Siamo nati per cambiare il mondo

Le prime luci mi solleticano il volto, fino a persuadermi ad aprire gli occhi. Mi prendo qualche istante per raccogliere tutti i pensieri che mi sopraggiungono quando mi accorgo di non essere nella mia stanza, di non essere sola, ma con Manuel al mio fianco o, meglio, quasi sopra di me.

La sua gamba nuda e chilometrica impera tra le mie, il suo braccio ancora su di me. Mi sollevo lentamente, per non svegliarlo. Noto che ha fatto finire le lenzuola completamente a terra. Quando riesco a divincolarmi dalla sua presa, con un movimento istintivo, si gira dall'altra parte, assorto ancora in un sonno profondo.

Scuoto la testa. È proprio buffo, vederlo dormire così, ma al tempo stesso attraente. Controllo dallo smartphone l'ora. Sono le otto passate. Non ce la farò mai ad entrare alla seconda. Perdo lo sguardo, arreso, davanti a me.

Vedo i quaderni di scuola di Manuel e irrefrenabile si fa avanti l'istinto di sfogliarli. Matematica, latino, storia tutto in un solo quaderno. Sorrido. Greco è a parte. Prendo una penna dal suo astuccio e, ripensando alla sera prima, a quell'inestinguibile desiderio di essere posseduta, desiderata fino in fondo da lui, alla nostra prima notte trascorsa insieme, decido di fare quello che ho sempre fatto quando sento il bisogno di fermare un'emozione.

Scriverlo, tradurlo per quanto possibile in enigmatiche catene di parole che cercano di incastrare un sentimento, di dar voce e corpo a qualcosa che è, in realtà, talmente ineffabile da non poter essere totalmente espresso. Eppure, la poesia è l'unico tentativo per eternare qualcosa che non conosce il tempo. L'amore.

"Bren" sussulto. Lascio cadere il quaderno a terra, con un gesto immediato e repentino.

"Ehi" mi avvicino a lui "come ti senti?"

"Bene, ci sei tu" dice ancora con gli occhi chiusi. Sorrido. Prendo a carezzargli i capelli.

"Vuoi fare colazione?" a quella domanda apre, quasi meccanicamente, gli occhi.

"Mmm" si solleva e stira le braccia inarcando la schiena. Mi ritraggo per lasciargli il suo spazio ma lui rotea il busto per avvicinare il volto al mio e strapparmi un bacio, intenso. "Abbiamo lasciato qualcosa in sospeso ieri..." dice abbassando lo sguardo, mentre infila le mani sotto la maglietta.

"Dovremmo andare a scuola Manuel" parla la coscienza che è in me, anche se è la mia dea interiore quella che sta per avere la meglio quando le sue dita si infilano nei miei slip.

Senza capire come possa e voglia procedere, sento le sue dita tracciare movimenti circolari, avanti e indietro, prima lenti poi sempre più veloci, in un sentiero del piacere dentro di me di cui le sue mani si fanno padrone.
"Manuel" ansimo e mi rendo conto che il suo nome è emerso dalle mie labbra in un suono tanto urgente quanto disperato. Non capisco cosa sto provando, è intenso, mi scava dentro. Mi contorco sotto di lui, in attesa che arrivi il culmine.

Ho il respiro corto e affannato, ho bisogno di reggermi a lui per stabilire un contatto con la dimensione terrena mentre tremo tra le sue mani, perché mi sento in un altro mondo, finché la mia frustrazione non viene soddisfatta da lui che raccoglie con le sue labbra il frutto della mia libido.

Quando riapro gli occhi, ancora ansimante, sudata e in preda ai brividi di piacere, trovo gli occhi di Manuel profondamente assorti. Non so bene cosa sia successo, ma... ne voglio ancora. E di questo mi vergogno. Cosa mi stai facendo Manuel Medina? Chi sei? Chi sono io? Manuel avvicina la sua bocca alla mia e io mi aggrappo a lui come potessi riabbracciare l'emozione che ho appena provato.

"Vuo..." non riesce a finire la frase che chiude gli occhi, con espressione dolorante.

"Manuel..."

"Sto bene, mi gira solo la testa" mi alzo rapidamente. Lo faccio distendere posizionando un cuscino a ridosso dell'altro perché lo tengano sollevato.

