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                          Elettra

Non so esattamente cosa mi aspettassi quando mi sono seduta accanto a lui.
Forse un rifiuto netto, forse delle parole che mi avrebbero allontanata, rimettendomi al mio posto.
Ma il modo in cui mi ha guardata... non è stato quello.
Non questa volta.

Il suo viso, così vicino al mio, mi fa perdere il controllo.
Sento il respiro bloccato in gola, come se ogni parola che stavo per dire fosse troppo pesante da pronunciare.
Lo guardo e vedo la sua esitazione, il suo desiderio mal celato, mescolato a una paura che ci rende entrambi prigionieri.

"Papà..." La mia voce è quasi un sussurro, fragile.
Non mi riconosco nemmeno io, eppure continuo.
"Non possiamo continuare così."

Lui si scosta leggermente, come se avesse bisogno di spazio per respirare.
Ma non riesce a staccarsi del tutto.
Lo vedo nei suoi occhi, in quel suo sguardo che mi segue come un'ombra.

"Elettra, devi fermarti" dice, ma c'è più supplica che convinzione in quelle parole.

"Perché?" Lo sfido, spostandomi appena più vicino.
Le mie mani tremano leggermente mentre afferrano il bordo del divano, ma non voglio che lui lo noti.
Non voglio sembrare debole.
"Perché continui a respingermi se sai cosa proviamo entrambi?"

Le sue mani si stringono sulle ginocchia e la tensione nel suo corpo è palpabile.
È come se tutta la stanza fosse sul punto di esplodere, come se l'aria stessa fosse diventata troppo densa per respirare.

"Non è giusto" dice, ma la sua voce è più stanca che risoluta.
"Tu sei mia figlia, Elettra.
Non possiamo..."

"Non possiamo cosa?" Lo interrompo, spostandomi in modo che il mio viso sia di
fronte al suo, i miei occhi puntati dritti nei suoi.
"Fingere? Continuare a mentire? Io lo vedo, papà. Ogni volta che mi guardi.
Non riesci a nasconderlo più di quanto ci riesca io."

Sento le sue mani muoversi lentamente, incerte, come se non sapessero dove posarsi.
Vorrei che mi toccasse, che lo facesse davvero, senza paura.
Ma rimane rigido, come se fosse in trappola.

"Elettra..." mormora di nuovo ed è l'unico suono nella stanza.

Mi avvicino ancora di più, fino a sentire il suo respiro mescolarsi al mio.
"Perché non possiamo ammettere quello che sentiamo?"
Gli occhi mi bruciano, e so che è sbagliato, ma non posso più trattenermi.
"Io ti amo, papà.
Non come tua figlia, ma come..."

Non riesco a dire la parola.
Lui chiude gli occhi, e vedo i suoi muscoli tendersi, come se stesse lottando contro se stesso.

"No" dice, ma la sua voce trema.
"Non possiamo... non dovremmo..."

"Lo so che lo vuoi anche tu."
Le parole escono prima che riesca a fermarle. Non c'è modo di tornare indietro, non più.

Mi avvicino a lui e, per un attimo, il tempo sembra sospeso.
Non c'è Alessia, non c'è il passato, non c'è nulla se non noi due, in questa stanza, a cercare disperatamente di trovare un modo per andare avanti, o forse per distruggerci.

Ma proprio mentre sto per toccarlo, proprio quando penso che finalmente tutto crollerà, lui si alza di scatto, allontanandosi da me come se fossi veleno.

"No, Elettra!" Il suo tono è finalmente deciso, ma c'è una rabbia che non avevo mai sentito prima. "Non farlo.
Non possiamo."

Rimango immobile, il cuore che batte furioso nel petto.
Mi guardo le mani, che tremano ancora più forte adesso.
Cosa sto facendo? Cosa stiamo facendo?

"Non capisci?" Mi dice, alzando la voce.
"Io sono tuo padre.
Questo non... non può succedere.
È sbagliato."

"Ma io ti amo" sussurro e la mia voce si spezza. Lo sento come un grido muto, una ferita che non si rimarginerà mai.
"Non posso far finta che sia tutto normale."

Lui si passa una mano tra i capelli, camminando avanti e indietro per la stanza.
Lo vedo lottare con se stesso, con tutto quello
che siamo diventati.
E, in quel momento, capisco quanto sia difficile per lui.
Capisco che non è solo una questione di me e lui, ma di tutto ciò che ci circonda, delle regole non dette, delle aspettative.

"Elettra, per favore... devi smetterla" mi dice, senza più rabbia, solo stanchezza.
"Devi trovare qualcuno della tua età, qualcuno che ti ami nel modo giusto."

Le sue parole mi fanno più male di quanto vorrei.
Mi raggomitolo sul divano, sentendo il vuoto che si apre sotto di me.

"Qualcuno come Alessia?" Chiedo e non riesco a nascondere il disprezzo nella mia voce.

"Non è di lei che stiamo parlando" risponde lui, la voce più calma, quasi paterna.
"È di noi.
Di te.
Non posso essere quello che vuoi che io sia.
Non lo sarò mai."

Lo guardo, cercando una qualche conferma che quello che sta dicendo non sia vero.
Ma vedo la stanchezza nei suoi occhi, vedo la battaglia che sta combattendo.
E capisco che ha già preso la sua decisione.

"Sai cosa provo" sussurro, sentendo le lacrime bruciare dietro i miei occhi.
"Eppure scegli di ignorarlo."

Lui non risponde.
Rimane in piedi, immobile, come se non sapesse più cosa dire.
Forse non lo sa davvero.

Dopo un momento che sembra durare un'eternità, si avvicina di nuovo, ma questa volta si ferma a un passo da me.
"Ti voglio bene, Elettra" dice, e la sua voce è bassa, carica di dolore.
"Ma devo proteggerti da tutto questo.
E anche da me stesso."

Non riesco più a rispondere.
Le sue parole mi feriscono più di quanto avessi immaginato.
E mentre lui si allontana, lasciandomi sola nel buio del salotto, capisco che tutto è cambiato.
Forse per sempre.

Mi alzo e torno in camera mia.
Chiudo la porta alle mie spalle e mi lascio cadere sul letto, avvolta da un silenzio che sembra pesare come un macigno.

E so, in fondo al cuore, che non lo lascerò andare.
Non ancora.
Non così.

Vorrei ringraziare CristinaGelsomini per l'aiuto.

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