Capitolo 1
New York, 7:30 del mattino. Fuori pioveva a dirotto e le previsioni avevano annunciato maltempo per tutto il giorno. Sara sarebbe rimasta volentieri a letto, ma il fastidioso suono della sua vecchia sveglia le ricordò che un nuovo giorno stava per iniziare.
«Spegni quel maledetto aggeggio...» disse una voce maschile ancora impastata dal sonno, «perché non ti decidi a buttarla.»
«Non ci penso nemmeno! E poi...» Lasciò per un momento la frase in sospeso per assumere un'espressione piena di malizia, «lo sai che sono un'amante delle cose vecchie.» Concluse avvicinandosi alle labbra dell'uomo che le dormiva accanto.
«Dovrei ritenermi offeso per quello che hai detto» si scostò le lenzuola di dosso, « ma sono così pazzo di te.»
Erano già passati sei mesi dalla loro prima volta. La storia più lunga che Sara avesse mai avuto, ma anche la più inaspettata. Di sicuro non era nei piani iniziare una relazione con un uomo più grande di lei: li dividevano vent'anni.
Per Sara l'età non era mai stata un problema. Steve non aveva nulla da invidiare ai coetanei della ragazza. Ormai prossimo ai cinquant'anni, possedeva il classico fascino dell'uomo maturo: capelli brizzolati, qualche ruga d'espressione e due occhi che facevano rabbrividire l'oceano.
«Sei così dolce quando ti perdi nei tuoi pensieri.» La vide distogliere lo sguardo perso nel vuoto, prima di incrociare nuovamente quegli occhi verde smeraldo.
Succedeva sempre così quando Steve la teneva stretta a sé: le sue braccia forti e rassicuranti le facevano perdere il controllo.
Sara accennò un sorriso prima di rispondere:«Ti ricordi ancora il nostro primo incontro?»
Steve chinò leggermente il capo e le scostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso: «Come potrei dimenticarlo. Avevo ordinato un caffè lungo e invece mi servirono un grande tazza di cioccolata calda con panna.» Al ricordo di quel buffo incidente entrambi scoppiarono a ridere di gusto. «Alzai lo sguardo dal tavolo per fermare una cameriera. Avevano confuso le nostre ordinazioni e fu allora che ti vidi.»
Steve non glielo avrebbe mai confidato, ma, prima che i dipendenti della caffetteria sbagliassero le ordinazioni, l'aveva già notata.
Nel turbinio di gente che quel giorno affollava la caffetteria, Sara per Steve fu come un fulmine a ciel sereno: giovane, alta, snella e con dei lunghi capelli che le cadevano morbidi sul seno eretto. Occhi grandi e labbra carnose. Sedeva sola al tavolo e nulla della sua persona o dei gioielli lasciava intendere un cuore già impegnato.
Con la testa poggiata al petto di lui, Sara rimase ad ascoltarlo incantata; la mano dell'uomo scivolava lentamente lungo il braccio della ragazza per poi tornare su fino alla spalla. Adorava sentire la sua pelle vellutata sotto le dita; gli faceva apprezzare ancora di più i loro incontri clandestini, una consuetudine a cui entrambi non venivano mai meno.
Sfortunatamente, la suoneria del telefono mise fine a quell'intesa.
«Oh merda!» Bastò uno sguardo sul display per farlo balzare fuori dal letto. «È mia moglie. Devo rispondere assolutamente.»
Non fece nemmeno in tempo a terminare la frase, che aveva già iniziato a parlare con lei, inventando le solite scuse che Sara conosceva ormai a memoria.
Restò a guardarlo per qualche secondo mentre gesticolava al telefono.
Era strano, ma nonostante avesse dei sensi di colpa nei confronti della moglie, a Sara piaceva che Steve mettesse in discussione le sue scelte, il vedersi di nascosto, il fare l'amore pregustando già il prossimo incontro, ma più di tutto, sentirsi libera di essere se stessa e condurre la vita lontana dalle pressioni di un normale rapporto.
Sapeva che non sarebbe stata una chiamata veloce. Steve aveva trascorso l'intera notte con lei ed era stato irreperibile per tutto quel tempo. Quell'improvvisa telefonata ne era solo la conseguenza.
Senza dar troppo peso agli abiti sparsi ovunque per la stanza, Sara si tolse le lenzuola di dosso e allungò una mano a terra, indossò la prima cosa che le capitò a tiro: una maglietta di Steve lasciata lì a giacere, mentre consumavano la loro passione.
Steve la osservò dirigersi verso l'armadio per scegliere i vestiti: la maglia le cadeva morbida lungo i fianchi, lasciando scoperte le gambe sinuose. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non saltarle addosso e rimanere concentrato sulle risposte da dare alla moglie; una cosa non facile.
