CAPITOLO 1 PARTE 1
Elena, ventenne all’epoca, conduceva una vita normale. Aveva amici all’università, anche se non avevano l’abitudine di uscire insieme il sabato in gruppo. Era innamorata di un ragazzo conosciuto proprio lì, ma non sapeva se lui ricambiasse.
La sera del 7 gennaio 2023, nonostante stesse preparando un esame difficile e impegnativo, decise di concedersi una pausa: andò al cinema con i genitori e sua sorella Sara. Scelsero di vedere Tre di troppo, con Virginia Raffaele e Fabio De Luigi.
Commentando il film con i suoi, Elena disse che le era piaciuto molto: divertente, carino, ma anche istruttivo. Toccava temi come le paure dei genitori e gli errori nell’educazione, e secondo lei trasmetteva un messaggio positivo sull’armonia familiare.
Tutto sembrava nella norma, ma al rientro, in ascensore, accadde qualcosa di inaspettato. Ricevette un “segui” su Instagram da un ragazzo, Vito Mariani, che seguiva alcuni dei suoi colleghi universitari. Elena avvertì una scossa improvvisa, una tensione allo stomaco. Spaventata, sì, ma anche attratta.
Appena arrivata nella sua cameretta – accogliente, dipinta color glicine, con mobili in legno ciliegio e olmo – si lasciò avvolgere da quella sensazione nuova. La stanza rifletteva la sua personalità: un letto magenta e viola scuro, librerie colorate, foto con amici, famiglia, vecchi ricordi e tantissimi libri ordinati per età.
Dopo aver sistemato i vestiti e svuotato la borsa, accettò la richiesta di Vito. Non lo conosceva, ma si convinse che fosse normale: dopotutto, seguiva i suoi amici. In fondo, ne era incuriosita. Le piaceva, così, d’istinto.
Si mise allora a spulciare il suo profilo: un ragazzo dall’aspetto semplice, normale. Non era un modello, ma aveva qualcosa. Occhi e capelli castani, baffi, barba. Il tipo ideale per Elena: non amava i volti con i lineamenti marcati, preferiva quelli con un’aria sincera. Quei ragazzi che sembrano forti ma nascondono un cuore enorme.
Ah, Elena. Aveva le idee chiarissime su tutto. Tranne che su se stessa. Timida da sempre, anche se forse, in quel caso, si lasciò un po’ andare.
Quando Vito la contattò, sentì di nuovo quel nodo allo stomaco. Confusione, mani fredde, tremore. Era nel suo stile, ogni volta che affrontava qualcosa di nuovo. Si prese dieci minuti, con i Police nelle cuffie, prima di rispondere. Magari per farsi desiderare. O forse solo per prendere fiato.
Vito, appassionato di calcio come lei e tifoso del Napoli, commentò una sua storia sull’acquisto di Bereszyński. Elena, alla fine, rispose. Si misero a parlare del Napoli, di Di Lorenzo e dell’acquisto di Kvaratskhelia. Nessuno dei due sapeva scrivere quel cognome correttamente, figurarsi pronunciarlo.
"Io proprio non so scriverlo, lo sai?" disse lui.
"Nemmeno io, ma ho provato a scriverlo a memoria, senza cercare su Google, ti giuro!"
"Davvero? Lo hai scritto meglio di me!" rispose lui, divertito.
" Solo a pronunciarlo mi si accartoccia la lingua!" aggiunse.
Elena scoppiò a ridere." Idem, stessa reazione!"
Sembravano già in sintonia. Non si conoscevano eppure la chimica era nell’aria.
"Ma scusa" chiese lei, incuriosita, "Come mai conosci i miei amici dell’università, Armando e Claudio?"
Dopo la domanda, Elena andò a dormire. Nessuna buonanotte. Tattica, ovviamente. Voleva vedere se lui l’avrebbe cercata. Ma no, non era cattiva. Solo un po’ strategica. E curiosa.
La mattina dopo, dovendo uscire presto, accese il cellulare di corsa in macchina, con suo padre Daniele alla guida. Viaggiavano sulla loro Suzuki Vitara rossa, 4x4, acquistata da poco meno di un anno. Grande, spaziosa, moderna. Addio stereo: ora c’era la chiavetta USB per la musica, le prese per ricaricare tutto, un mondo tecnologico.
Ma Elena aveva un debole per la vecchia auto: una Peugeot grigio canna di fucile, con fari anteriori azzurro-arancio dall’effetto “gas”. Sembrava uno squalo, una macchina da film. Lei e Sara ci avevano vissuto mille avventure, erano cresciute lì dentro. Un legame affettivo forte, difficile da dimenticare. La nuova macchina era perfetta, ma ancora doveva abituarsi.
