Capitolo 19
Il contenuto della lettera era un foglio con il sigillo nazionale stampato in alto a destra.
Sotto al sigillo partiva il testo della lettera, che ai miei occhi sembrava essere scritta a mano con della china o comunque un inchiostro che pareva ancora appena asciutto (supposi la china perché ero conoscenza del suo lungo tempo di asciugatura, a volte).
Lessi la lettera ad alta voce: <"L'amministrazione governativa nazionale riguardo la sicurezza pubblica e civile, in collaborazione con l'Istituto dello sviluppo dei Quirk (ISQ) della prefettura di Iwate, convoca la signorina Amaya Miura a presentarsi alla sede dell'ISQ il 30 maggio alle ore 14:30 per un controllo fuori dall'ordinaria amministrazione per un test delle capacità di utilizzo del Quirk e delle abilità della stessa signorina.">
Appena finito di leggere sentii il peso delle ansie presentarsi velocemente sulle mie spalle e sospirai, appoggiando la lettera sul ripiano di marmo, vicino la TV.
<E ora quale sarà il problema?> si chiese mia madre a voce alta, sospirando.
La guardai con una smorfia che trasmetteva "Abbi pietà di me", accompagnato dal mio mugugno: <Ora non voglio pensarci. Domani ne riparliamo, tanto è a tra più di un mese, no?> e volsi lo sguardo verso il calendario appeso sul muro opposto alla porta, stranamente già messo su maggio.
Il 30 maggio era un venerdì, da quanto potevo constatare.
<Visto che è un venerdì puoi rimanere giù, mangiare da qualche parte e poi prendere un bus per avvicinarti alla sede dell'istituto, no?> chiese mio padre.
<Mi dovrò preparare un secondo zainetto dove mettere la solita roba per le visite e controllare i bus. O ne prendo uno qualsiasi che passa di lì, arrivo e scendo, mangio e poi vado, oppure prima mangio e poi prendo un bus per il fuori; anche se è più rischiosa questa opzione.> soppesai, mentre almeno mi slacciavo il cappotto primaverile.
<Vai pure a cambiarti Amaya, a quello ci pensiamo più avanti; comunque lo segno.> e mia madre prese una penna da un portapenne accanto alla TV e scrisse sul 30 maggio "Visita ISQ, 14:30, Iwate".
Presi la lettera e mi diressi in camera e mi cambiai, con la mente e il corpo stanchi. Io ero davvero stanca.
Stanca di tutti i problemi con Asami, stanca delle mie scarse interazioni sociali che al Karma parevano troppe, stanca dei pregiudicati che sempre perfino nel corridoio di scuola mi fissavano male, stanca di delle mie compagne che ridacchiavano (forse con malizia) di qualsiasi cosa facessi, stanca di visite su visite per il mio Quirk, stanca del mio stesso Quirk, stanca di un mondo che mi odiava e mi riteneva un serio pericolo pubblico...
Ero stanca quasi perfino di me stessa.
Insomma, per farla breve ero stanca di tutto e di tutti da anni e ogni tanto cadevo in quella stanchezza profonda e perpetua che mi supplicava di essere placata, ma in un modo a me sconosciuto. E allora la stanchezza si mischiava alla frustrazione: sapere di avere un problema da sempre ma senza averne una soluzione che eri certo che mai sarebbe arrivata non era per nulla una consapevolezza piacevole.
Scossi la testa, buttando per l'ennesima volta quella stanchezza perenne in un angolo della mente e imponendo al mio corpo reattività.
Con addosso un pigiama a dir poco infantile ed imbarazzante, mi diressi in cucina e mi sedetti senza minima voglia di vivere al mio posto, con in mano telefono ed auricolari.
Durante la settimana scolastica, pranzavo o da sola o solo con mio padre e perciò mi concedevo di usare il telefono a tavola, facendo diventare il telefono una TV e Youtube l'insieme dei canali televisivi. E quel giorno non era da meno.
Eppure non potevo sapere che di lì a non troppo, avrei dato il via ad una serie di eventi complicata, nel suo insieme: alcuni momenti sarebbero stati felici, altri pieni di stupore, altri ricolmi di rabbia, alcuni strabordanti di tristezza...
