Capitolo 9

«Da quando è in questo stato pietoso?» domandai, preoccupata per mio padre, a mio fratello. 

Papà stava vomitando anche l'anima e ciò non poteva che dispiacermi. Ancora non capivo perché si riducesse così!

«Diciamo dalle sette» rispose guardando l'orologio al polso, indifferente ai continui conati di vomito di papà. Io, invece, tra un po' gli avrei fatto compagnia a vomitare.

Quel pomeriggio a scuola con Kyle, avevamo pulito tutto in meno tempo della volta precedente. Comprensibile, visto e considerato che quella volta non ci eravamo trovati chiusi in nessun ripostiglio!

Alle 17:30 ero già a casa e avevo un bisogno urgente di fare una doccia, soprattutto a causa della pittura che ancora imbrattava i miei vestiti e qualche residuo che sporcava la mia pelle. Quando finii, andai un po' a casa di Katy, per raccontarle tutto, e quando tornai a casa mia, verso le 19:30... be', era tutto un disastro. 

In quel momento mi trovavo in bagno con Jem, a fare da badante a nostro padre. Avrebbe mai risolto i suoi problemi?

Okay, il dottore cosa aveva detto riguardo questi casi? Dannazione a me e alla mia tremenda memoria! Il suono del citofono mi fece saltare dallo spavento.

«Vai tu, qua me la vedo io, ricordo quello che ha detto il medico» mi rassicurò mio fratello. Ogni tanto era bello vederlo in versione autoritario.

Aprii la porta e il cancello, vizio bruttissimo, e, vedendo chi fosse, rimasi sorpresa: «Kyle... che ci fai qui?» domandai in imbarazzo e socchiusi la porta in modo che non vedesse il disastro nel salone: c'era vomito dappertutto.

«Ehm... io... ehm...»

«Arrivi al dunque o dobbiamo stare qua fino a domani?» lo punzecchiai, anche se era bello vederlo in imbarazzo ed estremamente raro.

«Sì, mi sono trovato nelle vicinanze e quindi ho colto l'occasione per riprendermi la giacca. Sai, te l'ho prestata, non regalata» mi ammonì, ritornando il solito stronzo di sempre. Non era mia intenzione rubare qualcosa a qualcuno, sicuramente gliel'avrei ridata, un giorno o un altro.

«Sì... te la prendo subito» sussurrai mentre aprii la porta il giusto necessario per poter passare, ma non feci in tempo.

«Posso entrare?»

«Ehm... sarebbe meglio di no» sussurrai con la porta ancora socchiusa.

«Sicura sia tutto okay?» domandò sfiorandomi una guancia il giusto per portarmi a guardarlo dritto negli occhi.

«Sicurissima» trillai velocemente staccandomi. Ma il ragazzo mi regalò uno sguardo strano e ammonitore. 

Capiva gli stessi mentendo. Mi scostò delicatamente e spalancò la porta entrando, mentre io, rimasta ancora fuori, non potei che alzare gli occhi al cielo ed entrare a mia volta. Perché quel ragazzo faceva sempre di testa sua? Era odioso.

«Che succede?» chiese preoccupato, guardando il vomito nel salotto.

«Niente... ti vado a prendere la giacca, così vai via» sussurrai imbarazzata, prima di sparire di sopra. 

Velocemente estrassi l'indumento dall'armadio e corsi giù per le scale, così veloce che per poco non inciampai nei miei stessi piedi, ma non trovai più Kyle, il salotto era vuoto. 

Un altro conato mi perforò le orecchie. Non ne potevo più! Capii subito che fine aveva fatto il ragazzo e, quando lo trovai ad aiutare Jem in bagno, mi congratulai con me stessa per aver intuito alla svelta. Okay, non ci voleva chissà quale intelligenza!

Mio padre si rialzò dalla sua posizione accovacciata sul water dopo vari secondi. Era ovvio, dato che era ormai molto il tempo da cui stesse cacciando quello schifo dal corpo. Ero convinta ormai che il suo stomaco fosse vuoto.

«Grazie» non potei che sussurrare a Kyle.

Il suo volto era impassibile e il suo sguardo impenetrabile. Non uno sguardo schifato, non un giudizio. Alzò un angolo della bocca, lanciandomi un mezzo sorriso, mentre mettevamo mio padre a letto, sotto le coperte calde, coprendolo dal gelo serale newyorchese. 

Ogni giorno mi sentivo sempre peggio, per lui, per Jem, per me; avrei voluto che la situazione non peggiorasse, ma era davvero difficile riuscire nell'intento. Cosa c'era che non andava in lui?

***

La sveglia suonò forte, come sempre, ed io mi costrinsi a non urlare di rabbia. Mi chiedevo quando sarebbe finita la scuola.

Ero stanca di svegliarmi tutte le mattina così presto, nonostante non facessi storie.