Nel frattempo, mentre il cellulare si riprendeva lentamente dalle fatiche mattutine tra aggiornamenti e ottimizzazioni, Elena aspettava un messaggio che non arrivava. Pensava che il ragazzo non le avesse risposto o, peggio, che si fosse già stancato di lei.
Quante paranoie! Aveva vent’anni ma sembrava un’adolescente alle prime armi.
E, in effetti, lo era davvero. Non aveva mai avuto un fidanzato, e l’idea stessa di un bacio travolgente la spaventava. Era inesperta, timorosa, e ogni cosa la intimoriva, perché non aveva mai sperimentato davvero nulla.
In amore, poi, era sempre stata sfortunata: non voleva più soffrire per chi non meritava nemmeno una sua lacrima.
Eppure, nonostante tutto, nonostante la paura e la serie di porte sbattute in faccia, sentiva che era il momento giusto. Si sentiva pronta. Pronta per una storia d’amore.
Per fortuna il cellulare si riprese, e Vito tornò a scriverle. La conversazione riprese:
"Sai che ci conosciamo perché usciamo insieme e ci vediamo quando possiamo, dato che studiamo in facoltà diverse. Loro sono i miei più cari amici."
Lui studiava Giurisprudenza, lei e gli altri due amici frequentavano Storia. Tutti al secondo anno.
Davvero?" rispose Elena. "Eppure non mi hanno mai parlato di te. Noi non siamo proprio legatissimi, però ci supportiamo sempre, facciamo molti esami assieme. Non so se lo sapevi!"
Intanto, lei cercava di capire quanti anni avesse Vito. I conti non le tornavano, lo immaginava più grande. Alla fine glielo chiese.
"Vito, scusa, ma quanti anni hai?"
"Ne ho 21. Sono il più grande del mio corso. Sono nato il 15 agosto 2001."
Poi aggiunse:
"Qualche anno fa ho provato il concorso nelle forze armate, ma non sono stato preso. Dopo mi sono iscritto all’università. Vorrei diventare Magistrato o Notaio."
Elena impallidì. L’idea di lui in divisa la affascinava moltissimo. Non si trattenne con i complimenti e le emoticon. Ma anche l’idea del magistrato o del notaio non le dispiaceva. Insomma, per lei era già promosso.
Lui, curioso, le chiese:
"E tu? Che vorresti fare dopo la laurea?"
Elena rispose con una sicurezza che le era rara:
"Oh sì, ho un’idea precisa. Vorrei insegnare letteratura italiana, storia e filosofia al liceo. Magari anche latino alle medie. E se ci riuscissi, mi piacerebbe prendere un dottorato in storia contemporanea. È la mia passione da sempre."
Vito fu colpito.
"Wow, davvero bravissima. Mi sembri super decisa." Le mandò anche un cuore rosso.
Elena, modesta come sempre, si schermì: non era poi così sicura. Ma dentro sapeva che sperava in quel complimento, e lo aveva ottenuto. Grande, Elena!
La conversazione continuò per tutta la domenica, tra pause e riprese.
Quando arrivò a Salerno vide gli amici di mare di Sara e i loro genitori. Dovevano vedersi da tempo, ma non si organizzavano mai.
Era felice, ma un po’ agitata: aspettava i messaggi di Vito, che voleva leggere lontano da occhi indiscreti.
Elena e sua sorella Sara erano simili: magre, occhiali neri, occhi e capelli castani. Spesso venivano scambiate per gemelle, anche se a loro pareva assurdo.
Elena era più alta, portava spesso i capelli raccolti nello chignon e usava più trucco.
"Ma come fanno a scambiarci? Io sono più alta!" diceva sempre arrabbiata.
Sara era più sicura di sé e parlava di più. Elena era più riservata, ma non per questo inferiore.
Litigavano spesso, ma si volevano un gran bene. Elena cercava conforto in Sara, nonostante fosse la maggiore, e questo la faceva soffrire. Per lei Sara era al primo posto, seguita da qualche amico fidato.
Per Sara invece il podio era occupato da Sonia, la cugina, o dagli amici del momento. E questo faceva male a Elena.
Camminava spesso accanto al padre Daniele, con cui aveva un rapporto speciale. Sara invece era sempre con la madre, Costanza.
Le divisioni erano nette. Elena era la copia femminile del padre, sia fisicamente che per interessi e carattere.
Sara era la copia della madre: lunghi capelli lisci come spaghetti, occhiali neri, stessa personalità e passioni.
I genitori, cinquantatre anni lui e cinquantadue lei, erano un medico e un’avvocata. Onesti, presenti, forse troppo. Ma uniti, molto uniti.
