collegate al quinto o sesto piano da un passaggio tutto in vetro ed acciaio.
L'ISQ, per farla facile, aveva la forma di un H, mentre l'ospedale di una gigantesca I.

Entrai titubante per le porte automatiche in vetro e mi diressi verso il bancone per le informazioni/dell'accoglienza, dove a lavorare c'era una donna. Era alta sul 1,60m e pareva andare verso i cinquantacinque anni. Mi fissò arrivare con la coda dell'occhio, supposi, mentre digitava sul computer qualcosa, forse cercava l'agenda del giorno.
Suppongo tuttora così, dato che non aveva la veggenza di dirmi, appena mi fossi avvicinata al bancone: <Lei è Amaya Miura, giusto?>

<Sì. Sono stata chiamata qui per una verifica fuori dall'ordinario alle 14:30... cioè fra cinque minuti scarsi.> constatai, vedendo il mio orologio digitale segnare già le 14:25, oltre già i primi 30 secondi...
<Esatto, signorina Miura. La sua visita è al quinto piano, sala 3.> rispose lei, girandosi finalmente verso di me mentre si toglieva una forcina per potersi rimettere a posto un ciuffo mezzo cascante.

<Ah, ehm... Come posso raggiungere il quinto piano, fino alla sala 3?> chiesi, dato che io lì dentro non c'ero MAI entrata.
Mi guardò scocciata, alzando gli occhi al cielo (come a dire "Ma sei ancora qui a rompere?"), per poi rispondermi: <Vada di là.> ed indicò la sua sinistra <Ci sono degli ascensori. Vada fino al quinto piano con quelli. Poi lì ci saranno dei cartelli che indicano la locazione delle diverse stanze.>

<Ah, okay. Ehm... Grazie. E buon lavoro.> augurai e mi dileguai in fretta da quella donna e quel bancone per le informazioni/dell'accoglienza.
"E che accoglienza!" mi ritrovai a pensare, mentre andavo nella direzione indicatami dalla donna e superando diverse porte riservate ai lavoratori e agli inservienti, vidi uno spazio un po' più ampio del corridoio, con tre ascensori. Uno centrale, uno a destra e uno a sinistra.
Notando che fosse l'unico non in uso, scelsi quello centrale che si aprì con un leggero ronzio. Entrai e schiacciai il bottone con su scritto 5 e, nel medesimo istante, qualcosa vibrò nella tasca della mia felpa.

Era un messaggio di BB, da QLab.
Un pochino strano, anche se non era un evento raro le nostre sporadiche conversazioni attraverso messaggio.
Il messaggio recitava "Mi sto annoiando e, invece di importunare le mie compagne di classe (che ormai non sanno come resistere al fascino della mia fantastica compagnia), parlo con te! Fantastico (oltre a me), no? Che stai facendo?"

In fretta risposi: "Vorrei parlare con te, ma non posso chattare adesso. Mi dispiace..."

"Perché no?! Che hai da fare di meglio che parlare con me? ;(" fu la sua immediata risposta.
Non me la sentivo di dirgli, subito, la verità: perciò dovevo pensare ad una scusa, e anche in fretta!
"Ho un lavoro di gruppo con dei miei compagni di classe che sono capre ignoranti casiniste e dovrò essere io, insieme ad un'altra un po' meno capra, a dirigere il tutto e far concentrare gli altri tre. Non ho tempo per massaggiare."

"Sì, dai, ci può stare come scusa!" mi dissi mentre inviavo il messaggio.

Intanto ero arrivata al piano 5 e mi affrettai ad uscire dall'ascensore, prima che qualcun altro lo richiamasse con me dentro.
Mi fermai un attimo davanti i tre ascensori, a leggere il messaggio di BB.

"Allora ti lascio andare, dato che io sono sempre la peggior capra ignorante nel gruppo (ma favoloso) e il più casinista (e anche più bello, ovvio). So bene come faccio esasperare quelli bravi ;). Allora ad un'altra volta, May."
"Ad un'altra, BB." scrissi e, mettendo in silenzioso il cellulare, lo ficcai in tasca mentre mi guardavo intorno.

