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Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all'improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.
(Fëdor Dostoevskij)
A chi non è mai capitato di dover fare i conti con un colpo di fulmine. Uno di quelli dove la cassa toracica non è mai troppo grande per contenere i battiti di un cuore che sembra voler uscire dal petto. E la sudarella poi? Di quella non ne parliamo nemmeno. Ci sentiamo totalmente imbranati tanto quanto inebriati da quella misteriosa e spesso sconosciuta figura che è riuscita a far breccia nel nostro più inconscio e remoto lato. Iniziamo a frequentare lo stesso identico posto dove l'abbiamo vista per la prima volta, per giorni. Vaghiamo come adolescenti ubriachi d'amore alla ricerca di quella ragazza che tanto ci ha fottuto il cervello e si è impossessata dei nostri sogni e della nostra libertà da single scanzonati. Avete presente quello sguardo perso e la postura da pesce lesso, dritto come uno stoccafisso? Ecco, quel giorno mi sentii esattamente in quello stato.
Era un freddo venerdì di Marzo, una di quei giorni che la pioggia aveva miracolosamente risparmiato e dove addirittura il sole si era fatto bello per i presenti. Mi trovano nel centro della mia città, Roma, all'interno di una grande libreria alla ricerca di un romanzo che mi avesse tenuto compagnia per la sera. Tutto procedeva al meglio, avevo addirittura il cellulare carico, il mio pacchetto di sigarette con l'accendino, le mie scarpe preferite e mi sentivo addirittura bene con me stesso. Ero immobile davanti al reparto di narrativa generale e il mio unico dilemma era nella scelta del libro: Puntare a "La ragazza tedesca" di Correa Armando Lucas, oppure, a "Il giorno che aspettiamo" di Jill Santopolo? Rimasi a osservare entrambi i volumi con fare interrogativo e più li osservavo meno riuscivo a decidermi. Tutto era perfetto, davvero perfetto, fino a quando un profumo alla vaniglia fece breccia nelle mie narici distraendomi da quella complicata scelta. Mi voltai e la vidi.
Era un angelo. Ma che dico un angelo, era così bella e tentatrice che soltanto a un diavolo poteva somigliare. Aveva lunghi capelli neri abbracciati in una treccia, il naso all'insù, alla francese, delle labbra carnose tutte da mordere e due occhi così scuri e profondi che appena li incrociai mi fecero cadere dalle mani il romanzo di Santopolo. Nemmeno se ne accorse per fortuna, fui così veloce a raccoglierlo da terra che in confronto un ninja è più simile a una tartaruga obesa. Feci il vago e tornai con lo sguardo sullo scaffale pregando che se andassero lei e quel suo profumo tentatore. Mi voltai dopo qualche secondo con la coda dell'occhio e vidi che era sparita. Tirai un lungo sospiro di sollievo, non ero pronto ad innamorarmi, cazzo, non così, non in quel preciso momento in cui ero indaffarato in quell'ardua decisione. Cosa? Tutte scuse, dite? Probabile...
Posai il romanzo di Santopolo e scelsi di comprare quello di Correa Armando Lucas. Ho sempre creduto nel destino e ai fatti che lo compongono e, nel momento esatto in cui mi cadde dalle mani, capii immediatamente che non era quella la scelta giusta per me.
Mi avviai tutto contento alla cassa per pagare il mio nuovo compagno di luna. Lungo la fila non feci altro che rigirarlo tra le mani più e più volte, ero totalmente soddisfatto della scelta ma sopratutto ero sano e salvo, o così per lo meno credevo. Quell'improvviso profumo dolciastro riapparve dal nulla. Guardai a destra e poi a sinistra ma non vidi nulla fino a quando una mano si poggiò sulla mia spalla battendo due piccoli colpi. Mi voltai e, Cristo Santo, la vidi di nuovo.
