Capitolo 30
SIMONE
La luce del giorno entra prepotente nella stanza.
Mi giro e rigiro nel letto, cercando conforto da un terribile mal di testa.
Impreco, mille bestemmie perché già so che questa giornata sta iniziando nel peggiore dei modi.
È la colpa è solo mia!.
Ieri sera sono uscito con Giusy e dopo l'ennesimo battibecco lei con molta tranquillità mi ha detto che il giorno dopo sarebbe partita.
Aveva programmato il tutto senza mettermi al corrente della sua decisione, mi sono sentito ancora una volta messo da parte, sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato ma speravo che le cose tra di noi si sistemassero.
In questo suo gesto ci ho visto più una via di fuga, una resa.
Frustato e abbattuto, dopo averla salutata come meglio ho ritenuto, sono andato in un bar, ho comprato un po' di alcolici e ho bevuto fino allo stordirmi.
Erano anni che non mi riducevo così, infatti solo adesso ho ricordato la lezione numero uno degli alcolisti:
"l'alcol ti fa stare solo male, e che tutto quello che cerchi di annegare torna sempre a galla."
La scena di Giusy e Salvatore mi ha fatto precipitare in un deja vu.
Anche se lei non c'entra con il mio passato non ho potuto fare a meno di sentire quelle spiacevoli emozioni riaffacciarsi dentro di me. Pensavo di poter amare ancora, ed ero sicuro di poter essere amato.
Invece mi illudevo.
Alla fine tutti finiamo col tradirci e col deluderci.
Ma non è solo questo, ho paura, non so se sono in grado di starle vicino, non so se sono all'altezza di proteggerla.
La vedo come una bambola di cristallo delicata, fragile, ho paura di romperla solo sfiorandola.
Invece è così forte, tenace e sa tenermi sempre testa.
Non è voluta scendere a patti, quando l'ho messa davanti a un bivio, o me o il suo amico, non si è lasciata convincere.
E questa cosa mi ha mandato su tutte le furie.
Non ha scelto lui, ma per me è come se lo avesse fatto, dato che non mi ha messo al primo posto.
"Perché è così cocciuta???!!!"
Mi alzo di scatto scaraventando il cuscino a terra.
Mi dirigo in cucina, ho bisogno di un caffè, di una aspirina e di una doccia.
L occhio cade sul mio orologio, sono le undici, controllo il mio cellulare, ci sono varie chiamate di mio padre, e messaggi.
Gli scrivo che è tardi, e che non andrò a lavoro perché non mi sento bene, così almeno smetterà di rompermi i coglioni.
Prendo il caffè, e dopo aver mangiato una mela prendo l' aspirina. Dopo cinque minuti sto già meglio, e mi sento più sollevato.
Forse dovrei mandare un messaggio a Giusy, giusto per vedere come sta.
Anche se il mio orgoglio mi suggerisce che anche lei avrebbe potuto scrivermi.
Sono combattuto ma alla fine
metto da parte l orgoglio e gli scrivo.
"Buongiorno, buon rientro a casa. Chiamami appena puoi."
Vado a farmi la doccia, lascio che l'acqua calda mi rilassi, ma niente mi sento maledettamente ansioso e smanioso.
Esco dal box doccia, lo specchio di fronte a me è tutto appannato proprio come il mio cervello. Appena accendo il phone lo specchio si schiarisce rivelando il mio viso.
Ho un aspetto orribile, con grosse occhiaie, ma non è questo che mi inquieta.
Guardati bene ....
mi ammonisce la mia coscienza.
Abbasso lo sguardo, mi vergogno.
Ma la mia coscienza non ne vuole sapere di star zitta.
"Un uomo non si comporterebbe mai così! Lasciar partire la ragazza che ama senza nemmeno salutarla, senza nemmeno chiarirsi di persona. Per giunta malata ! Ti stai comportando come un bambino! Stai scappando sei solo un codardo!..."
"Gesù mio!! Vuoi stare zitta?
Io non sto scappando, è lei che sta tornando a casa sua, e poi la Signorina si sa difendere da sola non è così indifesa come sembra!."
Esco di corsa dal bagno sbattendo forte la porta.
Mi vesto in fretta, prendo il cellulare nella speranza di trovare un suo messaggio ma non c'è.
