Capitolo 47
«Desy, ho lasciato James» mi disse Katy per telefono, dopo che Kyle mi ebbe accompagnato a casa ed io ebbi fatto anche una calda doccia rilassante. Ero sdraiata sul letto, ma, dopo aver sentito quelle parole, mi misi seduta con gli occhi spalancati. Perché cavolo l'aveva fatto?
«No, aspetta. Non ha senso. Non hai detto di stare bene con lui?» domandai, provando a capire, incrociando le gambe.
«Sì»
«E perché l'hai fatto, allora?»
«Perché mi ha nascosto una cosa importante»
«Cosa? Ti ha tradita?» chiesi, spalancando ancora di più gli occhi.
«No, no, non è questo. È più complicato di così» disse, ma sentivo mi stesse nascondendo qualcosa.
«Allora perché l'hai lasciato?» chiesi, sentendola tirare su col naso.
«Perché non riesco a fidarmi di lui, ora, e anche per un altro motivo» rispose, aumentando la mia curiosità.
«Cioè?»
«Niente. Devo andare, Desy. Ti chiamo più tardi» concluse, prima di riattaccare.
Ero curiosa di capire quale fosse quel motivo di cui parlava la mia amica. Mi aveva sempre raccontato tutto e non riuscivo a capire perché non lo stesse facendo anche in quel momento. Cosa stava nascondendo?
Accantonai quel pensiero e ripensai alla giornata trascorsa con quello che ormai potevo definire il mio ragazzo. Al sol pensiero ero sicura mi venissero gli occhi a cuoricino e tremavo leggermente immaginandolo al mio fianco. Forse non ero poi così sola in realtà, forse potevo credere all'idea di essere amata da qualcuno, potevo pensare di essere la sola a fargli provare certe emozioni. Potevo, ma qualcosa in fondo in fondo mi faceva pensare che non era così.
Mi girai su un lato del letto, frizionando i capelli e poggiando lentamente il capo sul cuscino morbido e bianco decorato da qualche fiore rosa qua e là. Mi addormentai, provando a tralasciare quella brutta sensazione che conviveva con me.
***
Il cellulare cominciò a squillare ed io, senza neanche rendermene conto, avevo già tastato il pulsante verde e avvicinato l'aggeggio al mio orecchio: «Sì?»
«Sono Abbey» disse la voce dall'altro capo del telefono. Spalancai gli occhi e la bocca per la sorpresa, svegliandomi totalmente. Non capii per quale motivo avesse chiamato. Ultimamente capivo poco o niente.
«L'altro giorno, le tue parole mi hanno colpito» continuò.
Okay, sì, sto sognando, pensai, dandomi un pizzicotto forte sul braccio, come avevo visto fare in vari film. Non funzionò, forse quella era la realtà, forse non stavo sognando.
«Vorrei fare qualcosa di buono, per una volta» disse.
Sembrava sincera, volevo crederle. Tutti potevano cambiare.
«Mi stai ascoltando?» chiese dopo.
Be', non avevo ancora spiccicato mezza parola, era comprensibile la domanda.
«S-sì» balbettai leggermente, agitandomi sul letto.
«Bene. Ho bisogno che ti rechi da Starbucks»
«Quando?»
«Ora, sono già qui, ti aspetto» la sentii sorridere e chiusi la chiamata con un veloce saluto.
Dovevo fidarmi sul serio? Dovevo andare da Starbucks come mi era stato detto? Come avrei fatto a scoprire se fosse stata sincera, altrimenti?
Perciò presi la mia borsa, salutai velocemente mio padre appena tornato da lavoro e mi diressi con passo lento verso il posto indicatomi.
Camminavo per la strada timorosa di sapere, lanciando qualche sassolino di tanto in tanto per prolungare il mio arrivo. Sembrava che tutto mi stesse dicendo di tornare indietro. Anche i passanti sembravano guardarmi in modo strano, ma sapevo che fosse soltanto la mia fantasia. Il cuore martellava forte e io non ne capivo il motivo. Forse mi aspettava qualcosa di brutto e i miei sensi lo percepivano prima? Se fosse stato così, avrei fatto bene a ripercorrere i miei passi per chiudermi in casa. Per una volta, però, volevo seguire la mia testa. Ero troppo curiosa di sapere cosa avrebbe fatto di buono Abbey.
Alzai la testa, scorgendo la caffetteria. Mi fermai un momento, sospirando, e ripresi a camminare più lentamente di prima, quasi come se stessi andando al patibolo. E, effettivamente, era così che mi sentivo. Ne sarei uscita decapitata?
Dei campanellini suonarono quando aprii la porta in vetro di Starbucks e vidi immediatamente Abbey seduta ad un tavolo con Katy, Jasmine, James e Ryan al suo fianco.