Anche quella mattina fu la solita routine, il solito elenco: lavarsi, vestirsi, mangiare e dritta a scuola. Ormai era così automatico fare le stesse cose, tanto che, quando arrivavo a scuola, dovevo controllare se avevo indossato le scarpe e tirare un sospiro di sollievo, vedendo fossi vestita come si conviene. Dimenticavo persino cosa mangiavo a colazione o cosa avevo indossato o se avevo lavato i denti. Nonostante questo, però, sapevo di aver fatto tutto, perché ormai era abituale, non avevo neanche più bisogno di pensare al da fare appena sveglia. Non sapevo perché, ma la mia paura costante era di aver dimenticato di indossare le scarpe e di portare ai piedi le mie comode ciabatte azzurre, il che sarebbe stato una vera figuraccia.

In quel momento ero a lezione di letteratura inglese ed ero intenta a chiacchierare con Katy, prima che la prof mi fulminasse con lo sguardo ammonitore sotto ai suoi occhiali sottili.

«Ci andiamo alla festa?» mi stava dicendo la mia amica e io, come mio solito, provai in tutti i modi ad oppormi. Le feste non sono per tutti, bisogna ammetterlo, ed io non ero tipo da festa. Katy sì, ma io no.

Quando la lezione finì, la ragazza seduta al banco davanti al mio, si avvicinò a me e Katy. Non l'avevo mai vista prima di quel momento nell'istituto, il che era strano, sicuramente una così non era per niente invisibile. Credevo fosse una nuova arrivata.

«Ragazze, scusate, non volevo origliare, ma di che festa parlavate? Sapete, sono nuova e vorrei ambientarmi bene» dichiarò la ragazza e io trovai conferma delle mie supposizioni.

«Una festa a casa Johnson. Se vuoi, puoi venire con noi!» esclamò la mia amica sprizzante di energia e felicità da tutti i pori. Casa Johnson? Non quella vi prego!

«Noi?» aggrottai le sopracciglia nella sua direzione. Mi sembrava le avessi detto tutt'altro che sì!

«Mi farebbe piacere» sorrise sincera la ragazza nuova, inclinando leggermente la testa.

«Oh! Cielo! Scusate, non mi sono ancora presentata. Io sono Jasmine» allungò una mano, prima verso me, poi verso Katy.

Aveva un'aria familiare, comportamenti familiari.

«Desy»

«Io sono Katy» quasi la mia amica si mise a saltare per la felicità. Adorava fare amicizia. Non avevo pregiudizi per la "nuova", perché credevo tutti si meritassero almeno una chance.

«Incontriamoci in piazza alle nove, la casa si trova lì vicino»

«Va benissimo»

Come potevo tirarmi indietro? Katy mi aveva incastrata.

***

«D-E-S-I-D-E-R-I-A-A-A» stava urlando Katy al citofono, mentre io man mano staccavo l'oggetto dall'orecchio, quasi diventata sorda.

«Ho detto che sto arrivando!» esclamai furiosa, premendo il pulsante per aprire il cancello e fare entrare la mia amica. Quanta ansia stava portando!

«Hai fatto?» si fermò sul ciglio della camera, sbattendo un piede per terra irritata. Un abito lilla lungo fino a metà coscia anteriormente e più ampio dietro, con delle ballerine del medesimo colore e dei brillantini, le adornavano il corpo in modo elegante e dolce. Quella tonalità stava a pennello con i suoi capelli biondo scuro ed i suoi occhi verdi.

«Sì!» esclamai esasperata, facendo un ultimo sforzo per indossare i miei adorati stivali corti neri con un tacco abbastanza alto e largo. Con quelli non sarei dovuta cadere, non come mio solito almeno. Meglio non ricordare certe figuracce fatte.

«Dove dobbiamo andare quindi?» domandai. C'era ancora un barlume di speranza, non quella casa.

«Casa Johnson»

«Da Kyle? Non possiamo restare meglio a casa Collins? Pop corn, patatine e un film strappalacrime? Come piacciono a te! Lo scegli tu! Ma risparmiami questa festa!» non avevo proprio voglia. Però quel giorno a scuola pensai fosse un modo per conoscere meglio anche la ragazza nuov... okay, Jasmine.

«Non se ne parla! E poi guarda quanto sei bella! Farai sicuramente colpo» strizzò un occhio la mia amica. 

Indossavo il mio vestito preferito. Era di un azzurro intenso, come il cielo durante una giornata di sole, ed il busto era di pizzo nero e più stretto rispetto alla gonna che si apriva sfasata, prima di terminare poco sopra le ginocchia. Poco prima dell'arrivo della mia amica, il subconscio mi aveva giocato brutti scherzi. Non sapevo cosa indossare e, guardando quel vestito, la mia fantasia volò in alto. Mi trovai ad indossarlo nel giro di pochi secondi, ma non mi andò di cambiarlo, così lo tenni.

«Andiamo» sbuffai sonoramente.

«Alt!» mi fermò la mia amica.

«Posso farti un'acconciatura?»

Alzai gli occhi al cielo. Era davvero inutile rifiutarle qualcosa.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top