Capitolo 48
Erano trascorsi tre giorni. Nel frattempo non avevo fatto altro che studiare e passare gli esami con buoni voti. Durante questi, Katy mi aveva rivolto la parola più volte, porgendomi le sue scuse, ma l'avevo perfettamente ignorata. Un po' mi dispiaceva, perché forse aveva i suoi buoni motivi, però avevo bisogno di tempo per poter perdonare almeno lei, Jasmine e James; perché di perdonare Ryan e Kyle non se ne parlava proprio. Non mi stavo facendo sconfiggere dagli altri. Dovevo farmi forza, dovevo farlo per me stessa. Avevo spento il cellulare il giorno stesso della scoperta dell'inganno. Se ci pensavo, mi veniva da piangere e il cuore mi si stringeva, per questo evitavo di rimuginare sul tradimento.
La concentrazione sui libri mi aveva distratta, fortunatamente. Avrei avuto tutta l'estate per pensare alla situazione. In quei giorni non avevo voluto vedere nessuno se non quando era strettamente necessario. Jeremy e papà avevano capito che c'era qualcosa che non andava, così come Sasha, Meg ed Ethan, ma non avevano insistito per saperlo, per fortuna. Proprio non me la sentivo di raccontarlo a qualcuno.
Era arrivato il giorno della consegna del diploma e, ovviamente, era riservato a questo una sorta di festa speciale, dove noi tutti studenti avremmo dovuto indossare delle uniformi nere, sopra a delle camicie bianche, con tanto di cappelli neri.
«Tesoro, c'è zia Anne al telefono. Vorrebbe parlarti. Ah, è arrivata anche questa. Credo sia la risposta dell'università» fece capolino mio padre dalla porta della mia stanza, mentre io avevo appena finito di indossare quella sottospecie di vestaglia nera.
«Passami zia» dissi soltanto, accennando un sorriso forzato, che man mano divenne vero dopo aver sentito tutte le parole pronunciate da mio padre. Allungai il braccio per prendere il cellulare e la lettera porti dall'uscio della porta. Cominciai a parlare quando fui rimasta sola e mi fui stravaccata comodamente sul mio adorato letto. Il cuore mi batteva a mille guardando la lettera tra le mie mani. Tra poco avrei scoperto il mio futuro. La misi da parte, decisa a dedicargli tutta l'attenzione che meritava più tardi. Prima avrei parlato con mia zia che stava aspettando al cellulare: «Ciao, zia»
«Desy! È una vita che non ti fai sentire!»
Era la sorella di papà e, benché fosse più anziana di lui, sembrava una diciottenne nell'animo. Era bello parlare con lei. Aveva la mente aperta dei più giovani e la saggezza degli adulti; un mix perfetto, insomma. Aveva due figli, uno dei miei stessi anni, Matthew, e l'altro di due anni più grande, Paul. Viveva in Italia da quando si era sposata, ma poi lei e mio zio avevano divorziato e lei aveva scelto di restare lì.
«Lo so, zia. Con la scuola è stata dura quest'anno» spiegai, usandola come scusa.
«Ho parlato con i ragazzi...» cominciò a dire, riferendosi ovviamente ai suoi figli.
«Stavamo pensando che potresti trascorrere l'estate qui da noi. È da tanto che non vieni a trovarci e poi Paul verrà qui con la sua nuova ragazza e ci tiene davvero a presentartela» concluse. Mio cugino Paul aveva deciso di frequentare l'università in Spagna, quindi era una grande notizia poterlo vedere una volta tanto. Ricordavo ancora quanto eravamo uniti da piccoli! Che bei ricordi...
«Ah, te l'ha detto Matt?» continuò mia zia, non lasciandomi parlare.
«Dirmi cosa?» domandai senza capire.
«È stato preso all'Università di lettere di Harvard e tuo padre mi ha detto che vorresti frequentarla anche tu. Non ti è ancora arrivata la lettere di risposta?» domandò ed io tremai un secondo, guardandola lì al mio fianco sul comò.
«In realtà è appena arrivata» dichiarai a mia zia, continuando a guardare la lettera come fosse un tesoro inestimabile.
«E?»
«Non l'ho ancora aperta»
«Cosa diavolo aspetti?» urlò Matt dall'altro lato del telefono, mentre mia zia rideva felice. Ero probabilmente in vivavoce.
«Ehi! Ciao anche a te, Matt!» risposi scherzando.
«Ora la apro» continuai, allungando la mano verso la busta bianca.
Aprii delicatamente l'involucro e, prima di estrarne il contenuto, feci un respiro rumoroso, sentendo in sottofondo mio cugino ridacchiare. Alzai momentaneamente gli occhi al cielo, sentendo tra le mani la carta bianca e tirandola via dal contenitore. Aprii totalmente la lettera ed iniziai a dare uno sguardo veloce, tralasciando tutte le parti che credevo inutili. Ero arrivata alla fine e non avevo trovato nessuna "Accettato" o "Non accettato", per questo mi decisi a leggerla con più calma, ma sempre trascurando le parti troppo formali e futili.
«Siamo lieti di riferirle che è stata accettata all'Università di Harvard» lessi a voce alta ed il mio cuore sembrava esplodere di gioia. Forse le cose non potevano andare sempre bene, ma, almeno ogni tanto, il destino era dalla mia parte, non mi aveva abbandonata. Sentii anche dal telefono degli urletti di gioia di mia zia e l'esaltazione di mio cugino.