Sara era una ragazza davvero sexy, soprattutto quando raccoglieva i capelli in uno chignon disordinato. Mentre stava per lasciare la stanza, a Steve sembrò quasi di avvertirne l'odore: profumavano di mango e papaya.
Fu proprio quel profumo inaspettatamente diverso ad attirarlo. Quando si accomodò al tavolo per conoscerla, sollevò alcune ciocche di capelli che in un gesto così naturale in una donna, evocarono le prime note di una esotica fragranza, un'oasi nel paradiso terrestre. Sì presentò come un battito d'ali, troppo breve per esserne soddisfatto. Quella calda fragranza, carica di promesse, era come un frutto ricco di succo, pronto da mordere.
Sara chiuse la porta della camera alla sue spalle: non aveva intenzione di udire quella conversazione, non di prima mattina. Necessitava di qualcosa che l'aiutasse a carburare e l'idea di una doccia calda era proprio quello che le serviva.
Attraversò il soggiorno che comunicava con il bagno. L'ordine non faceva da padrone nel piccolo monolocale, ma certamente non mancava di creatività. C'erano libri di ricette un po' dappertutto insieme ad alcuni cataloghi di vestiti. Non era un appassionata di moda, ma come la maggior parte delle ragazze amava lo shopping, specialmente quello online. I colori vivaci erano il tema predominante di tutto l'appartamento, oltre alla passione più che evidente per i dolci: lo dimostravano i vari utensili e oggetti che arredavano la casa.
Uno in particolare veniva custodito con gelosia. Riposto sul ripiano più alto della credenza in cucina, c'era un tegame in rame; l'unico ricordo della nonna materna. Anche se Sara era troppo piccola per averne memoria, la madre le raccontava spesso degli aneddoti divertenti: tra i suoi preferiti, c'era quello in cui prendeva il manico del pentolino e sé lo adagiava sulla testa come copricapo.
Poco prima che se ne andasse, la donna consegnò alla figlia quel tegame, con la promessa che sarebbe passato a Sara, una volta che avrebbe raggiunto l'età per comprendere il significato di quel dono. Tutt'ora le capitava di aprire l'anta della dispensa e contemplarlo. Cosa aveva di così speciale da dover essere tramandato? Sara non sapeva spiegarselo.
Tutto questo serviva a distogliere l'attenzione dalle pareti bianche ormai sbiadite, dalle tubature difettose e dai vicini chiassosi.
Sara nel frattempo aveva preparato anche la colazione: caffè, succo d'arancia, pane tostato con burro e marmellata e i suoi immancabili pancakes.
Il profumo di quella delizia parve inebriare la casa con la sua dolcezza. Steve scostò il telefono dall'orecchio per respirarlo a pieni polmoni: sentì il corpo pervadersi di calore e per un momento si dimenticò perfino di essere al telefono con la moglie.
Passarono quasi quaranta minuti prima che la telefonata terminasse. Giunta a termine, si diresse finalmente in cucina dove rimase colpito ma anche divertito da ciò che aveva davanti. Intanto che finiva di servire la colazione, Sara era intenta a improvvisare e reinventare alcuni passi di salsa. Accompagnata da un motivetto tutto suo, ancheggiava a ritmo il bacino.
Un'espressione di spensieratezza si dipinse sul volto dell'uomo.
«Scusami se ci ho messo tanto.» Le arrivò dietro le spalle facendola quasi sobbalzare per la sorpresa.
«Non ti ho sentito arrivare.» Tentò di mascherare l'imbarazzo posando le ultime pietanze sul tavolo.
Steve le cinse le braccia intorno ai fianchi e osservò la gustosa colazione.
Un inconfondibile profumo di muschio bianco attivò l'olfatto di Sara. Se la stretta che aveva su di lei non era sufficiente a farla eccitare, ci avrebbe pensato il suo dopobarba: lo portava sempre con sé durante i viaggi.
«Non mi starai viziando un po' troppo?» La voce era calma, profonda, con leggero timbro rauco.
Senza staccarsi dalla ragazza, si versò una tazza di caffè, prima di dare un rapido sguardo al suo orologio da polso: un Rolex in acciaio e oro, con un quadrante blu per mettere in risalto i suoi occhi. L'unico regalo della moglie che Sara gli avesse mai visto sfoggiare con tanto orgoglio.
«Almeno per una volta potresti fare colazione insieme a me?» Tentò di persuaderlo stampandogli un bacio sulle labbra.