Non so bene che espressione facciale avessi fatto, ma dal suo sguardo immagino che fosse tutto tranne che intelligente. Mi sentivo le mani sudare, e nel guardarla così da vicino sbarrai gli occhi. Le labbra mi si seccarono e sentii le gambe molli come gelatina. Fu il turno di Correa Armando Lucas a cadermi dalle mani e, imprecando in silenzio portando gli occhi al cielo, mi allontanai di fretta e furia per posarlo dove l'avevo trovato. A quanto pare il destino non voleva che comprassi nessuno libro, quel giorno.
Sentivo lo sguardo di quella bellissima, arrapante e spettacolare sconosciuta addosso, era una sensazione strana che mi rendeva impacciato e confuso, così tanto, che avviandomi verso l'uscita intruppai in un libro di Murakami.
Ecco! Era quello che dovevo acquistare. Lo sollevai da terra e decisi di mettermi in fila, ma non quella di prima, quella al suo fianco. La ragazza misteriosa mi guardava ancora, forse stupita dal fatto che stavo nella fila più lunga, cosa abbastanza illogica ma che a me poco importava. Volevo soltanto pagare e andarmene il più lontano possibile, ma allo stesso tempo, mi era impossibile non osservarla. Sentivo una voce dentro di me che mi invitava a guardarla in tutta la sua bellezza e un'altra vocina che mi diceva di non farlo perché avrei fatto sicuramente una qualunque figura di merda.
E' da quando ho quindici anni che ogni qual volta che osservo una ragazza che mi piace inizio a fare cose strambe o che mi capita di tutto. Ricordo quando ero alle medie, dove una certa Antonella, carinissima compagna di classe perennemente seduta al primo banco e secchiona seriale, mi scambiò (per pura botta di culo) uno sguardo dopo due anni di onorate lezioni insieme durante l'ora di geometria. Andai così in pappa che perfino le più semplici delle formule divennero per me impossibili da calcolare. Fu il mio primo e unico due della mia carriera scolastica, così come fu l'ultima volta che lei, Antonella, mi degnò di uno sguardo.
Oppure ho il ricordo di Francesca, una bellissima ragazza calabrese emigrata a Roma con la sua famiglia, che la volta che mi chiese da accendere per fumare, le prostrai il mio accendino fatalmente scarico e nella foga tentatrice di accendergliela per tigna, riuscii inavvertitamente a spezzargliela a metà, facendole casualmente sbattere la mia mano contro il suo labbro inferiore.
E sì, devo ammettere che dispongo di un'infinita quanto ridicola collezione di figure di merda e, anche per questo, quel giorno ero intenzionato a starmene sulle mie, a sudare freddo, a sbirciarla silenzioso come un mezzo maniaco e a far finta di non esistere ma che sopratutto non esistesse lei.
La fila procedeva lenta e più il tempo passava più facevo fatica a stare calmo. Il cuore mi batteva forte e gli occhiali iniziarono ad appannarsi. Buttai ancora una volta gli occhi al cielo e quando li riabbassai me la trovai davanti che mi fissava storcendo il naso.
"Chiedo scusa." Mi disse con voce infastidita. "Hai qualche problema verso me?"
Il cuore in petto iniziò a battermi così veloce che credevo mi scoppiasse.
"Co-cosa? Che c'è?" balbettai come un cretino. Non sapevo davvero cosa volesse da me, ma sopratutto cosa le dava da pensare che avevo un problema con lei.
"Sai com'è, noto che mi guardi di nascosto e quando mi volto fai delle facce strane. Inoltre prima ti avevo bussato su di una spalla per chiederti un'informazione e sei scappato come se avessi visto il demonio in persona."
"Ec-ecco, veramente no, cioè ecco, diciamo che è il tuo odore." Non sapevo cosa cazzo dirle, e lei, non capendo bene dove volessi andare a parare, iniziò a odorarsi sotto le ascelle.
"Stai dicendo che puzzo? No perché a me sembra di profumare e... Ma poi dimmi, ti hanno mai detto che sei un cafone?" detto questo si allontanò irritata e si rimise nella sua fila in attesa di pagare quel libro di cucina che avevo sbirciato durante una delle mie milionesime stalkerate.