Ma io ero, logicamente, inconscia di tutto ciò e mangiavo tranquilla al tavolo di casa mia.
[...]
<Secondo me la professoressa di diritto è un po' schizzata...> sospirò Inoue, dopo un'ora passata a far lezione con la prof in questione.
<Ah sì? E da cosa lo diresti, signor Ovvio? Sono curiosa...> lo presi in giro e lui, fingendo di lisciarsi una qualche lunga barba (finta), rifletté: <Dico che lei è da manicomio dal fatto che ha dato una nota a Kouno solo perché stava un attimo sbadigliando, stanco dopo due ore con la professoressa Yigami e quella lì di scienze umane...>
<La Hegear> precisai e lui, annuendo, aggiunse svogliato: <Sì, sì. Hegear.>
Poi si stiracchiò e si dondolò con la sedia un attimo, per poi fissarmi un attimo divertito, per poi esasperarsi leggermente: <Comunque, tornando all'argomento principale, bisognerebbe dire tutto ciò alla coordinatrice! Quella pazza non può continuare a fare così!>
<Allora chiamiamo la polizia o l'ambulanza e diciamo che abbiamo una donna da TSO.> scherzai io ma lui mi guardò perplesso e fece: <TSO?>.
Mi diedi una sonora manata in fronte davanti la sua ignoranza, scostando subito la mano per passare, massaggiando, i polpastrelli sulla fronte, dato che avevo fatto troppo forte.
Lui trattenne (molto male) una risata e fece: <La prof sarà pure da questo TSO, ma tu avresti bisogno di imparare ad essere meno impedita!>. Lo guardai di traverso e borbottai: <Non pensi che abbia provato nei miei quasi 15 anni di vita a migliorare questo fatto? Questo è il risultato> e mi indicai.
<Devi lavorarci ancora un po' su> ghignò, divertito. Una piccola occhiata stizzita da parte mia lo portò a trasformare quel ghignetto in un piccolo vero sorriso (i suoi sorrisi reali erano rari, l'avevo capito, ed erano davvero belli, seppur lievi).
<Comunque TSO significa "Trattamento Sanitario Obbligatorio" ed è quando, praticamente, sei una specie di pazzo e ti portano in qualche "manicomio", che tu lo voglia o meno.> spiegai, ruotando gli occhi. <Grazie per aver elargito questa perla di saggezza con me, somma regina> e fece un reverenziale inchino da seduto. Io risi e commentai: <Sai che significa "elargire"?>
<Ovvio che lo so!> ribatté lui, mentre sul suo viso si dipingeva il disappunto per le mie parole e io ridacchiai più forte, proprio un attimo prima che la prof d'inglese arrivasse con i suoi soliti cinque minuti di ritardo ed imponesse con la sua severità: <Silent, please!>.
Shinichi la scimmiotò discretamente ed io, a metà fra il contrariato e il divertito, espirai esasperata ma con un visibile sorriso sulle labbra, che lui ricambiò sinceramente (yeee, faccio progressi!).
Inoue si era aperto solamente con me; infatti con tutti gli altri nella nostra classe era abbastanza freddo e scostante, soprattutto ai tentativi di approccio troppo intimi di molte mie compagne, specialmente a quelli di Yumi.
E io mi divertivo troppo ad entrare la mattina, con il cervello ancora mezzo addormentato, e vedere come Shinichi guardava a metà tra il scettico e il seccato quella smorfiosa che gli stava appiccicato e parlava a vanvera di tutte le sue fortune. Quando entravo e Shinichi mi vedeva, alzava gli occhi al soffitto e ringraziava gli dei, si scostava da Yumi con una cazzata e veniva da me per salutarmi (e salvarlo da lei, cosa che facevo ben volentieri).
Inoltre io, dall'ultima settimana, avevo preso ad abbracciarlo quando entravo.
Questo non aveva solo che fatto aumentare le frecciatine nella nostra classe ma a me, francamente, non stava importando più di tanto (per una sacrosanta volta!).
Shinichi era un mio caro amico e se volevo dimostrargli il mio affetto con un grande abbraccio non vedevo il perché di non farlo per via di qualche battutina maliziosa o meno di mie compagne.