Poi lascio che se ne stia steso e, senza dire nulla, scendo al piano di sotto per preparargli la colazione. Trovo il succo, della frutta che provvedo a tagliare e la aggiungo allo yogurt e a scacchi di cioccolato fondente. Mentre sistemo tutto in un vassoio ripenso a ciò che ho appena provato, mi passo una mano sulle labbra, dove vi è ancora traccia del nostro ultimo bacio, ma, prima che ricada in trance, scuoto la testa per riprendermi e salgo. Manuel ha ancora gli occhi chiusi quando entro, ma appena si accorge di me li apre e si tira su.

"Non dovevi" dice. Prende una fragola e me la infila in bocca.

"Sei tu quello che deve mangiare, non io..." lo ammonisco.

"Allora puoi imboccarmi" il suo tono è malizioso, ma lo assecondo e appena le mie dita si avvicinano per portare alla sua bocca un chicco d'uva, lui provvede ad addentarle e a tenerle a caldo dentro di lui.

Lo guardo con disapprovazione e le sottraggo alla sua presa. Sorride divertito ed io scuoto la testa arresa. Si avvicina nuovamente a me, ignorando la sua colazione, tracciando una traiettoria con la sua lingua sul mio collo.

"Sei tu la colazione che voglio" scherza. Sorrido e per protesta mi alzo.

"O mangi o me ne vado."

"Mangio" dice apprestandosi a farlo. Io, nel frattempo, collego il mio smartphone alle casse sulla sua scrivania e lascio partire una playlist casuale, a basso volume.

"Una brillante studentessa, futura insegnante di greco che ascolta musica latino-americana" è il suo commento sulla prima canzone che si diffonde nella stanza.

"Non capisco dove sia l'incoerenza" dico spiluccando un po' d'uva. Manuel, che si sta portando lo yogurt alla bocca, fa deviare il cucchiaino per sporcarmi la punta del naso. Lo colpisco sul braccio.

"Non ho mai trovato sexy una futura insegnante di greco" commenta.

"Perché quante ne hai conosciute?" ribatto.

"Prima di te nessuna..." dice baciandomi sulla guancia "o, meglio, nessuna come te... che ballasse e ascoltasse musica latino-americana" continua sussurrandomi all'orecchio con voce profonda e suadente.

"Neanche io pensavo di poter trovare attraente un calciatore" si apre un ghigno divertito all'angolo della sua bocca, scavando una fossetta.

"Un avvocato potrebbe andare meglio" replica.

"Un predestinato avvocato che vuole giocare a calcio, meglio ancora...>> Manuel si avvicina a me togliendo dalle sue gambe il vassoio troppo ingombrante tra noi.

"Esattamente... siamo nati per rompere i cliché" aggiunge mentre le sue labbra sono troppo vicine per avere buone intenzioni.

"O per cambiare il mondo" replico riavvicinando il vassoio a lui perché mangi.

"Tu di sicuro Brenda Levi" dice lasciandosi cadere sui cuscini. Lo guardo con aria interrogativa.

"Stai cambiando me" spiega, intrecciando le mani dietro la nuca. Prima che replichi perché aggiunga in cosa lo stia cambiando, sentiamo una voce femminile provenire dal primo piano

"Manuel! Sono a casa!" ci guardiamo con aria interrogativa. Manuel sgrana gli occhi.

"Cazzo, Giada" dice Manuel passandosi una mano sul volto. Si alza di scatto dal letto, si dirige in bagno, dove lascia la porta aperta e posso osservarlo mentre si sciacqua velocemente la faccia.

Chi è Giada? La curiosità fa svanire la leggerezza che ho sentito poco prima tra le lenzuola, rientra nella sua stanza e si infila rapidamente una T-shirt verde a manica corta e dei pantaloni che pesca da un cassetto senza aggiungere altro.

Ed io, non sprecandomi in troppe domande, mi infilo nella doccia. Lascio scorrere l'acqua calda su di me, ritornando a quel momento. Chiudo gli occhi, mi mordo il labbro inferiore.

È normale sentirsi interamente coinvolti, dipendenti, dei burattini manipolati da qualcuno che giostra i i fili del nostro corpo a ritmo di piacere, intensità e passione? Chiudo l'acqua, prendo un asciugamano dall'armadietto accanto alla cabina doccia e rientro in camera. Apro la porta per cercare di captare qualche frammento della conversazione che sta tenendo con questa Giada.

"Devi chiamare prima di venire" protesta.

"Scusa, non mi sono preoccupata di avvisarti. Sono appena arrivata e ho visto la tua auto e la Vespa. Era chiaro che stessi a casa, perché non sei a scuola?" gli chiede con tono di rimprovero. Potrebbe essere sua madre, ma la voce è troppo giovane, o sua sorella. Manuel mi ha parlato di una sorella, ma non mi ha detto il suo nome.

