Capitolo 14
Per adesso, mi dilungherò solo su certi aspetti sugli esami del Quirk, anche perché poi avrò tutto il tempo del mondo per spiegarli, ma qualche piccola cosa mi pareva giusta dirla adesso. Per esempio, prima di tutto, mi facevano sempre prelievi del sangue per controllare i parametri del colesterolo, della glicemia, della presenza di vitamine e ferro nel mio corpo e tutto ciò che si poteva rilevare analizzando solamente il sangue.
Cose come la spirometria, l'elettrocardiogramma e compagnia briscola servivano per controllare il mio stato di salute a livello cardiaco-respiratorio. Dicevano sempre che avevo un'ottima circolazione, che il mio battito cardiaco, con i battiti al minuto che faceva, e combinato alla grande quantità di ossigeno che i miei polmoni tranquillamente immettevano, mi davano una grande resistenza; che provavo lì ai controlli.
E quando chiesi, da più piccola, il perché fuori da lì fossi totalmente negata in attività fisica, mi avevano detto che era comune, soprattutto con Quirk come il mio che non andava ad influire direttamente i muscoli e la conformazione fisica.
Spiego meglio adesso.
Il Quirk (o almeno così era ai miei tempi) si manifesta in persone con mutazione genetica e, per prima volta, come una capacità latente, che si mostra in caso di necessità o (raramente) pura casualità. Negli anni questa capacità si impara a controllarla come proprio potere e la si fa passare da "potere latente ed instabile" a "potere effettivo e controllabile".
Però i possedenti di Quirk hanno, per forza di modi, anche capacità motorie e resistenza sopra alla media, legate ovviamente ai geni mutati. Anche questo, però, è un fatto latente, e solitamente manifestato in concomitanza con l'unicità. È molto difficile manifestare le capacità motorie "superiori" senza Quirk anche perché sarebbe come voler separare, mentre si respira, ossigeno ed anidride carbonica. Possiamo solo immettere entrambi, punto e basta.
Si forma un'eccezione nel manifestare abilità motorie elevate nelle persone con Quirk che massivamente influenzano muscoli e struttura fisica già di base. Per esempio, uno con un Quirk della super velocità, sarà molto probabilmente veloce a correre anche senza il suo potere se la mutazione ha influenzato molto i muscoli delle gambe. Puta caso fosse così, questa velocità c'è in parte anche senza Quirk.
Io, però, non facevo parte di quell'eccezione e perciò, come molti nella vita comune, avevo in molti campi motori prestazioni mediocri (nel mio caso, era meglio dire pessime prestazioni).
Un'altra cosa riguardante gli esami, più che altro riguardante me e a livello tecnico, era quello degli occhiali, che io per gli esami non indossavo. Mi mettevano loro delle lenti a contatto fin da quando il problema della vista era iniziato ad essere un grande elemento di influenza negativa nelle prove (e cioè dalla quarta elementare) e che sempre loro mi toglievano. Anche se dall'estate passata avevo comprato delle lenti a contatto che raramente usavo, i medici mi facevano indossare solo le loro perché erano "perfette" per i miei decimi mancanti.
E io non me ne lamentavo, perché davvero ci vedevo bene (però non me ne davano neppure un paio da usare in giro... Quella era una nota che mi lasciava con il leggero amaro in bocca).
Comunque, ritornando a noi, quella mattina di aprile procedette stancante come al solito fino a che, verso l'una, un richiamo acustico (terribilmente simile alla campanella scolastica) suonò, segnando l'inizio del pranzo.
Un ragazzino sui 12 anni mi salutò con un cenno del capo prima di uscire dalla stanza con un borsone in spalla.
"Spero che BB mi tenga un posto in sala da pranzo..." pensai mentre davo una veloce asciugata al leggero sudore che mi imperlava la fronte. Quel ragazzino era l'altro con cui "condividevo" la stanza di esami, e facevamo "a turni". Facevano certi controlli a me, poi passavano a lui, poi tornavano a me e avanti con il ciclo perpetuo...
Ovviamente nessuno dei due vedeva l'esame altrui.
Cosa più che giusta.
Il Quirk, tutti noi possedenti, lo consideriamo una cosa privata, che spieghiamo per bene a qualcuno solo quando ci sentiamo molto in sintonia e fiduciosi dell'altro. Era perciò logico che tutti noi fossimo d'accordo con la privacy voluta dai medici fin dall'inizio riguardo gli esami.