La madre, con i suoi capelli ricci rossi e l’intelligenza affilata, era una vera forza della natura.
Dopo aver parcheggiato, tutti si fermarono in un bar. Poi fecero una passeggiata sul Corso Vittorio Emanuele, tra la folla, i negozi, il freddo mitigato dal sole.
Elena, con i suoi immancabili occhiali da sole marroni e la borsetta personalizzata con emoji vittoria e cuore, si lasciò convincere dal padre a comprare un giubbotto invernale in saldo.
Intanto, Vito era impaziente. Elena si defilò, prese il cellulare e gli spiegò che era in giro.
Lui rispose che stava per mangiare i cannelloni fatti dalla madre, poi avrebbe studiato e infine guardato il Napoli, come da tradizione.
Che tipo! Elena lo trovava irresistibile.
Andarono a mangiare da Pollio, un ristorantino a Salerno decorato con maschere di Pulcinella e ceramiche colorate di Vietri.
Bruschette, pasta zucca e salsiccia, tiramisù. Lei era così agitata per Vito che quasi non mangiava. Ma alla fine riuscì a gustare tutto, tranne il dolce.
Poi, con un sorrisetto, chiese a Sara:
"Posso fare il gioco della lattina?"
"Certo! Fammi sapere!"
Era un passatempo sciocco, ma divertente. Si prendeva la levetta di una lattina e si cercava un’iniziale, sperando che fosse quella della persona desiderata.
A Elena uscì una "V". Dritta. Nome.
Vito.
La conservò gelosamente nella borsa. Era un segno.
Dopo pranzo Vito le commentò una storia. Lei rispose subito.
Lui era una buona forchetta come lei, sfizioso, onesto, simpatico. Elena si sentiva stranamente a suo agio.
Parlavano di tutto.
"Quali sono i tuoi cantanti preferiti?"
"The Weeknd, Starset, Skillet ed Enzo Avitabile."
"Io ho gusti più vecchiotti: The Police, Battisti, Modà, Nek, Pinguini Tattici… e qualche hit estiva di Elodie."
Si presero in giro sulle scelte musicali.
"Ma dai, è impossibile che tu non conosca i Police, Vito!"
Lei gli inviò una playlist e gli chiese di indovinare la sua preferita.
"Every Breath You Take" , disse lui.
Colpito e affondato.
Parlarono poi della partita del Napoli, dei marcatori, di Osimhen. Si lasciarono solo per il match, poi ripresero a messaggiare per tutta la sera.
Si confidavano sul romanticismo. Entrambi lo erano, ma si vergognavano un po’.
"Certe ragazze cercano i bad boy… non capisco perché" disse lui.
Forse perché non avevano mai provato una relazione vera, ragionò.
Lei gli spiegò che cercava ancora il suo posto nel mondo. Aveva bisogno di qualcuno buono, onesto, che l’ascoltasse e la sostenesse.
Magari uno psicologo, ironizzò.
Vito le augurò di trovare un ragazzo così.
"Sei una bellissima persona" le disse.
Nei giorni successivi continuarono a sentirsi, fino a scambiarsi i numeri.
Lei era un po’ restia, ma quando lui le scrisse, lei gli diede il suo.
Il 9 gennaio passarono su WhatsApp.
Lei lo salvò come "Vito Giurisprudenza", un nome anonimo.
Lui la salvò come "Ele Napoli 💙".
All’inizio non voleva archiviare la chat. Le piaceva ricevere quei messaggi frequenti. Ma poi decise di metterla in archivio per proteggere il rapporto da occhi indiscreti. Era gelosa di quella connessione.
Scoprì che Vito studiava Giurisprudenza, ma in un'altra università, ad Avellino. Viveva con la madre Teresa, i nonni Luisa e Simone, e il fratellino Ettore.
Nonostante tutto, si fidavano. Si sentivano ogni giorno, liberi e leggeri.
Il suo “ehi” quotidiano, da frase qualunque, era diventato il saluto preferito di Elena.
Vito aveva qualcosa di magico. Le faceva bene. La faceva sentire sicura.
E lei non voleva più smettere di sentirlo.
Erano due metà perfette. Forse troppo romantici per questo mondo. Ma si erano trovati. E bastava questo.
Vito le raccontò che per circa diciassette anni aveva praticato pallanuoto. All’inizio non era affatto bravo, ma continuando a provarci, quasi fosse una sfida con sé stesso, riuscì a diventare il migliore della squadra, il numero uno.
Poi, però, fu costretto a lasciare per via degli impegni universitari. E che scelta impegnativa fece! Giurisprudenza.
