La forza più grande

Si può dire che la modestia sia una virtù, ma l'autrice è tutt'altro che una donna virtuosa, è dunque mio sommo piacere annunziarvi della notizia di cui, a differenza di altri, non ho mai dubitato. Il diamante della stagione è stato assegnato: è ufficialmente promessa al duca di Hastings. La sposa senza dubbio è in preda all'impazienza per le imminenti nozze, un evento che, a quanto pare, avrà luogo prima del previsto. Naturalmente vi sono due sole ragioni per richiedere una licenza speciale e affrettarsi all'altare: il vero amore o uno scandalo da nascondere...

(Le cronache di Lady Whistledown - 05/04/1813)

1 mese dopo

Federico tese la giacca azzurra dell'alta uniforme e fissò il volto stanco e il ciuffo ribelle nello specchio nella penombra del suo appartamento di Wilhelmstrasse, nel centro di Berlino. La sola idea di dover presenziare a quella lunga cena con emissari reali e rappresentanze militari lo rendeva nervoso. Almeno non ci sarebbe stata sua zia a ricordargli con una sola penetrante occhiata quanto fosse stato un idiota. Sì, esatto, un'idiota! L'aveva lasciata scappare in quel giardino, con la sua collana al collo, uno splendido gioiello di famiglia di inestimabile valore, e ora si ritrovava di nuovo solo, nel suo paese e senza nemmeno aver potuto ridare alla madre quella vistosa collana. Un principe senza corona, questo era e questo sarebbe rimasto. Fissò il dipinto appeso alla parete; un suo amico dell'accademia di Berlino aveva impiegato quasi un mese a trasformare le righe tracciate a carboncino in quel volto etereo e perfetto che ora lo fissava dalla parete della sua stanza coperta di broccati e tappeti pregiati. Lo aveva fatto rifinire ancora e ancora finché non aveva ritrovato in quegli occhi lo stesso guizzo, in quei capelli castani gli stessi riflessi dorati e in quella pelle il devastante pallore della perfezione. Distolse lo sguardo agitato dal dipinto.

"Vostra altezza, la carrozza vi attende" lo informò il valletto in livrea con un profondo inchino e parrucca bianca perfettamente allineata come al solito.

Il principe annuì con un lieve cenno del capo. Come sempre avrebbe ricacciato nel cuore i suoi sentimenti, indossato il suo miglior sorriso e ignorato i sussurri delle mogli dei generali. Almeno loro una moglie l'avevano. Per lui pareva essere diventata una ricerca senza fine.

"... l'amore è sempre la forza più grande di tutte ..." gli aveva detto la signorina Bridgerton, duchessa di Hastings, con la sua voce gentile e acuta.

Non era forse degno a sua volta di essere amato? Pareva una maledizione, quella di partecipare soltanto alla felicità delle persone che gli gravitavano intorno, rimanendo indietro, incastrato nel suo ruolo, nella sua uniforme madida e perfetta, un militare tenuto adeguatamente lontano da ogni fronte, soprattutto dopo l'ultimo matrimonio di sua madre Frederica con l'ultimogenito della regina Carlotta. Contro tutto e tutti si erano amati per mesi, di nascosto e lui aveva fatto finta di non vedere, di non sentire e poi il suo ultimo patrigno era morto all'improvviso e avevano avuto il loro lieto fine, a nulla era valso perfino il veto della regina. Se c'era una qualità che doveva riconoscere a Ernesto Augusto era la tenacia. E ora si era spostato dalla conquista di sua madre a quella del regno di Hannover e c'era da scommettere che presto o tardi l'avrebbe ottenuto. Pensare che la regina Carlotta si rifiutava ancora di vedere la madre, ma non poteva certo lamentarsi, l'aveva accolto come un figlio e le era grato dell'opportunità e di aver conosciuto una così bella ragazza.

Rimaneva solo l'amarezza del pensiero che in realtà il giovane diamante non fosse mai stato suo. "Una buona e gentile persona", Daphne aveva ragione a definirlo con quelle parole, nemmeno un uomo, solo una persona. Era un ossimoro. Un militare mai sceso in battaglia, un comandante che non addestrava truppe. Non era uno sciocco, tuttavia, Ernesto aveva chiesto l'aiuto della madre nel cercargli moglie tutt'altro che per affetto nei suoi confronti: la regina adorava accoppiare giovani e mandarlo alla sua corte equivaleva a guadagnarne il favore, così che decidesse di affidare al patrigno la reggenza della Prussia al posto del fratello maggiore. Era una disputa tra fratelli, perfino il suo matrimonio, e la sola idea lo irritava al punto che non riconosceva più nello specchio quel giovane elegante e cordiale che aveva ricevuto l'educazione di un perfetto Gentleman tedesco. Sistemò lo spadino nel fodero e prese deciso le scale, schiarendosi la gola per allontanare le lacrime dagli occhi. Non gli era nemmeno permesso piangere, almeno non in pubblico. Non che le lacrime avrebbero risolto granché: era uno dei pochi insegnamenti che il padre aveva fatto in tempo a inculcargli prima di morire, lasciandoli senza nulla, in balia del destino. Non incolpava sua madre del loro destino: aveva passato anni d'inferno prima di potersi guadagnare un minimo di felicità.

Salì sulla carrozza, gli zoccoli sfrigolavano sul lastricato bagnato della strada. La pioggia cadeva sulla cappotta del mezzo. Forse non a tutti viene concesso l'amore e prima ci avesse fatto pace, prima avrebbe compiuto il suo dovere e continuato oltre con la sua vita.



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