«Credimi, farei molto più di questo», e quella non era solo una semplice affermazione; era una promessa. «Ma stasera i miei ragazzi disputeranno una partita molto importante e io devo essere pronto.» Sorseggiò a malapena il caffè, prima di sottrarsi alle seducenti attenzioni della sua amante.
Da ex giocatore di basket quale era stato non aveva perso l'abitudine di allenarsi costantemente, e sebbene il matrimonio con Maggie fosse da lungo tempo solo d'apparenza, doveva a lei la prestigiosa carriera di allenatore.
Al tempo non possedeva nulla, se non il fascino e la passione per il basket. Entrambi giovanissimi, si conobbero per puro caso a una delle tante feste organizzate dai campus universitari. Un incontro che cambiò per sempre la vita di Steve.
Con il tempo, l'amore che li aveva uniti non fu più sufficiente e Steve iniziò a colmare quel vuoto con altri generi di distrazioni. Sara era una di queste.
Non era di certo la prima volta che si intratteneva in relazioni con donne giovanissime, ma mai per più di una notte. Sara fu una rarità. Era uno spirito libero così come lo era stato lui in gioventù. Lo faceva sentire vivo, era la sua pausa da una vita che gli chiedeva tanto: un lavoro importante e un matrimonio ormai solo d'interesse.
«Immagino che ora le tue visite si faranno sempre più rare?»
In altre situazioni avrebbe mentito spudoratamente per poi scomparire dalla sua vita, ma con Sara gli veniva difficile, soprattutto quando gli era a un millimetro dal viso.
«È probabile.» Fece una pausa per cercare le parole più adatte da dire. «La fine del campionato è alle porte e non avrò molte scuse per allontanarmi da lei.» Ma fallì miseramente.
Con un gesto meccanico Sara portò entrambi i palmi della mano sul petto dell'uomo per ritrarsi; tuttavia Steve sapeva giocare bene le sue carte.
Senza permetterle di fare alcunché, le prese il mento con il pollice e l'indice la obbligò a guardarlo.
«Non pensiamo al futuro e godiamoci il tempo che abbiamo.» Sfoderò un sorriso sornione e estrasse dalla tasca della giacca due biglietti per la partita di basket che si sarebbe disputata quella sera stessa.
Sara rimase piuttosto perplessa: di sicuro quello non era il regalo più romantico che avesse mai ricevuto.
Si era spesso chiesta come si fosse ritrovata in una tale situazione. Era successo tutto per caso e quando le confessò di essere sposato con figli, la cosa non la turbò minimamente. Avrebbe potuto scegliere di costruirsi una vita con un ragazzo della stessa età, in fondo era giovane e carina, le opportunità non le sarebbero mancate, ma non le interessava.
L'aspetto sessuale era decisamente ciò che più la spingeva a rimanere con lui nonostante le difficoltà. Il modo in cui faceva l'amore, profondo e travolgente, la faceva perdere in un turbinio di emozioni. Capiva esattamente come lo desiderava, non c'era bisogno delle parole, i corpi comunicavano per loro. Possedeva un'innata capacità di cogliere ogni fantasia: una dote che mostrò sin da subito. Una sincronia da togliere il fiato. Era nella testa oltre che nel corpo. La razionalità si disgregava nella sinuosità del piacere più assoluto, libera di esprimersi senza vergogna né limiti.
«Dì che verrai.» Sembrò quasi implorarla.
Accennò un sì con la testa e si mostrò entusiasta finché non controllò il display dello smartphone.
«No, è tardissimo!» Iniziò a correre per la stanza in cerca delle scarpe.
«Perché continui a lavorare in quella pasticceria invece di aprirtene una tua? Potresti farti aiutare da qualcuno.» Disse soffermandosi su un dettaglio che non aveva mai notato prima di allora: non c'erano fotografie di parenti, amici o di un evento speciale che la ritraesse.
«Eh da chi? Sentiamo.» Si udì da lontano.
«Non hai amici, parenti?»
«Trovate!» Gridò Sara dopo essere uscita da sotto il letto della camera, «guarda un po' dove si erano nascoste...» Concluse affrettandosi a raggiungere Steve, ormai sull'uscio della porta.
L'uomo la guardò divertito senza aggiungere altro alla conversazione.
«Adesso devo proprio andare» si accostò alle labbra della ragazza e le diede un ultimo bacio, «ti aspetto stasera alla partita, i biglietti te li ho lasciati sul tavolo. Non fare tardi», e con un'ultima occhiata magnetica chiuse la porta dietro di sé.