A Elena non piaceva affatto quella facoltà. La trovava pesante, difficile, quasi respingente. Diceva spesso:
"Tu sei pazzo, Vito! Hai dei libri che sembrano mattoni! Alcuni sembrano inutili, ma sono tutti pesanti e complicati. Ma come fai a studiare quella roba? Solo per questo meriti stima e applausi!"
In famiglia, sua madre Costanza era laureata in Giurisprudenza e lavorava come avvocato civilista. Anche sua cugina Monica, che studiava Giurisprudenza, sognava di diventare avvocato.
A Elena, tutto sommato, non dispiaceva affatto l’idea di avere un fidanzato iscritto a quella facoltà, magari futuro magistrato o notaio.
Ma si era imposta di non fantasticare troppo, di tenere i piedi ben piantati a terra, di vivere tutto con calma, un passo alla volta.
Ce la poteva fare, non era difficile, bastava solo un po’ di impegno.
Vito, con tanti anni di pallanuoto alle spalle, secondo Elena doveva avere un fisico scolpito, da Dio greco o da David di Michelangelo. Un fisico da sogno, insomma.
Lo aveva un po’ idealizzato, com’è naturale quando non si conosce ancora una persona dal vivo.
Quando lui parlava di nuoto si illuminava, era evidente. Lei, però, non lo trovava così interessante... un po’ si annoiava.
Vito lo percepì e infatti le chiese se fosse tutto ok.
Lei negò, ovvio. Un po’ di noia c’era, ma l’importante era che lui fosse felice, e questo la rendeva contenta.
Lui le mandava foto con Claudio e Armando a calcetto, lei invece rispondeva con il materiale per l’esame complicatissimo che stava preparando.
Dopo qualche giorno, dato che quasi tutto sembrava succedere sempre lì, a casa della nonna che portava il suo stesso nome, Elena decise di aprirsi con Sara.
Non aveva tanta voglia, all’inizio. Poi si convinse che era la cosa giusta da fare.
La casa di Nonna Elena, a pochi passi da quella dei Moretti, era una vera bomboniera. Piccola, con tre vani appena, tutta bianca, accogliente.
La cucina aveva piastrelle marroni a fiori, mentre i pavimenti tendevano al beige e al marrone scuro.
Le piastrelle del balcone e della cucina erano diverse: color blu-verde smeraldo.
Nel corridoio c’erano mattonelle grandi, grigie con fiori marroni.
La stanza preferita di Elena era la sala da pranzo.
C’era un divano arancione con tanti cuscini e centrini sui braccioli.
Alle pareti, quadri: uno di Napoli, uno di natura morta, e uno con Gesù, che – diceva sempre la nonna – proteggeva la casa.
Al centro, un tavolo con bomboniere e souvenir di viaggi di nozze.
A destra, la specchiera con foto e statuette; in un angolo, una colonna rossa vicino al balcone.
A sinistra, una parete attrezzata con vetrinette ricolme di ceramiche giapponesi e cinesi, set da tè colorati.
Il preferito di Elena era quello viola, con un drago: simbolo della Cina.
Nonna Elena aveva settantanove anni. Un tempo era alta, castana con meches bionde, oggi i suoi capelli erano bianchi.
Non era bellissima, ma aveva un carattere straordinario, camaleontico.
La classica nonna a cui puoi raccontare tutto, come spesso accade.
Una donna dolce, all’antica ma con tocchi di modernità, sempre gentile e premurosa con le nipoti.
Se Elena e Sara avessero vissuto con lei, sarebbero sicuramente ingrassate per quanto le faceva mangiare! Le porzioni erano abbondanti, cucinava con amore, voleva sempre accontentarle.
Il nonno Riccardo, marito della nonna e papà di Daniele, aveva ottantadue anni. Alto, in carne, un viso simpatico che faceva sorridere chiunque.
Occhi castani tendenti al verde, un naso buffo.
Era un tifoso sfegatato del Napoli.
Lui ed Elena guardavano ogni partita insieme, commentavano tutto, ascoltando Iannicelli, Chiariello e Titti Improta come se fossero amici di famiglia.
Ogni domenica, un rituale.
Con il nonno, però, Elena e Sara non parlavano di sentimenti.
Temevano che fosse geloso, come un papà.
La nonna, invece, era tutta un’altra cosa: aperta, pronta ad ascoltarle, a diventare loro complice.
Le dava sempre consigli, come quello di non mandare mai foto personali.
Infatti Elena non ne aveva mai inviate.
Un po’ perché era prudente, un po’ perché, nonostante fosse lui davvero, non voleva rischiare.
Era diffidente, e con le foto, meglio andarci piano.
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