Quella mocciosa testarda non si è degnata nemmeno di leggerlo! Oh ma adesso mi sente... ma chi si crede di essere?! Sono stanco della sua arroganza.
Ci metto poco ad arriva alla stazione di Milano.
La mia è stata una vera corsa ad ostacoli, ho sgomitato contro la folla sui marciapiedi, ho attraversato il semaforo senza aspettare il verde per i pedoni rischiando di essere investito. Nel frattempo mi sono attaccato al telefono chiamando Giusy. Non avendo risposta da lei ho chiamato anche sua madre, ma anche lei noi riposto.
Sono tutto sudato e rosso per la rabbia, mi sta deliberatamente ignorando.
<< Su che binario parte il treno per Napoli?>> chiedo ad un capostazione.
<<Binario 3, è in partenza.>>
Raccolgo le ultime energie e corro verso il binario. Raggiungo il treno che si sta muovendo lentamente.
<< GIUSY GIUSY GIUSY...>> inizio a gridare il suo nome mentre sbatto le mani sui finestrini per richiamare l'attenzione.
Sto quasi perdendo la speranza di trovarla, perché il treno accelera la sua andatura, vedo i vagoni andare troppo veloci rispetto al mio passo.
"È finita...sono arrivato troppo tardi."
Mi fermo e vedo il treno lasciare la stazione, prendo a calci un sasso.
Mi accascio sulle ginocchia e mi prendo la testa tra le mani.
Un senso di amaro mi sale in bocca, vorrei piangere.
Sto per andarmene, quando non posso credere ai miei occhi.
GIUSY
Non posso credere alle mie orecchie, il capotreno ci sta dicendo che il treno si ferma perché è stata rilevata un anomalia. Il tempo di fare alcuni controlli e ripartiremo.
<< È un incubo! >> dico a mia mamma.
<< È giusto che partiamo quando sarà tutto risolto. Si sentono tante brutte cose!>> dice mia mamma, la solita ottimista.
Hanno riaperto le porte per permettere agli addetti di poter entrare.
<< Che palle! >> esclamo,mentre mi rimetto le mie cuffie. Prendo il cellulare e vedo le innumerevoli chiamate di Simone.
" Stronzo! Bambino viziato e capriccioso...Se lo avessi davanti lo strozzerei."
Riuscire a sentire un po' di musica è impossibile, ci sono vari rumori e la gente parla in maniera concitata.
Qualcuno da lontano urla un nome, sembra un pazzo, un invasato, ma non è che siamo in pieno attentato terroristico? Mi tolgo le cuffie per capire quello che mi sta succedendo intorno, mia mamma al mio fianco mi guarda in modo strano.
Adesso sento chiaramente qualcuno chiamare a squarciagola il mio nome.
Mi alzo di scatto dal sediolino, e nel corridoio vedo avanzare Simone, appena mi vede aumenta il passo.
Adesso è vicino a me, praticamente addosso a mia mamma che è rimasta seduta immobile.
<< Cazzo perché non rispondi al telefono?>> mi urla in faccia.
È rosso dalla rabbia, non lo mai visto così, mi fa quasi paura.
<< Non ho sentito! >> dico cercando di mantenere il mio solito tono strafottente.
<< Scendi ti devo parlare!.>> mi ordina.
<< Stai scherzando? No! >> incrocio le braccia al petto in segno di sfida.
<< Muoviti..>> ringhia.
<< Puoi parlare qui.>> dico, mi guardò intorno e mi rendo conto che tutti ci stanno guardando.
Lui mi guarda, e poi si guarda intorno, proprio come ho fatto io, però non parla, e penso che è meglio così, sto morendo dalla vergogna, ma non gliela darò vinta. Non può venire qui e dirmi cosa fare.
<< Bene!.>> esclama Simone. Non ho tempo di riflettere sul cosa dire che le sue braccia mi sollevano dalle cosce, mi ritrovo alzata dal pavimento e a testa in giù, mi ha preso come un sacco di patate e mi sta trascinando via.
A niente servono i pugni che gli tiro sulla schiena e le parolacce che gli dico.
<< Non agitarti i ti sentirai male.>> mi dice lui mentre mi porta via con disinvoltura e con la faccia soddisfatta di chi sa di aver vinto una battaglia.
Buon pomeriggio! Spero vi piaccia questo capitolo ! 😍
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