Affinità elettrica
"Una volta qualcuno mi ha detto che non devo dimostrare niente a nessuno" ripeto le stesse parole che mi ha rivolto quando mi ha portata dal suo fisioterapista "tu sei qui per compiere un dovere, non c'è nessun'altra sfida se non quella con te stesso. Non lasciare che ti ostacolino, che ti rendano la salita ancora più ripida di quel che è. Oggi ti hanno amato tutti, l'ho visto. L'ho sentito. E non so quanti ragazzi giovani siano accolti in questo modo da una squadra, ma se hai scatenato tutto quell'amore, quel calore è perché stai facendo le cose al meglio, anche se sei solo all'inizio e hai tanta strada da fare davanti a te."
Percepisco di nuovo la sua luce negli occhi, una luce che mi dona sicurezza. "E proprio perché sei all'inizio, non puoi farti rovinare da chi la sua strada nel tuo mondo la sta finendo..." è scattato qualcosa in lui, dopo aver ascoltato le mie parole. Lo intuisco dal corpo che cessa di essere rigido e indolente, dall'arcata sopraccigliare che si rilassa, mentre i suoi occhi si tingono nuovamente di intensità e fiducia.
Sostengo il suo sguardo, sento di avere il controllo della situazione, di essere lucida, nonostante i battiti del mio cuore stiano accelerando a mano a mano che vedo i suoi movimenti orientarsi su di me. Una mano si fa strada sul mio collo, mentre l'altra si arresta sulla mia gamba. Sembrano perfette per il mio corpo, a cui aderiscono rispondendo al piacere che divampa dentro di me.
Non smette di guardarmi per cercare e trovare il mio consenso, un consenso che non riesco a negargli per via del crescente bisogno che ho di lui. Mi sento come imbrigliata in una rete, ma è una sensazione strana. Anziché provare repulsione, anziché sentirmi ingabbiata, in questa rete voglio incastrarmici al meglio, sento di starci bene.
Dai suoi occhi che non smettono di perdersi nei miei vedo portarmi via a poco a poco il respiro. Ho bisogno di toccarlo, di stringerlo a me, come assorbissi da lui quell'ossigeno che sento sottrarmi dall'intensità di quello che sto provando. Non posso più ignorare la scarica elettrica che si genera tra me e lui, ogni volta che ci ritroviamo insieme. E, soprattutto, non posso fare a meno di pensare all'indifferenza che avevo provato quando avevo ballato con Raul, quando mi aveva stretta a lui per provare a baciarmi. Ora non ho nessuna intenzione di ritrarmi, non l'ho mai avuta. Faccio cadere ogni maschera, mi spoglio di ogni scudo o barriera difensiva. Le mie mani scivolano sul suo petto, infilandosi sotto la camicia, già sbottonata in quel punto. Lo osservo mentre esploro la sua pelle lucida, nuda e calda, eccessivamente calda.
Mi viene quasi voglia di togliermi il vestito, i cui orli ora lambiscono nelle sue mani, ferme, bloccate sulle mie cosce, come se stesse tenendo le redini del suo istinto. Chiude gli occhi mentre raggiungo il suo collo, che sfioro come se lo stessi plasmando nuovamente sotto le mie stesse mani, come se lo stessi forgiando con la mia curiosa voglia di conoscerlo più a fondo, insieme a quella di continuare a stupirmi dell'effetto che ha su di me. China la sua fronte sulla mia. Inaliamo i nostri profumi, finché non arrivano a sfiorarsi le punte dei nostri nasi e restiamo così.
Anelanti, inesperti davanti alla profondità di quello che stiamo provando, forse troppo grande per noi, per essere compresa. Mi sento al sicuro. Per la prima volta, mi sento al sicuro nelle mani di qualcun altro. Qualcuno che non conosco, di cui non so nulla, che sto ancora scoprendo, ma che nello scoprire mi sta facendo accedere a sfumature che io stessa non conoscevo di me. E non ho paura. Non mi sento posseduta, non mi sento un oggetto bramato per quel puro istinto animale che ci governa quando non riusciamo a domarlo.
Mi sento rispettata, ascoltata. Non sta approfittando di me, non mi sta costringendo a fare nulla, così come non mi impone di affrettare i tempi. Nel momento in cui entrambi apriamo gli occhi, scambiandoci un sorriso, sento il cellulare vibrare nella sua tasca. Non si affretta a rispondere, poi, quando la vibrazione si fa insistente – ai limiti della comicità, visto il silenzio mistico che regna tra noi – risponde.
"Sono ancora qui" si porta una mano sugli occhi "d'accordo. Ok... arrivo" riattacca ed emette un respiro profondo.
"Per quanto vorrei restare qui con te, anche solo a guardarti per il resto della serata, devo andare ad aiutare un amico" sorrido. Non faccio in tempo a saltare giù dal tavolo da biliardo, che mi solleva per farmi atterrare.
"Grazie" dico simulando un inchino.
"Non c'è di che milady" scoppio a ridere e, quando me la porge, non esito a prendere la sua mano. Quando usciamo dalla sala biliardo, in cui eravamo chiusi a chiave, come se ci fossimo isolati in una dimensione solo nostra, ritroviamo una situazione completamente diversa. I divanetti del privé sono quasi tutti liberi, resta solo qualche coppia che si sta concedendo in performance acrobatiche, scendiamo la scala che dal soppalco ci conduce nel vivo della festa.
"Devo uscire, vieni con me?" guardo Manuel e poi il centro della pista, cercando di individuare Chiara o Stefano, ma il locale è ancora pieno perché io possa scorgerli facilmente. Non ho voglia di restare ad aspettarlo da sola dentro, così mi appresto a seguirlo.
