12° capitolo: primo giorno di lavoro
Oggi è domenica, penso non esista giorno peggiore per iniziare a lavorare.
Avrei voluto rimanere a casa, magari passando la giornata a poltrire con il pigiama addosso e invece no, devo sgobbare.
Lego i capelli in una coda alta e sbuffo infastidita.
Anche questa notte ho fatto quell'incubo tremendo, l'unica differenza è che stavolta non mi trovavo in una foresta ma al "Big Jim", dove Marco ed Eva, seduti su dei divanetti, mi guardavano sorridendomi in modo sinistro.
Nel sogno mi manca l'aria, cado a terra, li guardo e li vedo baciarsi e distruggere il mio cuore di cristallo.
Non riesco a interpretare questo sogno, è terribile e a volte sembra così vivido che quando mi sveglio lo faccio urlando.
Penso che il mio subconscio mi stia avvisando, credo che sia come un campanello d'allarme, inquietante certo, ma pur sempre un segnale per qualcosa.
Sono le nove e il mio turno inizia alle due, ne approfitto, ho abbastanza tempo per dare una sistemata al mio rifugio.
Mentre aspetto che il pavimento si asciughi, sento qualcosa toccarmi i capelli e per poco non scatto come una molla.
«Buongiorno amore mio, oggi facciamo pulizie?» Mi chiede mio padre. Sorride contento, continuando a scompigliarmi i capelli.
«Esatto, ho voglia di fare qualcosa di utile almeno una volta nella vita. » rispondo sarcastica.
«Brava, adesso scendi che ti ho preparato una colazione con i fiocchi.» mi sorride guardandomi allegro.
«Va bene. » dico ed entrambi scendiamo in cucina.
« Papà, oggi inizio a lavorare dal signor Gas.» lo informo mentre addento la mia fetta di torta di mele.
«Perché hai cercato lavoro?» Domanda confuso.
«Perché ho bisogno di soldi e non voglio dipendere da te per tutto.» rispondo dopo aver bevuto un sorso di latte.
«Non era necessario, sai che puoi chiedermi qualsiasi cosa.»
«Lo so, ma ho questa esigenza di lavorare. »
«Perché non lo hai chiesto a me? Potevi benissimo venire a lavorare al nostro ristorante, sai che per te c'è sempre posto. » ribatte dispiaciuto.
«Non voglio chiederti aiuto, voglio cavarmela da sola. » gli spiego cercando di non ferirlo.
«Va bene, apprezzo che tu voglia essere indipendente. In bocca al lupo per oggi.» mi sorride tornando a cucinare.
«Grazie.»
Dopo aver finito la colazione, passo nella mia stanza a sistemare le cose che avevo preso per lavare il pavimento.
Entro nella stanza e mi fermo a osservare il ritratto di mia madre. I miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime e il cuore mi sale in gola quasi come se volesse scoppiare. Inizio a sentire un dolore lancinante allo stomaco.
"Non sai quanto mi manchi mamma".
Quella notte di dodici anni fa una parte di me è morta insieme a lei, avevo sei anni, eppure l'istante in cui ho sentito il mio cuore andare in pezzi è ancora inciso nella mia mente come se fosse oggi.
Mio padre che mi abbracciava in lacrime, mi diceva che la mamma era in un posto migliore, dove non avrebbe più sofferto e sarebbe stata bene.
Singhiozzando sussurrava che mi sarebbe rimasta vicino, anche se non sarei più riuscita a vederla.
Non potrò mai dimenticare quelle parole, così come il dolore che segnava i tratti dell'uomo più importante della mia vita.
"Chissà come sarebbe stata la mia vita con te al mio fianco, forse sarei stata più felice. " rifletto ancora tra i singhiozzi. Perdere una figura così importante troppo presto è stato davvero un duro trauma. Purtroppo non ricordo nulla di lei, la sua voce, i suoi rimproveri, i suoi consigli, niente. Il mio subconscio, molto probabilmente, per proteggermi, ha rimosso tutto di lei, anche se io in realtà vorrei tenermi stretta quei ricordi che ormai ho perso per sempre.
«Mamma, la mia vita a volte fa schifo. Ci sono giorni in cui vorrei solo urlare, piangere e mostrare tutto il mio dolore ma non posso, perché non è quello che la gente vuole.» sussurro accarezzando la sua foto mentre una mia lacrima bagna il suo viso coperto dal vetro.
"Quando qualcuno vede la tua sofferenza non chiede niente perché non vuole affrontarla. Sopprimo le mie emozioni, ho imparato a farlo da molto tempo, le nascondo dietro una maschera di finta allegria, consapevole del fatto che ogni crepa non verrà mai notata, che chiunque poserà lo sguardo su di me si fermerà al sorriso finto senza accorgersene.
Ci sono così abituata, mamma." Mi copro la bocca con una mano quando mi sfugge un singhiozzo, non voglio che mio padre scopra che sto piangendo, gli spezzerebbe il cuore.
Vado in bagno per sciacquarmi la faccia e mi trucco per coprire ogni traccia del pianto.
Una volta pronta, scendo le scale e mi dirigo in cucina.