" Ieri non mi sono sentito bene" risponde.

"E come mai? Hai la febbre?"

"Forse ho mangiato qualcosa che non avrei dovuto mangiare" si giustifica.

"Hai una faccia da schifo" mi copro la bocca per contenere una risata.

"D'accordo, visto che mi fermo per qualche giorno, nostra madre vuole che ti controlli. Posso perlustrare la casa? Voglio vedere se è tutto in ordine" la voce di Giada non è seria, ma li sento più vicini per cui mi sbrigo a prendere le mie cose, infilandomi la maglietta con cui ho dormito, la giacca di Alessandro, il vestito e le scarpe per attraversare il piano e nascondermi nella lavanderia, opposta alla camera di Manuel.

"Non puoi venire in camera mia" protesta ancora Manuel.

"Che c'è? Hai paura che veda tutte le ragazze che ti sei portato a letto ieri sera?" lo stuzzica Giada. Perché? Si porta a letto più ragazze contemporaneamente?

"Ma che dici? Sei insopportabile quando fai così" Manuel si para davanti alla sua stanza e chiude la porta. Giada si ferma a braccia conserte davanti a lui. Ha i capelli castani, ondulati, è alta quasi come lui. Non riesco a vedere altro perché sono costretta a chiudere la porta per evitare che mi scoprano. Sarebbe imbarazzante presentarsi in questo modo.

"Senti ho diciotto anni, non quindici. La casa è a posto, non sei un carabiniere, sei mia sorella, puoi omettere a mamma dettagli sulla mia stanza..."

"Oh ma io non voglio parlare a mamma della tua stanza, sei tu che mi hai incuriosita, ora voglio invadere la tua privacy, è mio dovere, in quanto sorella maggiore" riapro la porta, abbastanza da avere uno spiraglio che mi conceda la visuale. Mi sta divertendo il siparietto tra loro.

Cogliendolo alla sprovvista, in un momento in cui Manuel, disperato e stanco, si copre il volto con le mani, apre la porta ed entra nella sua stanza. Manuel la segue a ruota, imprecando, ed io approfitto per uscire dalla lavanderia e scendere di corsa le scale, arrivare all'ingresso, prendere le chiavi della sua auto e tornare a casa. D'altronde è il minimo per avermi lasciata nascosta nella sua stanza.

La casa è vuota. Sono le nove e mezza, potrei entrare e decido di farlo, mi preparo e mi dirigo a scuola con il bus.

"Non ti sei persa molto" mi informa Chiara sulle prime ore, mentre facciamo colazione da Maria. Stefano è in classe a ripassare filosofia con altri compagni di classe, visto che oggi è il suo turno "come avete passato la serata? Manuel come sta?"

"Bene... questa mattina, mentre eravamo in camera, è entrata sua sorella. È venuta a trovarlo a sorpresa da Como" spiego.

"Come? E vi ha sorpresi a letto?" chiede Chiara con occhi sgranati per la sorpresa.

"No o quasi..."

"Spiegati!" dice colpendomi il braccio.

"Appena è sceso per raggiungerla, ho approfittato per nascondermi in lavanderia e quando sono entrati in camera sua me la sono svignata" scoppia a ridere.

"Non è poi così divertente" ribatto imbronciata.

"Invece, immaginarti scendere le scale in punta di piedi con l'abito di ieri sera e fuggire con la sua auto è molto divertente" continua.

"Bren" sono di spalle, quando mi volto per capire di chi sia la voce che mi sta chiamando.

"Alessandro, ho la tua giacca" ricordo.

"Va bene se ci vediamo oggi pomeriggio?" la sua proposta mi mette in imbarazzo. È come se la giacca che mi ha prestato si sia ricoperta immediatamente di un valore intimo, una scusa per rivedersi. Ma forse sono io che sto dando troppo valore a una semplice e naturale richiesta.

"D'accordo, puoi raggiungermi al campo di atletica oggi pomeriggio. Mi alleno lì..."

"Allora a dopo" Chiara commenta solo con uno sguardo pieno di disappunto il nostro scambio.

"Manuel come sta dopo ieri sera?"

"Bene, credo. Ieri sera delirava, qualcosa del tipo non posso giocare, credo che abbia paura di essere scelto come campione per i test."

"Perché avrebbero dovuto drogarlo?"
Chiara sblocca un ricordo della serata precedente a cui non avevo ancora avuto modo di pensare. Cristian. Non può andare avanti così. Non può essere una minaccia per la carriera di Manuel.

"Non lo so Chi, spero che Manuel stia attento".

