Capitolo 22

SIMONE

Sono passati cinque giorni e le condizioni di salute di Giusy non sono migliorate affatto.

Io mi sono diviso tra lavoro e casa per lasciarla il meno possibile da sola.
Ho dovuto anche affrontare l'ira funesta del generale, mio padre, perché secondo lui sto trascurando il lavoro per stare dietro a una semplice raffreddore della mia ragazza.

Non sono un medico, così ho deciso di portare Giusy all'ospedale.
In questi giorni la febbre non le ha dato tregue, se non per alcune ore, il tempo che gli antipiretici facesse il loro effetto.

Ha mangiato pochissimo, sintomo ancora più inquietante, ed è molto debole. Il suo viso è stanco e pallido, e i suoi occhi sono contornati da occhiaie violace.

Trascinarla qui è stata un impresa, quella testarda non ne vuole a sapere, e abbiamo avuto un diverbio.
Alla fine sono riuscita a farla ragionare. L'ho aiutata a farsi un bagno e a vestirsi.
Non aveva molto cambi con se, volevo comprargli delle cose ma si è opposta, e alla fine ha indossato una mia tuta della Adidas.
Le sta un po' stretta sul seno, lo so non questo il momento di fare questo genere di considerazioni ma è pur sempre bellissima. 

Qui nella sala d'attesa del pronto soccorso del ospedale per fortuna non c'è molta gente, è dopo aver fatto l'accettazione a breve dovrebbe toccare a noi.

<< Tesoro ti va un the caldo? >> le chiedo pensando di ingannare l'attesa.
<< No Simone adesso non mi va.>> mi rivela lei.
Sto per dirle che posso prenderle anche una cioccolata calda nella speranza di strapparle un sorriso, e poi so quanto è golosa.
Però ma veniamo chiamati da un infermiera, e quindi la seguiamo.

GIUSY

Nella lista delle cose che odio aggiungeteci gli ospedali!.
Oltre ai dottori, gli infermieri ecc. Non che ho niente contro queste categorie, anzi fanno un lavoro meraviglioso.
Si prendono cura degli altri, anche se purtroppo falliscono, perché non riescono ad evitare la morte.
Ma salvano anche molte vite.
La loro è una continua lotta tra la vita è la morte. Sarà per questo che invece io ho scelto di ridare vita alle cose morte, ai mobili vecchi, nel mio piccolo vinco sempre.

L'ultima volta che ho messo piede in ospedale è stato quando hanno sparato a mio fratello.

Era nella clinica di Rossella.
Ci sono cose che non dimenticheremo mai, neanche se ci facessero un elettroshock, sono cose che rimangono impresse nei nostri occhi.
Quella sera fu caratterizzata da un susseguirsi di immagini che a rallentatore spesso scorrono davanti ai miei occhi.

"La porta della camera operatoria chiusa, io e mia mamma nel corridoio che non abbiamo più lacrime da versare e preghiere da recitare.
Non so da quanto tempo stiamo lì.
Poi la porta si apre, e su una barella c'è Rossella imbottita di farmaci e i polsi bendati.... che orrore vederla così, ma ancora non avevo capito la triste verità.
Dopo poco esce suo padre, si ferma a parlare con mia madre che è più distante da me.
Non posso sentire cosa le stia dicendo, ma non ho bisogno di avvicinarmi, mi basta sentire le urla di mamma per capire cosa le ha detto.
Io non ci credevo, mio fratello non poteva essere morto.
Guardavo mia mamma contorcersi dal dolore e non riuscivo ad avvicinarmi per consolarla.
Ero immobile, e non sentivo il frastuono di altre urla che erano intorno a me.
Sentivo solo il mio cuore che batteva come un pazzo.
È di nuovo la porta si apre, esce una barella, e allora vedo arrivare Ciro, o quello che è rimasto di lui, coperto da un lenzuolo bianco.
Mi aggrappo a quel ammasso di ferraglia costringendo i portantini e fermarsi, mi lancio sul suo corpo, gli scopro la faccia e lo riempio di baci, che si mischiano a lacrime che hanno ripreso e scendere in maniera incontrollata.
"Che ti hanno fatto..." urlo come un indemoniata.
Il dolore è talmente forte che sento letteralmente il cuore spezzarsi in mille piccoli pezzi."

Quando Simone ha proposto di portarmi qui mi sono opposta con veemenza.
Non gli ho detto della mia ultima esperienza in ospedale, perché non mi va di parlarne.
Alla fine ho accettato solo per farlo stare tranquillo.
Però devo ammettere che non mi sento bene, non ho mai avuto la febbre per tanti giorni, e ho uno strano peso sul cuore.
Simone tenta di distrarmi offrendomi un the, ma rifiuto non per scortesia, ma perché quando mi tornano in mente certe cose mi si chiude la bocca dello stomaco.

Arriva il mio turno, ed è meglio così, almeno non mi farò prendere dalla malinconia. Perché parliamoci chiaro quando penso a ciò le lacrime e il dolore stanno sempre a portata di mano.

C'è un medico di mezza età ad accogliermi.
<< Buon pomeriggio Sig.na Esposito. Si metta distesa e mi dica cosa succede. >>
<< Niente, sono 5 giorni che ho la febbre alta. E prima della febbre ho vomitato una volta. >>
Il medico mi si avvicina, per osservarmi meglio, continua con altre domande: - hai mal di pancia, sei allergica a farmaci o a medicine, - di che malattie soffre. Ecc. Rispondo in maniera svogliata, convinta che tutto ciò è solo una perdita di tempo.
<< Voglio sentirle le spalle.>> mi dice il medico.
Mi libero del piumino e mi tiro su la maglia per mettere in mostra le spalle.
Lui fa il suo lavoro, sotto l'occhio vigile di Simone.
<< Allora vada in radiologia, voglio che faccia una radiografia del torace. >> e si risiede al computer.
Prendo la richiesta e vado al reparto indicatomi dall'infermiera.

<< Che perdita di tempo!>> dico ad alta voce.
<< Sarà ...ma è sempre meglio fare ciò che dice il dottore. >> mi fa subito notare Simone.

Faccio la lastra e ritorno dal dottore. In via telematica vede subito il referto.
Sul suo viso appare un'espressione che non so definire.
Non parla ma mi guarda, anzi mi fissa, e poi torna a guardare lo schermo e poi guarda di nuovo me.
Ad un certo punto si toglie gli occhiali da vista, e si passa una mano sul viso.
Fa un sospiro, poi un altro.
Tenta di dirmi qualcosa ma sento che le parole gli muoiono in gola.
Tutto questo mi sta facendo agitare, sento che deve dirmi qualcosa, ma non ne ha il coraggio.
Mi ritrovo a stringere più forte la mano di Simone.
Ed è proprio lui a trovare il coraggio di chiedere quello che dovrei chiedere io.
<<Allora Dottore, che cosa dice quella radiografia?>>
La sua voce rompe il mutismo del medico, e quando sento quello che mi dice non ho nemmeno il tempo di pensare perché una nuvola nera annebbia la mia vita, i suoni sono sempre più attutiti e lontani.
Più di qualcuno mi sta chiamando e sento delle mani su tutto il mio corpo.
Mi sento come in una dimensione ultra terrena, dove tutti i miei sensi sono spenti.

Buona sera!!! Eccoci qui! Che sta succedendo?

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