«Quindi andremo insieme!» urlai io al cellulare in vivavoce. Tra risate e felicità riuscii a calmare la mia eccitazione.
«Zia,verrò da voi per tutta l'estate, allora. Così, io e Matt torneremo a New York insieme non appena sarà il momento e andremo a Cambridge» sorrisi.
Era giusto così. Era giusto che mi prendessi il mio tempo lontano dalla triste vita che stavo conducendo, lontano dagli inganni e, soprattutto, lontano dalle persone che mi avevano fatto del male. Era per il mio bene e per quello di tutti. Magari un giorno sarei riuscita a perdonare, o magari sarei passata oltre. Mi avrebbe fatto bene, questo era certo.
«Papà, papà!» urlai, correndo per le scale per annunciare la buona notizia.
E per poco non stavo scivolando rompendomi l'osso del collo.
«Dimmi, tesoro» accorse papà dalla cucina con un grembiule decorato con delle rose rosse.
«Mi hanno preso all'università di Harvard. Non posso crederci!» saltai per la gioia, evitando di ridere per il vestiario di mio padre.
«Oh, tesoro! Come sono felice per te!» mi disse, abbracciandomi forte. Vidi mio fratello, Meg, Ethan e Sasha venire verso di noi e unirsi tutti al nostro abbraccio. Tutti tranne il ragazzo, ovviamente, che, però, mi guardava con soddisfazione e gioia.
«Siete tutti pronti per la consegna del diploma?» ci domandò Sasha, con tono forte ma dolce. Annuimmo tutti contemporaneamente, prendendo le giacche sugli appendiabiti e dirigendoci tutti verso macchine diverse. Noi ragazzi salimmo sulla nuova macchina di Ethan, mentre i genitori su un'altra.
Ce l'avrei fatta a rivedere quelli che mi avevano ingannata?
KYLE'S POV
«Kyle, alza il culo dal letto! È ora di andare a prendere il diploma» disse Doris dalla cucina. Ormai era una vita che viveva a casa mia, e avevo un rapporto più stretto con lei che con mia madre.
«La puttana è uscita?» chiesi spontaneamente con la voce impastata dal sonno, con ancora gli occhi chiusi.
«Signorino! Quante volte ti ho detto di non chiamarla così? È tua madre!» mi rimproverò falsamente, entrando nella mia stanza, puntandomi un dito contro. Era una donna anziana, potevo considerarla mia nonna, ma era davvero una brava colf. Riusciva a ricompensare l'assenza di entrambi i miei genitori.
«Si, signore!» obbedii, alzandomi dal letto, sebbene indossassi soltanto un paio di boxer. Doris era abituata a vedermi in giro in quel modo, era una mia abitudine e ormai non ci faceva neanche più caso.
«Hai svegliato Jason?» le domandai.
«Sai benissimo che non c'è bisogno di svegliare tuo fratello, è molto più responsabile di te»
«Ah, Doris!» dissi, lasciando un bacio sulla testa della vecchietta e la stanza in disordine.
«Ti voglio bene anche io» mi urlò, mentre stavo per dirigermi in bagno per fare una doccia. Non le avevo mai dimostrato con le parole il mio affetto per lei, ma ero certo potesse vederlo. Con lei non ero stronzo quanto con gli altri. In quel momento pensai a Desy. Con lei ero totalmente diverso; peccato non potessi esserlo più. Erano tre notti che continuavo a fare incubi, sognando sempre lei che soffriva a causa mia, un po' la realtà, insomma. Mi svegliavo sempre tutto sudato, irritato, senza riuscire a prendere di nuovo sonno velocemente. Me lo meritavo.
Non era il momento di pensarci, in quel momento. L'importante era che l'avrei rivista. Erano stati tre giorni orrendi senza di lei, con il senso di colpa che mi attanagliava il petto, e non avevo neanche avuto il coraggio di avvicinarla, sapendo bene di non meritare il suo perdono. Mi bastava vederla.
«Kyle, è arrivata una lettera per te dall'università di Harvard» pronunciò Doris a voce alta, entrando nel bagno, mentre io ero nella doccia oscurata dal vetro. Avevo anche dimenticato di aver inviato una domanda di ammissione. Credo che ciò che attirò di più la mia attenzione fu il fatto che la palestra fosse sempre disponibile e fare basket era la mia vita. Molti cestisti della scuola lo divennero in modo professionale proprio in quella università e, forse, sarebbe potuto anche essere il mio destino. Nel peggiore dei casi mi sarei laureato in medicina. Anche se era una materia assolutamente complicata, mi aveva sempre incuriosito al punto che sarebbe potuta diventare la mia materia di studio e la mia professione. In qualunque caso Harvard era una fra le scuole più prestigiose e ambite. Quindi non era tanto che la scuola non andava bene per me, ma forse io per la scuola. Perché tra miliardi di studenti avrebbero dovuto scegliere me? Ma... forse avevo già pensato troppo al futuro, dovevo guardare il presente.
Uscii dalla doccia gocciolante, mi asciugai velocemente uscendo dal bagno totalmente nudo, mi vestii indossando i miei soliti abiti e quella orrenda tunica nera che mi avevano dato. Nonostante sembrassi ridicolo, tirai un sospiro sapendo che a momenti tutto sarebbe finito e annunciai a Doris e mio fratello che sarei uscito per dirigermi verso scuola, felice anche solo sapendo che l'avrei rivista.
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