"Ti prendo il cappotto" quell'affermazione mi coglie alla sprovvista. Forse è un gesto a cui è abituato e forse non dovrebbe neanche sorprendermi più di tanto, ma a me sembra l'ennesima iniziativa premurosa e galante da parte sua. Mi stringo nelle spalle, portandomi le braccia al petto, disarmata dalla mia inesperienza in fatto di uomini e anche dal suo istinto protettivo nei miei confronti che, anziché provocarmi intolleranza, mi avvolge con un maglione in pieno inverno.
"Hai il numeretto?" lo sfilo dalla cover del cellulare e glielo consegno. Intanto, in punta di piedi tento nuovamente di trovare almeno Chiara. Non faccio a meno di chiedermi se sia ancora con Alessandro o con Stefano o se ha litigato con il suo ex ed è finita nelle braccia del primo che ci ha provato, visto che non ha risposto al mio messaggio.
"Andiamo" Manuel mi infila il cappotto. Mi sento decisamente come fosse il nostro primo appuntamento, la cena è finita e stiamo andando via. Lui ha indossato la sua giacca di pelle, che lo rende ancora più maturo e questo mi distrae ancora una volta. Quando usciamo dal locale, siamo immersi da nuvole di fumo di sigarette, mi tiene ancora per mano quando ci dirigiamo verso due ragazzi che hanno un'espressione preoccupata.
"Dov'è?" chiede.
"Lo abbiamo appena fatto salire su un taxi..." dice il ragazzo alto, con gli occhi azzurri, i capelli castani e il cappotto grigio. Sposta lo sguardo da Manuel a me e poi alle nostre mani unite. Ora che lo guardo bene, mi sembra il centrocampista del Raven.
"Piacere, sono Francesco" quando mi accingo a rispondere al saluto, sento la stretta di Manuel farsi più decisa, come se non fosse un caso che mi tenesse ancora per mano, ma volesse farmi presente la sua intenzionalità. Si presenta anche l'altro, con un ciuffo biondo che ricade sulla sua fronte, lasciando intravedere gli occhi verdi.
"Io Alberto" dice con un sorriso amichevole. Lui dovrebbe essere l'attaccante.
"Brenda..." non rimangono seri per molto. Francesco e Alberto si scambiano un'occhiata complice e divertita.
"Credo che dobbiamo imparare tutti dai più giovani..." scherza Alberto. Manuel, imbarazzato, sorride chinando il capo.
"Sai Brenda, è arrivato da... neanche un mese ed è già fidanzato" il commento ci spinge a guardarci. Non sappiamo cosa dire ma, anziché affrettarci a spiegare, scoppiamo a ridere. È la prima volta che entro in sintonia con qualcuno al punto da ridere sopra i pensieri avventati di altri, senza sentire il bisogno e la pressione di chiarire le cose. Soprattutto perché Manuel non posso definirlo amico, né fidanzato e lui, anziché accingersi a spiegare la situazione agli amici – come avrebbe fatto chiunque altro per non apparire coinvolto in relazioni che non c'erano e inneggiare alla sua libertà – non chiarisce nulla.
"Devo concordare sul fatto che, da quando è arrivato a scuola, ci sono stati dei cuori che ha catturato, ma noi siamo compagni di classe..." sento di dover spiegare. Manuel mi guarda con la coda dell'occhio mentre sfodera ancora il suo sorriso magnetico e sporco di malizia.
"Ah certo, compagni di classe" replica Alberto, schiarendosi la voce.
"Ehi Manuel" Francesco si avvicina a lui, come volesse creare un'atmosfera più confidenziale e intima "ho saputo dello... scontro con Cristian" Manuel si fa scuro in volto e, questa volta, la pressione che la sua mano esercita sulla mia deve essere per cercare di controllarsi. Non lo conosco bene, ma da quel poco che ho osservato, posso dedurre che sia un ragazzo istintivo, passionale ecco... in tutti i sensi. Io mi limito a mitigare la rabbia che deve provare condividendo l'intensità della sua stretta, sfiorandogli il dorso della mano con il pollice.
"Non te la farà passare liscia, ma ehi" Francesco lo strattona per le spalle e prende il volto tra le sue mani perché possa guardarlo dritto negli occhi "niente più cazzate. Già ti sei messo in cattiva luce per averlo affrontato dentro lo spogliatoio, non rovinare tutto o non ritornerai più in serie A!" Manuel abbassa lo sguardo, indizio che probabilmente ha incassato il colpo. Affrontato nello spogliatoio... è questo il diverbio avuto in squadra per cui rischiava di essere cacciato? Aveva litigato con i compagni di squadra?
"Non so cosa mi sia preso..." a quel punto però sento di dover intervenire.
"In realtà Manuel lo ha colpito perché mi ha insultata, senza alcun motivo" spiego.
"Ci crediamo Brenda" aggiunge Alberto "è tipico di Cristian. Non ha rispetto per nessuno, ha sempre dato filo da torcere ai nuovi e Manuel è ancora più appetibile visto che viene fresco fresco dalla serie A ed è un bravo ragazzo" aggiunge un colpo affettuoso sul suo collo che lo fa ridere "io ti sostengo, ma tu vedi di mantenere il controllo..." lo avvisa.
"Ti ringrazio" si danno il cinque e si abbracciano "ho perso la testa, ma starò più attento" aggiunge Manuel strizzandogli l'occhio.
"Bene, ora noi andiamo. Ci vediamo lunedì, mi raccomando non fate tardi" dice puntandoci l'indice e il medio a forbice. Li guardiamo allontanarsi e mi accorgo di avere le gambe quasi congelate. In più la caviglia mi sta tormentando.
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