«Ciao papà.» gli accarezzo la schiena.
«Ciao Fe. » ricambia mio padre mentre mescola la pasta in una grande padella.
«Cosa mi hai preparato oggi? » Chiedo avendo l'acquolina in bocca.
«La tua preferita, pasta alla boscaiola.»
«Buona! Grazie papà.» gli do un bacio sulla guancia e apparecchio la tavola, poi ci sediamo e mangiamo.
Dopo pranzo sparecchio, indosso le mie bellissime scarpe, saluto mio padre e vado a lavoro.
L'aria è così gelida intorno a me che mi entra per fino dentro le ossa. Mentre sto quasi per arrivare a destinazione, mi arriva una telefonata da Marco, sospiro e poi gli rispondo: «Pronto? »
«Buongiorno lavoratrice! Come stiamo? » La sua risata mi rallegra il cuore per alcuni istanti.
Sono felice che si sia ricordato di me, almeno fin quando non penso al fatto che per lui sono e rimarrò soltanto un'amica.
«Bene, tu? »
«Si va avanti. Sei già al bar? »
«No, ma fra pochi secondi arrivo. » sbuffo. Odio camminare e faticare, ma per l'amore dei soldi mi tocca farlo.
«Perfetto ci vediamo lì, ciao, ciao. » afferma prima di chiudere la chiamata e lasciarmi senza parole.
Entro al bar e il signor Gas mi saluta con un grande sorriso.
«Buongiorno cara, vieni ti presento Irene, mia nipote. Lei ti spiegherà cosa dovrai fare. » Vedo avvicinarsi una ragazza bassina con i capelli neri dal taglio corto. Mi viene incontro come se mi conoscesse da sempre e in pochi istanti mi ritrovo stretta in un abbraccio che ricambio in modo impacciato, uno di quelli pieni d'imbarazzo, aggiungerei.
«Buongiorno, e piacere mio. » mi rivolgo a entrambi. Il proprietario ci sorride e poi si allontana lasciandomi con sua nipote.
«Bene bella, come ti chiami? » Mi chiede facendomi l'occhiolino. Sono io che sono troppo fissata con Marco o sembra la sua versione al femminile?
«Federica, piacere. » dico in preda all'ansia.
«Bene, io sono Irene. Tieni metti questo. » mi porge con un sorriso un grembiule verde, una specie di divisa del bar, un indumento sacro da indossare.
«Certo. » rispondo, lo afferro e lo indosso.
«Perfetto, vieni ora ti spiego quale sarà il tuo compito. » esco da una specie di sgabuzzino e ci posizioniamo dietro al bancone.
«Allora... questo bar è come tutti gli altri, certo a volte ci scambiamo i ruoli, ma nulla di complicato. Ecco cosa farai: vai dal cliente, prendi le ordinazioni, torni dalla barista gli porgi l'ordine e poi tu lo porti al consumatore. Tutto chiaro? » Mi chiede fermandosi a guardarmi con un sorriso sghembo.
«Certo, conosco bene questo posto.» Ribatto sorridendole.
«Esatto, chi ormai non conosce il metodo di questa vecchia e noiosa tavola calda?» Scoppia in una fragorosa risata e io fingo di ridere insieme a lei cercando di celare l'enorme imbarazzo. Ho il sospetto che questa giornata sarà davvero lunga.
«Ok, lì in fondo si è appena seduto un cliente, vediamo che sai fare. » mi indica l'ultimo tavolo a destra.
«D'accordo. » accetto e vado verso quel tavolo dove è seduto un signore grassottello, pelato e con i baffi. Mi ordina un caffè macchiato, appunto l'ordine e mi avvio da Irene.
«Brava ragazza, è stato difficile?» mi chiede con un sorriso mentre fa il caffè. Io la osservo imbambolata, è davvero molto veloce e perfetta. Magari fossi come lei, spontanea e senza nessuna preoccupazione.
«Sì, anche se mi tremavano le mani.» rido nervosa.
«Tranquilla, sei andata bene». Mi porge la bevanda calda e mi dà un colpetto alla chiappa destra. Io rimango perplessa e confusa e per poco non mi cade il caffè a terra facendo un'enorme figura di merda il primo giorno di lavoro.
Sospiro e vado dal cliente che sta leggendo un giornale. Mi ringrazia e io torno da quella pazza maniaca.
«Brava ragazza, continua così.» mi fa l'occhiolino e si distrae guardando il telefono. Non voglio giudicare dalla prima impressione, ma a me sembra lesbica. Non sono contro gli uomo sessuali, è solo un pensiero che mi è venuto dal suo comportamento, magari mi sbaglio.
All'improvviso Marco entra dalla porta di legno e il campanellino che suona mi mette in agitazione. Si siede in un tavolo e mi fa cenno di andare da lui.
«Ciao Marco.» lo saluto allegra.
«Ciao Fe, mi porti un cornetto alla nutella?» mi ordina immediatamente.
«Cer...certo» rispondo balbettando. Quel suo ordine così senza un po' di tatto mi ha un po' spiazzata, che cosa crede di essere? Il padrone e io la sua schiava? Che nervi!