Mi sentii così stupido e stronzo che non so nemmeno io dove trovai la forza per andarle dietro.
"Ti-ti chiedo scusa per prima, non volevo dire odore ma profumo, ecco."
Lei si voltò di scatto verso di me, aveva la fronte corrucciata e a quanto pare la voglia di conversare le era passata anche se non si trattenne dal rispondermi.
"Dimmi un po'. Non sei un ragazzo abituato a parlare con le ragazze, vero?"
Arrossii come un peperone. Non sapeva un cazzo di me ma a quanto pare riusciva a leggermi benissimo.
"I-io? Come no, anzi. Ho avuto centinaia di ragazze, milioni, forse miliardi." Mi sentivo un totale deficiente nel dire quelle stronzate nonostante trovai una rara forma di coraggio che mi portò a mettermi dritto sulla schiena e ad assumere una parte che non era la mia.
"Certo, si-si certo... Ma credi davvero che io ci creda?" E dicendo questo si voltò nuovamente dandomi le spalle.
"Stupido, stupido!" pensai battendomi il palmo della mano sulla testa, ma così facendo mi caddero gli occhiali da terra e rialzandomi dopo averli afferrati intruppai con la nuca sulle sue natiche.
Prima di quel momento non sapevo nemmeno cosa fosse provare un tale imbarazzo, volevo sparire, morire e poi di nuovo sparire. Lei si voltò verso di me a rallentatore, mantenendo un sopracciglio alzato, chiara espressione di chi non è affatto contenta dell'accaduto.
"Perdonami, mi-mi sono chinato per prendere gli occhiali e..."
"Sei un totale disastro." Mi interruppe lei. "Sei un pericolo pubblico te l'hanno mai detto?"
"Almeno un centinaio di volte." Risposi abbozzando un sorriso che a quanto pare divenne contagioso.
Il suo sorriso era come un quadro di Van Gogh, come le lasagne di mia nonna e come la più grande e meravigliosa cosa mai vista. Ero totalmente cotto di lei, rapito da quella ragazza. Attendevo soltanto di pagarne il riscatto.
"Come ti chiami?" mi chiese porgendomi la mano. "Il mio nome è Valentina."
"Valentina come quella di Crepax?!" Risposi d'istinto. Lei mi osservò leggermente perplessa.
"Ma, non è quel personaggio di un fumetto mezzo porno?"
Completamente imbarazzato per l'ennesima volta, feci di sì con la testa ma senza rispondere. Non ne combinavo una giusta e ogni volta che provavo ad avere un dialogo con lei mandavo tutto a puttane.
"Allora? me lo dici o no il tuo nome." Incalzò lei.
" Mi chiamo Massimo."
"Massimo come Boldi? Carino." Rispose lei.
Sinceramente avrei sperato di più nel paragone di Massimo Decimo Meridio, il famoso gladiatore interpretato da Russell Crowe, ma credo fosse più una sua piccola e personale vendetta dato che nel dirlo non si era fatta mancare una smorfietta compiaciuta.
"Avanti il prossimo!" Ci interruppe la cassiera.
Quella stronza di donna rovinò il giorno più interessante della mia triste vita con quella sua voce stridente e quella sua dannata fretta.
"E' il mio turno. Ti saluto Massimo, è stato un piacere" disse accennando l'ennesimo sorriso.
"Ci-ciao..."
Risposi soltanto con uno stupido e traballante ciao.
Avrei voluto dirle di restare, darle il mio numero di cellulare, un bacio e dirle sposiamoci o scappiamo in Norvegia, cazzo. Invece, fesso come sono, non riuscii a pronunciare altro che quello stupido e ridicolo Ci-ciao.
Quel freddo pomeriggio di marzo ero probabilmente l'imbranato più innamorato perso che la storia abbia mai conosciuto.
Quello, fu il primo giorno che la vidi.
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