È solo un aperitivo

Trascorriamo il pomeriggio tra vocabolari di greco e inglese aiutandoci a vicenda. Chiara è sempre più demoralizzata davanti alle traduzioni, mentre io cerco di sbrigare tutto in tempo per l'allenamento. Tre pomeriggi a settimana mi reco al campo di atletica della scuola, stiamo preparando le corse campestri. Non corro a livello agonistico, ma è una buona valvola di sfogo e comunque, ormai, la corsa fa parte della mia routine. Se non vado al campo, mi concedo una corsetta al parco, appena libera da studio e impegni.

"D'accordo, allora ci vediamo domani" Chiara è sull'uscio della porta e si tende verso di me per un bacio.

"Sì, fila dritto a casa" le raccomando con un sorriso.

"E dove vuoi che vada? Solo il vocabolario di greco basterebbe a tenere lontano l'ultimo degli uomini" scoppio a ridere e resto sulla porta, seguendola con lo sguardo mentre si dirige verso la fermata del bus, che sta già svoltando la curva.

Mi assicuro che salga e rientro, facendole ancora un cenno di saluto con la mano, cenno che ricambia unendo le dita per formare un cuore. Salgo in camera, mi spoglio per indossare qualcosa di più comodo e preparo la borsa con un cambio. Busso alla porta della camera di mio fratello, disteso sul letto a leggere un manga e lo avviso che sto per uscire.

Quando arrivo, trovo le altre ragazze già a riscaldarsi. Non abbiamo legato molto, l'atletica è uno sport individuale, non di squadra, e loro sì, sono focalizzate su obiettivi seri, corrono a livello agonistico e per loro sono solo una che perde tempo. Inizio il solito giro, percorrere tre volte l'anello. Dalla mia corsia posso vedere chi si allena in altre discipline, corsa a ostacoli, salto in alto, salto in lungo. Poi, ad un tratto, sugli spalti mi sembra di scorgere Stefano.

Lui mi riconosce prima che sia io a farlo e si sbraccia in un saluto. Lo ricambio con un gesto che lascia intendere cosa ci fai qui senza fermarmi. Lui indica qualcuno al campo e non impiego molto ad accorgermi che Irene si sta allenando nel salto in alto. Scuoto la testa e continuo a correre. È liberatorio. Non c'è niente di meglio che sfidare l'aria, sentirla rivestirmi la pelle, fenderla con il mio corpo e rilasciare ogni tipo di tossina - compresi i pensieri che mi tormentano. E così mi sento adesso, più in pace con me stessa, dopo questa mattina. Per un po' l'immagine del ragazzo che entra e suscita un effetto inaspettato su di me mi abbandona.

"Bren!" riconosco la voce di Stefano alle mie spalle. Sto riprendendo fiato, dopo la conclusione del percorso, quando mi giro e mi accorgo che non è solo. Ci sono Manuel e Irene con lui. Mi porto le mani ai fianchi, è uno scherzo? Nel momento in cui credo di essermi dimenticata dell'effetto che ha avuto su di me, eccolo lì che con quel sorriso, quegli occhi, quella pelle incisa da muscoli che ruggiscono al di sotto dei suoi indumenti, torna a scuotermi senza alcun permesso. Stefano deve essersi reso conto del mio improvviso cambio di espressione. Sono contenta di vedere lui, meno di vederlo in compagnia dell'altro.

E, devo essere sincera, ce l'ho più con me stessa per lasciare che mi influenzi in questo modo che con lui. Da parte sua, lui non sta facendo proprio niente se non essere inevitabilmente e innocentemente educato, gentile, bello - mi costa ammetterlo - e... sensuale in ogni suo gesto. Il modo spontaneo in cui ride, il modo in cui si passa una mano tra i capelli, il modo in cui sfida il mio sguardo...

No, non avrei mai detto che potesse essere un calciatore. E non perché abbia chissà quale idea sui calciatori, ma lui... non ce lo vedo a parlare solo di calcio, di sport, ad avere in testa solo un campionato, allenamenti e una dieta da seguire. Stefano scambia qualche parola con loro prima di avvicinarsi da solo a me.

"Lo so che non ti va a genio, e sinceramente non so neanche perché, visto che non lo conosci nemmeno..."

"Neanche tu se è per questo" sbotto, irritata senza alcun valido motivo.