Prendo un cornetto dal bancone furiosa e Irene mi osserva confusa, ma sempre con quel sorriso sulle labbra.
«Ehi Fe che succede?» mi chiede smettendo di sorridere e diventando seria.
«Niente, un cretino si è seduto a un tavolo e pensa di potermi comandare a bacchetta solo perché siamo amici.» sbuffo. Lo so, non ha fatto niente di male, ma come me lo ha detto mi ha dato fastidio.
«Chi è? È carino?» mi domanda guardandosi intorno.
«Più o meno, è quel ragazzo laggiù a destra.» indico i suoi capelli neri perfettamente allisciati dal gel.
«Però, niente male.» ricomincia a ridere e io alzo gli occhi al cielo. Ne sono sempre più sicura: questa giornata farà decisamente schifo.
«Ecco a te.» gli porgo il cornetto e Irene mi segue.
«Ah ciao Marco, quindi eri tu il bel ragazzo misterioso che aveva fatto innervosire la mia nuova collega.» ride schiacciando un occhio.
«Ah sì? Ciao Irene...» la saluta Marco. Fantastico quei due si conoscono, era troppo strano che due ragazzi con un carattere così simile non si conoscessero.
«Voi vi conoscete?» chiedo troppo curiosa.
«Sì, certe volte usciamo insieme, vero?» controbatte il moro.
«Già, va bene su, vi lascio soli, io ho da fare con gli altri clienti, ciao bella». Mi dà un altro colpetto sulle chiappe e se ne va lasciandomi in imbarazzo con il mio amico scemo. Quella ragazza mi spiazza sempre di più.
«E quindi ti faccio agitare eh?» Si alza in piedi e mi sussurra in un orecchio.
«Cosa? No, il fatto è che sono qui da poco e tu già mi ordini il cibo come se io fossi una veterana, mi aspettavo che mi salutassi e mi incoraggiassi di più prima.» gli spiego balbettando e accaldata.
«Ho capito, beh se sono subito passato al sodo era solo per metterti alla prova e poi tu qui stai lavorando Fe, mica stai giocando, se non ordino non ha senso rimanere». È incredibile come in pochi minuti riesce a calmarmi e a persuadermi. Adesso gli do perfino ragione, cavolo! Doveva fare il politico, altro che biologo!
«Va bene, ho capito, beh devo lavorare infatti, ci vediamo dopo.» gli dico tornando in me.
«Ok, brava.» mi risponde con un sorriso così bello da farmi sciogliere il cervello.
Mi allontano da lui sorridendogli come un ebete e torno al lavoro.
Passo l'intero pomeriggio a correre come una pazza da un tavolo all'altro, i clienti sono molto esigenti, c'è chi ordina una semplice bibita, chi chiede un vero e proprio pranzo. Il locale è molto affollato di domenica, non me lo aspettavo, arrivo alle otto distrutta e sudata. Sono finalmente alla fine del mio turno, mi siedo in un sedia del bar e cerco di asciugarmi il sudore che mi gronda dalla fronte. Marco se ne è andato già da un po', mi ha detto che doveva andare ad allenarsi e che stasera ci saremo visti a casa sua, io e lui da soli, chissà cosa faremo. Mi sale l'ansia soltanto a pensarci.
«Ciao, tutto bene?» mi chiede Irene appoggiandosi al muro accanto a me. Beve un sorso d'acqua dalla sua bottiglietta ed entrambe guardiamo il locale vuoto.
«Sì, sono un po' stanca, ma niente di così grave.» le espongo sospirando mentre mi dondolo con la sedia.
«E così tu e Marco vi conoscete eh?» mi domanda all'improvviso e per poco non cado con il sedere per terra.
«Sì, da un po' direi, tu? Da quando lo conosci?»
«Da un po' anch'io, ti do un consiglio: se hai una cotta per lui, lascialo perdere, non fa per te, sei troppo santarellina per uno come lui.» dichiara ferendomi con mille frecce.
«Cosa? Io non ho una cotta per lui e poi tu che ne sai se sono o no la ragazza che fa per lui?» controbatto spazientita.
«Lo conosco abbastanza per affermare ciò, lui distrugge ragazze come te, lascialo perdere ora che sei in tempo.»
«Tu vuoi solo spaventarmi, che c'è? Hai una cotta per lui e vuoi eliminare eventuali avversarie?»
«Cosa? No, per niente, ho solo visto ragazze come te soffrire per lui e non voglio che accada anche a te.» mi chiarisce guardandomi dolcemente.
«Tranquilla, io sono diversa!» concludo sicura di me.
«Lo spero davvero per te. Va bene è arrivato il mio ragazzo, ci vediamo domani.» mi dice e poi se ne va via lasciandomi da sola e confusa.
"Quindi non è lesbica, fantastico!" Penso un po' delusa, forse se lo era sarebbe stato meglio.
Io e il signor Gas chiudiamo la tavola calda e torno a casa sfinita. Mi butto sul letto ancora con i vestiti del lavoro e rimango lì a guardare il nulla fino a quando mio padre non mi chiama per la cena.
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