Scese le scale velocemente quando, fuori dal portone, vide la pioggia incessante e si ricordò di aver dimenticato l'ombrello a casa. Non aveva tempo di ritornare su, visto che aveva deciso di abitare all'ultimo piano. Non c'era molto da fare se non sperare che l'autobus passasse per un volta in orario. Stranamente accadde proprio quel giorno: così, senza perdere altro tempo, corse a per di fiato e deviò come un abile felino i passanti che affollavano quella strada di New York. Mancava solo qualche metro alla fermata e la fortuna quel giorno sembrava dalla sua parte. Era appena scattato il rosso per l'autobus e questo avrebbe dato un po' di vantaggio alla ragazza. Stava per raggiungerla, ce l'aveva fatta.
«Perché non guardi dove vai?» Disse improvvisamente un ragazzo in tono adirato.
Sara si guardò intorno incredula: non era alla fermata dell'autobus, ma a terra con il sedere dolorante. Si era scontrata con un passante e il malcapitato era finito anch'esso al suolo.
«Io? Sei tu che mi sei venuto addosso!» Sara si rialzò e raccolse alcuni oggetti fuoriusciti dalla borsa.
«Guarda che non ero io quello che correva come un forsennato.»
Forse no, ma a giudicare dal loro incidente, anche lui si era distratto.
«Senti, non ho tempo di parlare con te. Devo sbrigarmi o perderò l'autobus.»
Sfortunatamente il semaforo era tornato verde e l'autobus di Sara era già arrivato alla fermata.
«Ecco! Per colpa tua l'ho appena perso e sempre per colpa tua farò tardi al lavoro!» Esclamò, puntando verso di lui il dito indice con fare accusatorio.
La buffa espressione che assunse subito dopo, fu così inaspettata, che indusse quest'ultimo a burlarsi di lei.
«Hai anche un lavoro? Mi stupisce che qualcuno ti abbia assunta.» Disse ridendo.
«Ma come ti permetti!» L'insolenza di quel tipo era davvero fuori misura, ma ormai era inutile restare a discutere. L'unica cosa da fare in quel momento, era trovare un altro modo per arrivare al lavoro in tempo.
«D'accordo, mi dispiace.Voglio farmi perdonare, ma prima vieni sotto l'ombrello o prenderai un malanno.»
Sara si era talmente concentrata sulla discussione, d'aver dimenticato di essere sotto l'acqua da diversi minuti.
«Guarda che non mordo.» Il ragazzo notò l'esitazione di Sara.
Non era a proprio agio in quella situazione. Di base non dava mai confidenza agli sconosciuti, anche se Steve aveva rappresentato un eccezione.
Leggermente in imbarazzo, si avvicinò al ragazzo per ripararsi dalla pioggia.
Era un tipo piuttosto alto; quasi più di Steve. Ad una prima occhiata sembrava un coetaneo di Sara, ma l'espressione seria del volto lo rendeva più maturo. Aveva un viso ovale con dei lineamenti regolari. La pelle chiara, metteva in risalto gli occhi azzurri: due mondi da cui non far ritorno. I capelli corvino erano portati corti ai lati con un ciuffo più lungo che gli copriva la fronte. Infine c'erano le labbra, così piene da far venir voglia di morderle.
«Dove devi andare?» Le chiese.
Sara lo guardò storto. Cos'era tutta quella confidenza? Aveva accettato di ripararsi sotto l'ombrello, d'accordo, ma non per questo doveva sapere gli affari suoi.
«Tranquilla, non sono uno stalker», distolse un momento lo sguardo dalla strada per incontrare la sua espressione interrogativa. «Volevo solo dare l'indicazione al tassista.» Concluse dopo essere riuscito a fermare una vettura.
«Grazie, ma so farlo anche da sola.»
Il ragazzo decise di non fare caso alla sua risposta e le aprì la portiera prima che qualche altro passante senza ombrello approfittasse di tale fortuna. Del resto, si sa, con la pioggia è quasi impossibile trovare un taxi libero a New York.
«Little Italy...» Sara ebbe un ripensamento. Del resto era stato gentile con lei. Non c'era motivo di essere così sgarbati. «118 Mulberry Street».
Il ragazzo le sorrise prima di dare l'indicazione al tassista e chiudere subito dopo la portiera.
Sara avrebbe voluto quanto meno ringraziarlo, ma mentre cercava di tirar giù il finestrino del taxi, quest'ultimo si mosse, inglobandosi nel traffico di New York e allontanandosi sempre più dal ragazzo.
Spazio Autrice:
In questo primo capitolo abbiamo fatto la conoscenza di Sara. Come vi sembra questa ragazza? Cosa pensate di lei in questo primo impatto? E sopratutto: Chi è secondo voi il ragazzo con cui si è scontrata? Fatemelo sapere in un commento ^^
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