E poi era bello abbracciarlo. Con la sua altezza abbastanza modesta, come la corporatura, era più che semplice abbracciarlo e (spesso) sollevarlo. La prima volta che l'avevo sollevato aveva gridato contrariato e, una volta rimesso giù con io che ridevo, si era sentita Toshiko ridacchiare dall'altro lato della classe e commentare a voce alta, per farsi sentire da noi: <Ora che sei suo amico ti ci devi abituare.> e si era avvicinata guardandomi esasperata, ma come farebbe una madre, divertita dal comportamento del figlio.
<Lo fa con chiunque a cui voglia bene, quindi ritieniti fortunato.> aggiunse ed io la abbracciai e commentai: <Gelosa?> prima di sollevarla un attimo.
Ribatté debolmente in protesta, ormai arresa al fatto che io fossi così, e, appena mi staccai da lei, sospirò: <No. Stavo solo avvertendo il povero Inoue-kun qui presente della realtà.>.
Lui, più freddo data la presenza di Toshiko, ribatté scrollando le spalle: <Farò in modo che la smetta.>
<Contaci...> avevo riso io.
E, per metà persa nei miei pensieri e per metà ad ascoltare le lezioni di inglese e poi matematica, arrivò la fine della sesta ora.
<Andiamo, che mia madre ci starà aspettando!> mi sollecitò Inoue mentre io finivo di mettere a posto la roba.
Quel giorno era il 30 maggio e avrei dovuto fare la visita a quel ISQ o come diavolo fosse in sigla. Ne avevo parlato a caso con Inoue una settimana prima, lui mi aveva detto che quel giorno aveva da fare delle commissioni nella stessa area con la madre, con cui avrebbe mangiato in un bar/ locale da cibo veloce, e mi aveva chiesto se volessi un passaggio.
Stavamo parlando via Whatsapp verso cena ed era stato semplice per me chiederlo immediatamente a mia madre, in cucina, e successivamente dire ad Inoue che andava bene (e che, anzi, ero in debito con lui).
Mi misi lo zaino in spalla ed uscimmo dalla classe, insieme a tutti gli altri, scendendo gli scalini insieme all'afflusso delle persone del secondo e terzo piano.
Ah, è vero, ci avevano spostati in una classe in un piano sotto per un motivo che non avevo capito ma che, sinceramente, non mi interessava.
Il problema era solo che per le solite macchinette (se mai ci andavo) erano di sopra e insieme ad Asami salivo per passare la ricreazione con Masa o mi mettevo in un angolino con Shinichi a chiacchierare.
Non mi sembrava una buona idea metterli tutti e tre insieme e pure Shinichi era stato restio fin dal mio primo tentativo di parlarne (e non lo biasimavo per la sua decisione).
<Amaya, è oggi che devi andare a fare una visita extra?> mi chiese Asami, mettendosi fra me ed Inoue, spintonando Shinichi via un pochino.
Vidi Shinichi spalancare gli occhi un attimo stupito prima di diventare neutrale e fissare gelido la mia mia migliore amica, senza che questa potesse vederlo.
<Asami... sta attenta la prossima volta.> la rimproverai senza rabbia.
Lei ruotò gli occhi e borbottò un: <Se se...> per poi aggiungere <Allora, è oggi il giorno della visita?>
<Sì, ma perché ti interessa? Tu mica vai al coro della scuola in sede con Masa?> chiesi io.
<L'hanno annullato e Masa oggi non può venire da me a casa perché ha degli allenamenti di atletica abbastanza presto e non può mancare, altrimenti l'allenatore la cazzia.> rispose, per poi sospirare: <Oggi sono da sola!>
<Ma non è vero! Forse vedi pure Sakura alla fermata se hai fortuna, e poi ci sono sempre Toshiko e Tsukiko se vuoi della compagnia!> ribattei io.
Oramai eravamo giù per le gradinate e costrinsi, sotto piccola occhiataccia di Inoue, a fare il giro lungo; uscendo dall'ingresso per il parcheggio fuori l'ingresso (utilizzato da noi del secondo e terzo piano dello scienze umane), invece di usare il sottopassaggio, più vicino a dove ci aspettava la madre di Shinichi.