«Perché ci hai fatto venire qui?» domandò la mia migliore amica, agitandosi sulla sedia di legno, appena mi vide. Quindi non ero stata l'unica ad essere chiamata da lei? Cosa stava succedendo?
«Dai tempo al tempo» rispose prima a lei e poi guardò me che ero rimasta imbambolata davanti all'entrata. Bevve un sorso di caffè e mi fece un occhiolino. Che? Ero confusa.
«Vieni, Desy, siediti pure» mi disse gentilmente, eppure c'era qualcosa nel suo sguardo e nel suo sorriso che mi vietavano di fidarmi completamente. Vidi Katy sbarrare gli occhi, Jas e James agitarsi e impallidire e Ryan voltare lo sguardo dappertutto tranne che su di me. Non mi avevano neanche salutato.
«Appena saremo al completo, inizierò a parlare» chiarì Abbey, indicandomi una sedia vicino a Jas. Nelle sue mani vidi un diario in pelle nera, come quello che ci aveva dato la professoressa Smith, ma non ci diedi molto corda. Poteva perfettamente essere il suo.
«Chi manca all'appello?» domandai, ancora confusa, torturandomi le unghie delle dita e spostando la sedia per sedermi.
«Kyle, ovviamente. Il pezzo forte» rispose ovvia. E lì capii che ciò che stava per accadere non era nulla di buono, che il mio cuore sarebbe ritornato ad essere un insieme di pezzi vaganti senza meta, senza vita. E il bello è che non sapevo neanche il motivo.
KYLE'S POV
Il cellulare emise un piccolo suono, mentre io ero un bagno di sudore per via dei pugni e calci che stavo dando al sacco da boxe nel seminterrato. Mi stavo sfogando e poco poteva importarmene del telefono buttato a terra a caso. Quando udii nuovamente quel bip, tolsi i guantoni rossi lacerati per la troppa forza e controllai che quei messaggi non fossero della mia ragazza. Frizionando i capelli con un po' troppa violenza, lessi il messaggio: -Dobbiamo parlare. Sarebbe bene per te venire da Starbucks, ora. Ti aspettiamo qui-
Cosa cazzo vuole Abbey? pensai, mentre mi si creava un peso nel petto. Che vuol dire 'aspettiamo'? Lei e chi? Non si metteva bene, lo sentivo. Dovevo controllare che tutto fosse apposto.
Presi la maglietta che avevo gettato a terra ore prima, restando a dorso nudo, e me la passai sulla fronte, asciugando la maggior parte del sudore. Velocemente salii le scale, diretto verso il bagno per fare una doccia velocissima e dirigermi, poi, da Starbucks.
DESY'S POV
Nessuno parlava, nessuno mi guardava. Continuavo a non capire e a cercare confusa i loro sguardi inutilmente. Sembrava che il tempo non passasse mai.
«È quasi mezz'ora che aspettiamo. Ho perso la pazienza. Inizieremo senza di lui, sperando che verrà sul più bello» dichiarò Abbey, quasi come se stesse facendo delle considerazioni tra sé e sé, e poi, con uno sguardo difficile da interpretare, iniziò a parlare di nuovo, tra i vari volti pallidi dei miei amici. Le mie mani cominciarono a tremare senza motivo, perciò presi un fazzoletto e iniziai a strapparlo in mille piccoli pezzetti, sentendo che fosse la fine che il mio cuore stesso avrebbe fatto da lì a poco. Non riuscivo a togliermi dalla testa la sensazione di solitudine e tristezza.
«Abbey, non devi farlo» parlò Katy, voltando il capo a sinistra, verso la ragazza, con gli occhi lucidi. Cosa non doveva fare?
«Non sto facendo niente di male, per un volta. La verità è sempre un bene, giusto, Desy?» domandò con un sorriso cattivo.
Era la verità, eppure sentivo un peso opprimermi. Di quale verità stava parlando?
«Che ne pensi, Ryan?» domandò poi a lui.
Aveva ancora il volto chino sul tavolo in plastica nero e, anche dopo quella domanda, non si decise ad alzarlo per fissarmi negli occhi. Cosa mi stavano nascondendo?
«Non mi rispondi, eh? Siete troppo patetici» rise di gusto lei, inarcando la schiena verso lo schienale, non ricevendo risposta da nessuno.
«Abbey, non giudicarli» mi azzardai a dire e lei mi guardò incredula.
«Fossi in te non li difenderei così tanto i tuoi amici» sputò acida, sottolineando la parola "amici". Non stavo capendo nulla.
«Leggi» ordinò, lanciandomi il diario in pelle che poco prima era nelle sue mani.