"E ora dove vado?" mi chiesi, mordendomi con entrambi i canini il labbro inferiore) e osservando verso il soffitto, dove vidi due cartelli pendere giù, ben ancorati con pali di ferro.
Seguii quello che, con una freccia, indicava la direzione delle prime cinque stanze. Ogni stanza doveva essere enorme, dato che percorsi un bel po' di metri prima di arrivare all'ingresso della terza stanza.

Bussai timidamente e aprii appena sentii dentro una voce, calma, rispondere: <Avanti.> entrai chiudendo la porta dietro di me, fissando come prima cosa il favoloso pavimento di mattonelle giallo ocra.
Sono ironica, ovviamente.
La mia timidezza e il mio sentirmi a disagio in un luogo estraneo mi rendevano difficile persino alzare lo sguardo sulla persona davanti a me. E già io avevo difficoltà a fissare qualcuno negli occhi mentre parlavo: spesso e volentieri sviavo lo sguardo e fissavo un punto dietro ai miei interlocutori, ma abbastanza nella loro traiettoria.

Ho sempre avuto questo problemi di timidezza.

E nel tempo (anche adesso) mi ero chiesta più e più volte come fossi riuscita a fare certe cose in seguito. A pensarci a posteriori, dico che è un mistero della fede. O semplicemente sono come Dottor Jekyll e Mr. Hide, ma per passare da uno all'altro non ho bisogno di una pozione ed è randomico: capita e basta.

Ritornando all'ISQ... ah sì!

Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti due persone: una conosciuta e una sconosciuta. Quella conosciuta era uno dei miei dottori dell'ospedale, il "principale" e che mi seguiva da quando ho manifestato il Quirk (era stato lui a dire, dopo una veloce visita, che era saggio mettermi fin dall'inizio nella classe S+, anche se spesso si faceva qualche esame da classe S e poi si finiva in S+ se si era davvero pericolosi) e, in fondo, gli volevo bene. 

Mi aveva confortato da piccola più volte dicendo che, in fondo, ero speciale e che non c'era nulla di male nell'avere una unicità. Anche se la realtà mi aveva spesso detto il contrario, mi fidavo di lui. E, per quanto possibile, lo stimavo. Mi spingeva oltre i miei limiti, per vedere dove potevo arrivare, senza farmi mai tornare a casa con ossa rotte (anche se era capitata una volta o due che mi fossi lenita un muscolo o fossi svenuta dalla stanchezza nelle prove).
Anche se eravamo "minacce" e dei "mostri", eravamo "studiati" e allenati perché si era curiosi di vedere fin dove questi superuomini (e superdonne) potevano spingersi.

La persona sconosciuta era una donna sui trentacinque anni, capelli neri raccolti in una bassa coda di cavallo e sul davanti delle ciocche più sul castano scuro le incorniciavano il volto liscio. Degli occhi nocciola mi fissavano da capo a piedi, mentre un sorriso dolce e comprensivo le incurvava le labbra all'insù.

<Buon pomeriggio Ōta-san, come mai è qui?> chiesi, sbattendo velocemente le palpebre, stupita.
Il signor Ōta (ed ero soddisfatta di ricordarmi il suo nome perché ho avuto per tutta la mia vita una memoria pessima) mi sorrise e spiegò: <Signorina Miura, si stanno presentando questioni e si stanno suggerendo idee di cui purtroppo né io né Tanaka-san> ed indicò con un cenno della mano la donna accanto a sé, la quale mosse leggermente la mano in saluto <possiamo parlarle. Tutto quello che le importa sapere, per adesso, signorina Miura, è che lei c'entra indirettamente e abbiamo bisogno di fare dei test perché, purtroppo, quelli fatti ad aprile non vanno bene. Dobbiamo fare alcuni dei test per avere una visione a 360 gradi, tipo.>

<Che cosa intende con ciò, Ōta-san?> chiesi, non capendoci nulla.

Farmi fare tutto quello che già facevo nelle visite non era abbastanza?
Tutti i controlli da ambulatorio/ check-up non bastavano?
Tutte le corse fatte con e senza Quirk attivo nelle sue diverse forme?
Tutte le prove di resistenza, di forza e di reazione collegate al mio Quirk non erano abbastanza?!

"Vogliono pure una fetta di culo?!" mi ricordai di essermi chiesta in quel momento.
A quel punto fu Tanaka-san a prendere la parola.