Dopo qualche minuto, in cui mi tolsi i vestiti da tuta e rimisi quelli con cui ero venuta, uscii dalla stanza. Per arrivare alla mensa, mi lasciai guidare dal leggero vociare che pervadeva la sala ogni volta. Era un rumore che si sentiva anche da lontano e, con la fame a farmi brontolare lo stomaco e lo zaino a pendolarmi sulla schiena (perché tenuto con solo una spalla), seguii il brusio che si fece sempre più forte.
<MAYYYYY!> mi chiamò BB, sbracciandosi e indicando il posto vicino a lui occupato dal suo zaino. Lo raggiunsi e lui spostò il suo zaino. Sprofondai sulla sedia di plastica azzurrina, togliendomi lo zaino dalla spalla e trovando il mio bento solo dopo aver rovistato per tutto l'interno dello zaino alla cieca. Estrassi una bottiglietta d'acqua frizzante dal lato sinistro, dalla taschina esterna.
<Chi te l'ha fatto il bento?> chiese BB, mentre addentava un panino. Ne aveva altri due sul tavolo avvolti nella carta stagnola.
<Da me. Mi piace prepararmi qualcosa di buono, per quanto semplice sia, quando vengo qui, piuttosto che solo dei semplici panini. Ovviamente ho anche due piccoli tramezzini, non mento.>
Aprii il bento. Con le bacchette riposte in uno scomparto apposta, presi un onigiri. Era una delle poche cose che sapevo fare.
<Posso rubarti un "polipetto"?> ed indicò il piccolo contenitore coi wurstel tagliati da sembrare delle piovre.
<Dipende... cosa c'è dentro il tuo panino?> chiesi, adocchiando il suo pranzo.
<Questo ha dentro straccetti di pollo e maionese.> spiegò.
<Un morsetto, un polipetto.> proposi, passandogli con le bacchette il polipetto. Non ci pensò su due volte e, con le dita, lo afferrò mangiandolo e strappandomi poi un piccolo pezzo dal suo panino. Lo mangiai subito.
<È un piacere fare affari con te.> commentò BB e passammo il pranzo in serenità.
[...]
Una campanella suonò e mi fiondai negli spogliatoi lì vicino a cambiarmi e a darmi una veloce lavata. A casa mi sarei serenamente goduta una doccia calda, probabilmente portandomi uno sgabello perché secondo me rischiavo di addormentarmi sotto il getto bollente dell'acqua, altamente rilassante dopo una faticosa giornata.
Uscii dagli spogliatoi quando ancora metà delle ragazze erano dentro e, a passo svelto, mi diressi verso l'uscita; aiutata enormemente dai cartelli direzionali che ad ogni svolta apparivano sulle pareti.
Proprio a prova di deficiente con senso dell'orientamento pari ad un sasso.
L'aria frizzante notturna mi colpì in pieno viso. Erano 21.20 e di lì a venti minuti il bus sarebbe passato alla mia fermata. Tirai fuori il telefono ed avvisai mia madre che ero appena uscita. Come al solito le ricordai che verso le 23.00 sarei arrivata alla fermata e di chiamarmi, per evenienza, alle 22.50.
<Alla prossima, May.> mi salutò BB, andando verso la sua fermata.
<Ti ricordo che abbiamo QLab!> feci a mo' di saluto e mi affrettai, con la musica con le orecchie, verso il bus. Quasi spaccando il secondo, il bus arrivò e io salii sui posti anteriori, abbandonandomi alla stanchezza. Il mio cervello e soprattutto il mio corpo erano distrutti. Ebbi la forza di mettere una sveglia per le 22.40 e, mentre ci allontanavamo dall'edificio, la stanchezza mi travolse e mi addormentai con la musica nelle orecchie.
[...]
"BEWARE, BEWARE, BE SKEPTICAL;
OF THEIR SMILES, THEIR SMILES OF PLATED GOLD.
DECEIT SO NATURAL
BUT A WOLF IN A SHEEP'S CLOTHING IS MORE THAN A WARNING!" e con questa prima strofa a bombardarmi le orecchie sobbalzai, lanciando un stridulo e breve: <Ma che ca...volo?!> ricordandomi infine dove fossi.
Tutti gli sguardi erano su di me.
"Ben fatto May, ben fatto sul serio. Figura peggiore non la potevamo fare..." mi dissi, mentre facevo smettere alla sigla della mia sveglia di perforarmi le orecchie. Ironia della sorte; facendo partire di nuovo la musica della playlist (interrotta a causa della sveglia preimpostata), ripartì proprio quel brano, partendo praticamente da dove lo avevo zittito qualche attimo prima. E sulle note di quella "mite" canzone, mitigai il mio rossore causato dalla figuraccia fatta.