Prima che potessi prenderlo, però, Jasmine lo tenne stretto in una mano, tanto che le sue nocche divennero bianche. Abbey glielo sottrasse e lo aprì a caso, posizionando un dito e annuendo.
«Non sfruttare così l'opportunità che hai di migliorare» la pregò Jas, sporgendosi sul tavolo per guardarla meglio.
«Ho già fatto la mia scelta. Sarò migliore se dirò la verità, cosa che voi non avete avuto il coraggio di fare» rispose quella, parlando poi con me: «Ascolta, Desy, ascolta cosa il tuo fidanzato tramava alle tue spalle»
«Caro diario degli errori,
il mese scorso ho voluto fare un patto con quel coglione di Ryan. Non so neanche perché ti sto parlando di questo, sinceramente, ma ho un grande bisogno di farlo, quindi comincerò dove tutto è iniziato. Molto tempo fa eravamo entrambi molto amici di Desy, o meglio, ci piaceva la stessa ragazzina. Al tempo non ero chi sono adesso. Ero uno tra i tanti, un insignificante studente poco considerato. Circa tre anni fa io e quello che era il mio migliore amico abbiamo stretto un accordo per non ferire la persona che amavamo e per non rovinare la nostra amicizia. Poi, come ben avrai capito, la nostra amicizia si è rovinata comunque. Per tre anni questo accordo ha funzionato a meraviglia, sebbene il rapporto tra noi- me, Ryan e Desy-, fosse totalmente distrutto. Il patto consisteva nel non rivolgere più la parola alla ragazza, o almeno non nel senso buono, per evitare che venisse a conoscenza di altro che non resto qui a raccontarti ora- non oggi- e, come ti ho già detto, per non perdere l'amicizia con il ragazzo. Circa due mesi fa, però, l'accordo è stato annullato, perché quel coglione l'ha invitata addirittura a ballare, mandando tutto in frantumi. Non lo sopportavo. È vero, anche io parlavo con lei, ma non in quel modo. Perlopiù la stuzzicavo, lo trovavo comunque meglio che non rivolgerle proprio più la parola. In tal modo non stavo infrangendo nessun accordo. Un mese dopo, ovvero il mese scorso, abbiamo stretto un nuovo patto: chi avrebbe ricevuto le due parole d'amore per eccellenza da lei, avrebbe potuto stare con lei, mentre l'altro si sarebbe dovuto automaticamente allontanare. È una cazzata totale, forse, ma l'ho fatto per evidenziare la differenza tra me e Ryan. Non mi interessa se farò soffrire Desy, sono anni che non mi importa più di lei. Ciò che mi è caro è solo la mia persona e farò di tutto per sottolineare che sono il migliore» lesse Abbey. Parola dopo parola sentivo il mio cuore cadere a pezzi.
Non capivo. Non capivo ancora bene perché si fossero allontanati. La cosa che più era entrata nella mia testa era la sua frase: "Non mi interessa se farò soffrire Desy, sono anni che non mi importa più di lei". Mi aveva mentito. Per tutto quel tempo mi aveva mentito. E con lui, anche Ryan.
Non mi ero accorta di essermi alzata fin quando non sentii la sedia sbattere a terra. Stringevo i pugni lungo i fianchi, tanto che le nocche divennero bianche. Sentivo che le lacrime volevano uscire, ma io ributtai dentro tutto il dolore che provavo. Non avrei dato la soddisfazione di farmi vedere in lacrime. Volevo sapere solo una cosa. Chi altro sapeva del patto? Alzai gli occhi colmi di lacrime verso Ryan, guardandolo con odio, senza neanche riuscire a gestire le mie emozioni. Per la prima volta, in quella giornata, mi fissò e, in quegli occhi solitamente azzurri come il cielo, vidi il mare in tempesta. Non riusciva a parlare, come me del resto. Portai lo sguardo su James e Jasmine, sussurrando piano: «Lo sapevate?»
Non ricevetti risposta. Chi tace, acconsente.
Jas allungò una mano sulla mia, ma la divincolai velocemente. Per ultima, spostai il volto su quello della mia amica, aspettando che parlasse. Avrebbero potuto mentirmi tutti, ma non lei. Non potevo crederci. Non potevo credere che la mia migliore amica, che aveva condiviso tutto con me, la mia casa, il mio cibo, il mio letto, i miei sentimenti e la mia famiglia, mi avesse mentito così. Io non ero un oggetto e per loro lo ero stata. Lei non mi aveva detto nulla. Lei era stata loro complice.
«Desy, ti prego, perdonami. Non ero d'accordo con loro...» sussurrò con gli occhi bagnati.