<Ma io volevo stare con te! Ti dovevo parlare!> ribatté lei.
<Mi puoi sempre chiamare questa sera via Whatsapp, no? E poi, per una volta che sei costretta tu a stare da sola per il viaggio, non fare la vittima, Asami!> e ridacchiai, dato che non lo stavo dicendo con cattiveria. Ma con ogni probabilità lei lo prese per tale e si allontanò impettita, andando per la strada più comoda per arrivare alla fermata del bus. Noi andammo nella direzione opposta e, con Shinichi che fissava Asami allontanarsi con la coda dell'occhio, fece: <Non la capisco proprio quella lì. Lei può tranquillamente non esserci e tu non ti devi categoricamente lamentare mai "perché è giusto che ognuno abbia i propri spazi e le proprie amicizie", ma se tu un attimo ti distacchi e devi non esserci per una diamine di volta e per una cosa importante che va ben oltre te, fa l'offesa.>
Lo guardai leggermente storto per poi sospirare: era libero di pensarla come voleva su Asami; di sicuro non potevo imporgli io qualcosa.
<So anch'io che Asami può parere un bel mistero, a prima occhiata, e lo è sul serio anche se un pochino la conosco. Però io le voglio bene e accetto questi suoi strani comportamenti perché appunto le voglio bene così com'è.> risposi, calma.
Ci dirigemmo verso un'auto già in moto, uguale a proprio come me l'aveva descritta: un SUV compatto di color grigio ferro, modello della Suzuki.
<Secondo me ti tratta male. Sei una persona davvero buona, che difficilmente si arrabbia, e lei ne abusa. Poi odio il modo vomitevole in cui fa sempre la dolce anche con chi è palese che odi. Tipo con Yumi, con cui alcune volte prova ad essere tutta dolce e gentile, ma si vede sul suo volto il disgusto che nutre per lei.> sputò fuori acido Shinichi.
Gli misi una mano, dolcemente, sull'avambraccio (abbastanza vicino al polso) e dissi dolce: <Capisco che i suoi comportamenti siano strani, ipocriti e/o falsi a volte e che spesso e volentieri pare avere mille personalità, impedendoti di capire a quale credere... ma se la conoscessi bene sapresti il perché di tutto ciò e lo accetteresti, come me.>
Mi guardò con un leggero sorriso, quasi mesto (perché?), e sospirò: <Ma io non voglio essere così sua amica, non mi piacciono le persone come lei. E, anche se sapessi tutto di lei, probabilmente continuerei a criticarla perché probabilmente solo tu sei così buona da lasciarti scivolare addosso comportamenti del genere senza pretendere. E questo mi da sui nervi: non è giusto che tu difenda e stia pure male per lei...>
Alle sue parole rimasi muta, abbastanza scioccata, mentre lui apriva la portiera posteriore dell'auto e salutava la madre, sedendosi dall'altro lato dell'auto da dove era entrato. Entrai anch'io, timorosa, sedendomi, chiudendo lo sportello ed allacciandomi la cintura, tenendo lo zaino stretto a me. Avevo fatto tutto in un gesto involontario, dato che ero abituata a fare così sulla mia auto, specialmente quando andavo alle elementari/medie del mio paese.
<Tu devi essere Amaya Miura, giusto?> chiese la donna alla guida, voltandosi verso di me. Aveva i capelli lisci, di colore castano scuro e gli occhi nocciola, cioè quasi ambrati con sfumature verdi.
Ok, deciso, adoravo gli occhi anche della madre di Shinichi.
<Sì, sono io.> mi presentai, sorridendo impacciata.
La donna mise in moto e partimmo.
N/A: Amaya alle prese con due tizi abbastanza gelosi e lei non ci capisce un cazzo -ma quando mai un protagonista di una storia è davvero furbo?-.
E va beh, c'est la vie! (de merde, mais vie est toujours!)*
P.S.: traduzione per chi non sappia un acca di francese (o che, come me, non ricorda un cazzo -infatti ho usato il traduttore-): "è la vita (di merda, ma vita è sempre!)"
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