Si schiarì la voce e fece: <Ōta-san mi ha spiegato in modo conciso come funziona il tuo Quirk e mi ha illustrato punto per punto tutti i test che i miei colleghi in quel complesso ma... noi qui non facciamo solo ciò. ISQ, come dovresti sapere, sta per "Istituto di Sviluppo dei Quirk" e qua vengono addestrati i dotati di Quirk che andranno a far parte dei corpi della polizia e dell'esercito. 

Qui non finiscono solo tutti quelli dell'area della prefettura di Iwate, ma anche tutti quelli della nostra regione, Tohoku, praticamente; dato che è l'unica struttura del genere in tutta la regione. Qua tendiamo a pensare che, più il corpo è sviluppato, più il Quirk dentro ha possibilità di diversa manifestazione e che, solo allora, si può iniziare a testare i due insieme; sviluppando sia il corpo che unicità. Visto che non devi diventare una soldata adesso,> "Adesso? Che cosa significa adesso?" avevo pensato in un istante di paura, continuando a seguire il suo discorso <faremo solo dei test di abilità di base, senza voler incrementare nulla, giusto per un'oretta e mezza. Tra due ore e sarai fuori, mia cara!> mi promise la donna con un sorriso, che timidamente ricambiai.

Avevo già il pessimo presagio che il giorno dopo sarei stata un ceppo di legno unico dolorante (ed estremamente rompiballe con la mia famiglia).

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Potevo dire, almeno fra me e me, dopo quell'ora e mezza di esercizi, che avevo assaggiato la dura vita di un campo militare; praticamente.
Mi ero sentita morire. Avevo pensato, più o meno a metà della "sessione" di test: "Nota per la me del futuro: MAI neanche pensare di entrare in accademia militare, se già non ci fosse ovvio!"

Vorrei tanto dire alla vecchia me che mai farà l'accademia militare e che mai entrerà a far parte dell'esercito. Ma che avrebbe fatto qualcosa di beeeeeeeeen peggio.

Fidatevi lettori (se mai ce ne saranno, chissà che cosa ne faranno di questo manoscritto che sto "scrivendo") perché non sto mentendo.
Ritornando alla povera me che, il 30 maggio del 2018, era a faticare all'ISQ...

Quando mi avevano detto di andarmi a cambiare nella stanza a destra (cui vi si accedeva con una porta in quell'ufficio stesso) mi stupii di vedere già lì una maglietta a maniche corte e sia un paio di pantaloni lunghi che un paio corti.
Anche se mi ero da poco fatta la ceretta (<Siamo a fine maggio, fra poco inizia l'estate, è meglio andarci!> mi aveva detto pochi giorni prima mia madre, subito prima di andare dall'estetista) adottai i pantaloni lunghi. 

Sarebbe stato bello avere una maglietta a manica lunga, data la mia condizione delle mie braccia (avevo detto a mia madre: <Posso aspettare ancora un po' per le braccia!> quando aveva prenotato la ceretta), però era altamente sconsigliato usare magliette a maniche lunghe durante attività fisica.

E ciò lo avevo provato in prima persona, una sola volta all'età di 12 anni.
Perciò sospirai e mi misi quella semplice maglietta bianca con gli orli delle maniche, del busto e del collo "decorati" con due strisce di azzurro.

Madre Natura oltre ad avermi dato altre spiacevoli condizioni d'esistenza (possedere un Quirk, si intende), mi aveva dato la somma sfiga di avere un casino di "peli" su tuuuuutto il corpo.

Finché si limitava ai capelli, dai, era pure comodo: non era proprio il massimo essere come quelle persone con pochi capelli di natura. Ma quando era per gambe e braccia che, in estate, categoricamente e una volta al mese o poco meno, erano da farci la ceretta... beh, volevo morire tra atroci sofferenze.

Però, beh, possiamo pure ora sorvolare su questa questione (e mi scuso se vi ho arrecato disgusto, me ne prendo colpa).
Stare a descrivere per filo e per segno tutto quello che mi aveva fatto fare, mi farebbe "tornare" il dolore alle membra che avevo subito dopo (ed in special modo il giorno dopo) in tutto il corpo.

Perciò, visto che non ho mai smesso di volermi male, ve li racconterò alla meglio delle mie capacità (anche perché, tanto, non sarà l'unica volta in questa storia che mi ridurrò in quello stato!)



N/A: chiedo scusa per il capitolo abbastanza noioso, ma... mi è uscito così.

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