Mia madre mi chiamò poco dopo e le dissi che ero quasi a casa e di venirmi a prendere alla fermata. Anche se quest'ultima distava solo dieci minuti scarsi da casa, i miei avevano paura a lasciarmi da sola; e un po' capivo. Comunque costeggiavo la strada chiamata "La provinciale" perché era la strada più importante di tutta la provincia. Ed erano sempre le 23.00, io ero solo una ragazza di 15 anni e, anche se con un Quirk attivabile in caso di autodifesa, ero comunque "una contro la notte", una battaglia piuttosto impari. E poi, ehi, a me andava bene. Anche solo qualche minuto in meno di camminata dopo gli esami dell'unicità erano una grazia; certe volte.
Scesa dal bus vidi mia madre in auto, parcheggiata dall'altro lato della strada. Aprii la portiera sotto il suo sguardo sollevato. Salii e mi misi subito la cintura, come di prassi.
<Com'è andata la giornata?> chiese mia madre dandomi la borsa (strano che ce l'avesse per un viaggio così breve, ma sorvolai). Odiava averla in mezzo quando guidava e la metteva sempre sul sedile accanto a sé e, quando c'era uno della famiglia, la dava a quello. Quando ancora andavo e tornavo da scuola scarrozzata da lei era abituale quella situazione (quasi di rito) e, quando capitava ancora a partire dalla prima superiore, mi sembrava di ritornare più piccola.
Lo riconoscevo anche al tempo che era stupido... ma era una di quelle piccole cose della routine di medie ed elementari che non scordai mai. Estrassi le chiavi per aprire il cancello automatico e risposi: <È andata. I risultati dovrebbero arrivare via mail sia a voi due, che a me, che agli archivi statali ed ospedalieri centrali entro questo fine settimana.>
<Ok...> fece in assenso. Anche quella frase, purtroppo, era abitudinaria e me la trascinavo dietro da una vita. Ovviamente i miei genitori ed io venivamo informati dei risultati (e grazie al cazzo, era anche naturale), ma non solo noi. Pure gli archivi statali, casomai ci fossero note importanti da fare all'anagrafe e per tenere tutti i "progressi" nel fascicolo con su il mio nome nel reparto "Controllo ed analisi Quirk".
Gli archivi ospedalieri centrali, invece, erano gli archivi degli ospedali di tutto il Giappone, specializzati nella cura di problemi causati direttamente (ferite) od indirettamente (patologie evolutosi con il Quirk) di tutti i Quirk registrati in Giappone. Anche loro avevano i miei risultati; puta caso un giorno creassi un guaio bello grosso e ci fosse bisogno di intervenire tempestivamente, avrebbero tutta la spiegazione di tutti gli effetti possibili e non del mio potere.
Arrivammo davanti il cancello ed, entrati, dissi prima di scendere dall'auto: <Io mi faccio la doccia, ok?> e mia madre annuì, raccomandandosi: <Cerca di non far troppo rumore che noi ci mettiamo a dormire...> ed io acconsentii col capo, sbuffando. Misericordia, me lo ripeteva ogni volta. Lo sapevo, mica ero così dura di comprendonio! E poi non si erano mai lamentati, quindi sapevo esattamente come comportarmi.
Saliti in casa, mia madre mi diede un bacio sulla guancia che ricambiai ed augurandole buona notte, mi diressi verso camera mia. Svuotai lo zaino, misi tutto dove era giusto che stesse e finalmente mi preparai per il bagno. Ovviamente la tortura di dovermi pettinare i capelli non me la risparmiava nessuno. Avendo i capelli ricci, di un tipo abbastanza disordinato e confuso (io dicevo di avere un cespuglio o un nido di rondini in testa), lavarli tutti pieni di nodi non era proprio da persona furba. E ovviamente pettinarli era un supplizio, mentre cercavo di debellare tutti i nodi. Finito con questo ingrato lavoro, ritrovandomi in quel momento non più un cespuglio ma un puff di capelli, mi diressi verso il bagno. Con l'acqua sulla temperatura "scaldata direttamente da geyser islandesi", mi fiondai nella doccia e ci rimasi per la mia solita mezz'ora. Beh, me la prendevo abbastanza comoda sotto la doccia.
Finita, mi misi la mia tenuta casalinga/pigiama terribilmente infantile e mi misi a letto con i capelli sparsi su tutto il cuscino, ancora umidi e che stavano iniziando a prendere la solita forma a molla riccioluta.
Stremata dalla lunga giornata, mi addormentai.
N/A: nulla da dire se non...
O mio dio quanto sono carini!
/(=✪ x ✪=)\
Ovviamente realizzati dalla ragazza laureata con master in Gacha Life ChiaraGarofalo20.
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