"È vero, neanche io lo conosco, ma mi è simpatico e se io sono simpatico a te, tu sei simpatica a me e anche lui mi è simpatico, credo che cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambi quindi, matematicamente, deve essere simpatico anche a te" rimango per qualche secondo in attesa di decifrare il suo contorto modo di pensare, ma ci rinuncio scoppiando a ridere e Stefano fa lo stesso. Non faccio a meno di notare come Manuel e Irene ci scrutino con sguardi indagatori e curiosi, chiedendosi forse per cosa stiamo ridendo.

"Ho chiesto a Irene di venire a prendere qualcosa da bere dopo l'allenamento, ma sono sicuro che con due ragazzi non verrebbe mai, se venissi anche tu magari sarebbe più tranquilla..." un'uscita a quattro? Di già? Precoce, penso. Ma in realtà non è una vera e proprio uscita a quattro, mi rassicuro. È solo un'uscita di cortesia.

"E lui dove lo hai trovato?" non riesco a fare a meno di chiedere, visto che quando l'ho notato sulla gradinata era da solo.

"Stava uscendo dal campo qui accanto, dove si allena con la squadra". Certo, ovvio. È lì che si allenano i giocatori del Raven, che spesso si fermano a fischiarci e fare commenti, per nulla galanti, dagli spalti.

"Domani c'è il compito, non posso fare tardi" cerco di svincolarmi.

"Ti prego, sai da quanto cerco di uscire con Irene e ora che l'ho convinta non puoi dirmi di no" mi guarda con le mani congiunte in segno di preghiera, di spalle a Irene e Manuel, e con una tenera - e sfacciata - espressione supplichevole.

"Mi devi un favo... " non riesco a finire la frase che mi solleva, caricandomi sulle spalle, facendomi girare. Non riesco a trattenere una risata che spinge Manuel e Irene ad avvicinarsi.

"Serve una mano?" mi propone, divertito a guardarci, meno lo sembra Irene. Stefano mi fa scendere e io mi ricompongo, controllando che il mio outfit sia in ordine. Non faccio a meno di incontrare i suoi occhi. È come se parlino e comunichino tutta l'intensità che sono in grado di sprigionare.

"Datemi dieci minuti, il tempo di fare una doccia e di cambiarmi, poi sarò dei vostri" dico indicando gli spogliatoi. Prima di voltarmi, come due calamite che non riescono ad evitare l'attrazione, i nostri sguardi si congiungono ancora e, forse è una mia impressione, ma quando annuncio di andare a fare una doccia, noto lo sguardo di Manuel che mi scruta da capo a piedi e il risultato è sentirmi spogliata da lui, in questo preciso momento.

Raccolgo metaforicamente i miei indumenti - che, se avessero potuto, sarebbero stati inceneriti dalle fiamme dei suoi occhi - e mi dirigo con un'ultima corsa alle docce, dalla parte opposta dove sono loro.

Mai come in questo momento sento il bisogno di un po' di sana acqua tiepida - per quanto quella fredda sarebbe riuscita a fare veramente effetto - per scrollare lo strano tepore che attraversa il mio corpo, provocato dalla presenza di quel ragazzo.

Ma che mi prende? Non mi sono mai sentita così prima d'ora. Decido di distrarmi focalizzandomi non sull'aperitivo che mi attende, proprio con il ragazzo colpevole del mio imprevedibile e squilibrato stato emotivo, ma su tutti gli impegni che mi aspettano, sia scolastici che non.

A partire dalla media alta che dovrei mantenere per la richiesta della borsa di studio alle Università che ho scelto - lettere a Milano, Bologna o Roma - al volontariato in parrocchia in cui assisto i bambini stranieri con lo svolgimento dei compiti, alle gare di atletica a cui devo comunque partecipare e, infine, ai compiti domestici con cui devo aiutare mia madre.

Tutto quello mi corre in mente solo per ricordarmi che non c'è materialmente tempo per... per... Insomma, mi resta solo del tempo per uscire con gli amici e divertirmi e... basta. Non c'è posto per quello che potrebbe rappresentare Manuel. Una minaccia, una futile distrazione, un ostacolo per il mio futuro... e il mio presente. Perché so cosa mi succede quando mi invaghisco di qualcuno. Divento completamente assente, tutto ciò che mi riguarda si mette in secondo piano, mentre prendono il sopravvento le mie romantiche fantasie. 