«Ma non hai fatto nulla!» costatai con un tono cattivo.
Non potevano immaginare quanto dolore e odio stessero risvegliando. Sentivo il cuore in gola, la testa girarmi, le gambe cedermi. Mi appoggiai con le mani sul tavolo. Volevo scoppiare a piangere, cacciare il dolore via dal mio petto, ma dovevo aspettare. Non avrei dato loro la soddisfazione di vedermi il lacrime. La mia amica non mi rispose. Non avevo più niente da dire o da fare in quel luogo, con persone che mi avevano promesso l'universo e dato spazzatura. Sapevo di potermi fidare solo di me stessa, lo sapevo. Perché cavolo non riuscivo a comprendere che le persone sono tutte false? Tutte. Mi sarebbe servita da lezione. Una lezione che non avrei mai dimenticato.
Mi feci forza, ordinando ai miei piedi di ritornare a casa, dove avrei potuto dare sfogo ai miei sentimenti repressi. Mi sentivo uno zombie. Mi voltai e, in quel momento, chiusi gli occhi, dopo aver visto Kyle entrare preoccupato nella caffetteria. Volevo scomparire, per sempre. Era tanto chiedere questo?
Mi concentrai per essere il più indifferente possibile davanti a lui. Odio. Lo odiavo. Aprii gli occhi, pronta per uscire dal locale senza lasciargli neanche uno sguardo. Avrei voluto farlo soffrire tanto quanto lui stava facendo soffrire me, ma era impossibile, a lui non importava di me. Non dovevo guardarlo, eppure, non appena aprii gli occhi, questi corsero direttamente nei suoi, per vedere una qualche reazione. Il suo sguardo era assente, supponevo come il mio. Era triste, era arrabbiato, era deluso. Vidi i suoi occhi neri come la pece ed ero certa di essere caduta sul serio nel vuoto. Non riuscii a trattenere una lacrima che prese velocità sulla mia guancia fino a giungere sulla mia mano che stringeva il diario che poco prima avevo strappato dalle mani di Abbey, senza neanche rendermene conto, per controllare che fosse veramente la scrittura di Kyle. Dopo la prima lacrima ne seguirono altre che affrettai ad asciugare. Guardarlo e odiarlo era la cosa più difficile che potessi fare in tutta la mia vita, ma dovevo.
Cercò di allungare una mano, ma non gli permisi di toccarmi. Ero riuscita a fidarmi e forse è vero che a fidarsi rimani fregato.
KYLE'S POV
Abbey l'aveva fatto. Glielo aveva detto. Come aveva potuto? Anzi, come avevo potuto io?
Allungai istintivamente la mano per toccarla, ma vidi che si ritrasse ancora di più, allontanandosi da me. Stringeva il mio diario tra le mani, quello che da giorni non trovavo più.
«Mi fai schifo. Non voglio vederti più» mi urlò contro, come nel mio sogno di tempo fa, lanciandomi il mio diario con una forza inaudita.
Le lacrime iniziarono a scendere copiose dai suoi occhi. Lacrima dopo lacrima mi rendevo conto del male che le avevo causato. Ogni sua lacrima corrispondeva ad un pezzo del mio cuore che cadeva giù. Non sapevo che dirle. Non riuscivo a far uscire niente dalle mie labbra se non uno stupido: «Perdonami. Sei importante per me»
Lo pensavo davvero. Tutto ciò che volevo era essere perdonato. Perché una volta assaggiato il Paradiso, non puoi tornare all'Inferno.
Cazzo! Cosa cazzo avevo combinato?!
«Tu non sei nessuno per me» urlò, fuggendo via.
I campanellini vicino alla porta cominciarono a tintinnare e, picchiettio dopo picchiettio, sentii il mio cuore cadere in pezzi. Non avrei mai potuto dimenticare quelle parole. Era seria, io non ero più nessuno per lei. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a rendermi conto di aver perso per sempre ciò che da sempre avevo desiderato. No! Non andartene anche tu! La scongiurai dentro di me, ma era tutto inutile. I suoi occhi. I suoi occhi erano persi, vuoti, assenti, e tutto per colpa mia. Era solo colpa mia. Mi odiavo. Mi odiavo come non avevo mai odiato nessuno.
Non avrebbe potuto mai perdonarmi, non dopo che io avevo conquistato e buttata via la sua fiducia come se nulla fosse. Non volevo essere perdonato, non me lo meritavo. Ero un mostro e speravo che un giorno avesse trovato il suo principe. Non ero io. Non ero sicuramente io. Dovevo accettarlo, sebbene senza di lei mi sentissi perso e totalmente vuoto.
Lei meritava sicuramente di meglio.
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