Mi accorgo di aver lasciato il telefono a casa quando trovo mia madre con il volto incollato alla finestra, preoccupata. Apro il cancelletto e non faccio in tempo a raggiungere il portone che la sua sfuriata mi attende.

"Ma dove eri finita? Perché hai lasciato il telefono a casa? Quando sei tornata? Sei andata a scuola?"

"Scusami" dico mentre entro e lascio cadere lo zaino a terra "io e Chiara siamo entrate alla seconda ora e sono passata a casa prima..." altra bugia altro senso di colpa che bussa al mio cospetto.

"A che ora? Io sono uscita più tardi questa mattina" aggiunge mentre la foga con cui ha parlato poco prima sembra attenuarsi. Il suo spavento è rientrato il mio no... ora che mi invento?

"Ehm... non mi ricordo di preciso..."

"D'accordo non fa niente... solo non farmi preoccupare più così" chiosa abbracciandomi. Mi sento doppiamente in colpa ora. Le sue preoccupazioni sono amplificate, lei non può confidarsi con nessuno, né dividere il peso della responsabilità di crescere due figli. Sono sul punto di confessarle tutto ma arriva mio fratello, che ci raggiunge dal piano superiore, a salutarmi.

"Bren! Non ti ho vista a scuola"

"Sono entrata più tardi..." mi affretto a spiegare e a salire. Prendo il telefono, ci sono diversi messaggi di Manuel, tra cui quello in cui mi avvisa di avermi vista sfrecciare con la sua auto, ma dall'audio, non sembra risentito, semmai divertito.

E non ha mancato di sottolineare che sua sorella mi ha vista andare via e dunque ora è curiosa di conoscermi. Non ho voglia di rispondere. Mi stendo sul letto. Non mi piace mentire, soprattutto a mia madre.

E da quando conosco Manuel ho cominciato a farlo. D'accordo, forse è normale, forse è necessario, ma il nostro non è un rapporto comune, è speciale, è un patto di sangue, come quello che abbiamo fatto scherzosamente quando ero bambina. Sento l'aria mancare, mi alzo a spalancare la finestra e lascio che l'ossigeno si incameri dentro di me per purificare tutto quello che ho assorbito da ieri sera.

Il mio telefono squilla distogliendomi dall'attimo di catartica rigenerazione.

"Ehi..." percepisco del sollievo nella sua voce.

"Ho dimenticato il telefono a casa, scusa..." io, invece, per quanto mi sforzi, non riesco a non essere distaccata, come se volessi prendere le distanze da quello che ho fatto, dalle bugie che sto dicendo a mia madre, dal narcotico piacere che mi fa dipendere da Manuel e a cui non riesco a rinunciare. Anche se non sono verità incommensurabili quelle che nascondo, mi sento comunque sbagliata.

"Sei andata a scuola? Com'è andata? Ti hanno messo un impreparato?" scherza e mi fa sorridere.

"No, non abbiamo fatto granché..."

"Ti sento giù signorina, cos'è che non va? È per Giada? Scusami, è piombata qui all'improvviso e... non posso cacciarla..."

"No, no... non è per Giada. È tua sorella... sono..." non riesco a finire la frase.

"D'accordo, ho già bisogno di vederti. Perché non ci vediamo al campo così mi restituisci l'auto che mi hai rubato?" c'è del sarcasmo che continua a farmi sorridere e a tirarmi su di morale, come se potessi perdonarmi di tutto, se è per lui che ometto verità "Ah a proposito, Giada vorrebbe conoscerti..."

"Vorrebbe conoscere una delle tante ragazze che ti porti a letto contemporaneamente?" ribatto, riferendomi alle frecciatine di Giada. Lui scoppia a ridere.

"Mia sorella esagera, non vado contemporaneamente a letto con più ragazze. Le orge non fanno per me ..." puntualizza. Scrollo la testa alla sua affermazione "e soprattutto, se non l'avessi capito, ho un debole per le brave ragazze, studiose e amanti del latino americano" scoppio a ridere davanti alla sua ruffianeria.

"Ci vediamo al campo di atletica, prima dell'allenamento."

"Io non mi alleno oggi pomeriggio, ma ti aspetto sugli spalti. Questa sera ceniamo insieme?" propone. Ma l'idea che a noi si aggiunga anche sua sorella mi agita. 

"Bren... saremmo io e te" aggiunge. Ed io sono doppiamente sollevata, sia perché ha compreso da sé il mio disagio, sia perché non cenerò con sua sorella, almeno non stasera.

"Ok, a dopo" riattacco.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top