Quando esco ormai è buio, le giornate sono ancora troppo corte, con mio grande strazio, e il freddo è pungente. È solo metà gennaio e con queste temperature la primavera resta solo un miraggio. Intercetto con lo sguardo Stefano e Irene, sotto il fascio di luce di uno dei tanti pali che costeggia il campo, e vicino a loro, circondato da un gruppo di ragazze, troneggia la sua figura: Manuel. In questo, almeno, può dirsi il tipico calciatore che si attornia delle ragazze da cui si lascia adulare. Sento qualcosa che non dovrei sentire.

Un fastidio. Un fastidio molto fastidioso. Respiro a fondo. Ma cosa mi sta succedendo? Neanche una settimana prima ripercorrevo mentalmente tutti i progressi fatti, soprattutto emotivamente - dal momento che sono sempre stata molto timida e riservata - e ora mi ritrovo a non padroneggiare le mie emozioni. Avverto un leggero calore stendersi sulle gote, che spero scompaia prima che possano notarlo.

"Eccoti, andiamo?" se ne accorgerebbe chiunque, Stefano non sta nella pelle all'idea di poter uscire e parlare con Irene, in un momento che non sia l'ora di educazione fisica o nei corridoi a ricreazione. Non appena li raggiungo, una sensazione di sollievo scaccia il fastidio che ho avvertito nel vedere Manuel circondato da quelle ragazze, perché, non appena la sua attenzione si posa su di me, senza troppe spiegazioni, si allontana da loro per raggiungerci. E il fatto che la mia autostima stia ballando la samba non è un buon segnale...

"Vuoi che ti aiuti con la borsa?" chiede affiancandosi a me, dal momento che Stefano si è già avviato fuori dal campo con Irene.

"No, ce la faccio" lo rassicuro.

"Oh, non ne dubito. Ho notato la tua resistenza" dice camminando al mio fianco e ho modo di constatare che è molto più alto di me, io arrivo appena sotto la sua spalla. Non manco di rivolgergli un'occhiata incuriosita.

"E da cosa lo deduci?"

"Ti ho vista correre" ammette con una sincerità tale come se fosse normale. Be', in effetti non è che sia strano, ma ammettere senza il minimo scrupolo di avermi vista correre... vuol dire che si è fermato volutamente ad osservarmi, se ne ha constatato la resistenza. E la mia aurea di privacy si sente sempre più invasa e compromessa.

"Ah, quindi sei come gli altri calciatori che si fermano sugli spalti a esibire il loro miglior repertorio di apprezzamenti?" lo provoco.

"Non so di cosa tu stia parlando, ho solo visto come correvi prima che entrassi in palestra... ti ho riconosciuta" risponde con gentilezza, nonostante il tono di rimprovero nella mia voce non lo meriti.

"E non hai fatto tardi agli allenamenti, per constatare la resistenza di una tua compagna di classe?" avverto un fastidio che mi solletica la pelle, ma non riesco a individuarne la causa. Forse è lui?

"Diciamo che è stato un buon motivo per fare un leggero ritardo..." commenta sorridendo. No, ma dico... per caso è il suo modo di provarci? Prima che possa rispondere in qualche modo, Stefano, che ci ha di gran lunga superati senza che ce ne accorgessimo - ovviamente lui è impaziente di portare Irene a consumare l'aperitivo incriminato - ci incita a raggiungerli, gesticolando con la mano di venire verso di loro.

Il White wild si trova sullo stesso viale che porta alla scuola, dunque a metà strada tra il liceo e il campo. Sento un brivido corrermi lungo la schiena, questa volta non è dovuto a nessuna sfrontatezza di Manuel, semplicemente non mi sono accorta - presa dal modo in cui potermi distrarre sul nuovo arrivato mentre facevo la doccia - di aver bagnato i capelli che ricadono sulla nuca.

"Hai freddo?" la sua voce, inequivocabilmente calda, la sua attenzione ai miei minimi gesti, come quel brivido che mi ha fatta sussultare, quasi impercettibilmente, mi provoca uno strano piacere.

"No" mento, in tono più morbido, tirandomi su il cappuccio della felpa.

"Tieni" senza che me ne accorga o che possa fermarlo, mi avvolge il collo con la sua sciarpa. Subito riscontro il beneficio che ha sulla mia pelle infreddolita, e non solo per il caldo che inizia a corrermi sottopelle, ma per quel profumo dolce e inebriante, che mi avvolge immediatamente e che non mi fa opporre.

Lascio che quella fragranza mi abbracci, che i miei sensi ci sprofondino, per poi guardarlo rivolgendogli un sorriso timido, che ha l'aria di un grazie che non riesco ad articolare a parole.

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