Capitolo 42
KYLE'S POV
Quando udii il fischio d'inizio, utilizzai tutta la mia rabbia per strappare regolarmente la palla dalle mani del mio avversario. Era semplice, dovevamo solo passarci la palla e attendere di centrarla nel canestro. Dopo esser riuscito a passarla ad Ethan, mi feci avanti nel campo, avvicinandomi al canestro. Ethan la passò a Ryan, che subito dopo riuscì, con diverse difficoltà, a passarla a me. Saltai per buttarla direttamente nel canestro, ma il mio piede fu tirato giù da uno dei giganti avversari.
«Ehi! È fallo!» esclamai, tenendomi a stento in piedi.
L'arbitro mi fissò male, continuando a seguire la partita, senza emettere nemmeno un suono in mio favore.
«Okay...» sussurrai, determinato più che mai.
Sentivo il sudore gocciolarmi sulla tempia, quando l'arbitro fischio la fine di un primo tempo. Guardai il tabellone, scoprendo che eravamo in svantaggio di pochi punti. Quei bestioni erano dopati, ci potevo scommettere.
«Così non va bene! Dovete vincere!» ci urlò il mister.
«Ehi, mister, l'ha visto che sono delle bestie? E che l'arbitro è pure corrotto?» disse George, il più piccolo della squadra.
«Non voglio scuse, alzate il culo e battete la squadra avversaria. Capito?» continuò a gridare il mister e fui tentato di alzare gli occhi al cielo o gridargli in faccia, ma sapevo per certo che mi avrebbe messo in panchina, se l'avessi fatto, e addio vittoria.
«Ascoltate, ragazzi. Sono il doppio di noi di stazza, dobbiamo usare il cervello e passare negli spazi che lasciano aperti, velocemente. Possiamo vincere» dissi, in veste di capitano, incoraggiando la squadra.
Vidi tutti i ragazzi annuire. Un altro fischio diede inizio al secondo tempo. Riuscimmo a recuperare qualche punto, distando da loro solo per uno.
James mi passò la palla dal basso ed io mi intrufolai tra due avversari, dicendo: «Troppo ciccioni per essere veloci».
Entrambi, arrabbiati e perplessi, non riuscirono a fermare il mio canestro. Guardai per l'ennesima volta Desy, vedendola sorridere, divertita dalla partita. Con quelle trecce sembrava ancora più bambina di quanto non lo fosse, però le donavano particolarmente. Quel suo viso dolce era in perfetta sintonia con quell'acconciatura, ma non era il momento giusto per pensare a ciò che non era la partita. Concentrazione.
La palla passò da una squadra all'altra, andando a segno diverse volte da parte di entrambi i team. Ethan mi passò di nuovo la palla, tentai di nuovo di passare velocemente, abbassandomi, tra i giocatori avverarsi, però, due, capendo la mia mossa, mi strinsero tra le loro pance sudate. Per un attimo pensai: "Che schifo!", ma l'attimo seguente ero steso a terra per la forza dell'impatto.
«Così impari a darmi del ciccione, femminuccia»
Capii che il mister avesse chiesto il timeout quando tutti i ragazzi furono intorno a me. Mi misi a sedere subito, sentendo un dolore lancinante alla testa.
«Ce la fai a giocare, Johnson?»
«Non sono uno che si arrende, dovrebbe saperlo ormai» mi sforzai di sorridere, riempiendo poi i polmoni d'aria.
Vidi sugli spalti Desy alzata con una mano sul cuore, e quando mi guardò in piedi tirò un sospiro di sollievo, lasciando andare la preoccupazione.
Come mi avevano chiamato? Femminuccia... Bene, ora tocca a me fargli vedere chi è la femminuccia in campo!, pensai, lanciandogli uno sguardo di sfida.
Mancavano pochi secondi alla fine della partita ed eravamo in parità. L'ultimo punto avrebbe determinato i vincitori.
Eravamo tutti stanchi, ma loro di più. Non sarebbe dovuto essere troppo difficile vincere, eppure uno dei loro giocatori stava quasi saltando per fare un centro sicuro. Con tutta la velocità possibile, corsi e saltai, fermando giusto in tempo la palla che avrebbe determinato la loro vittoria.
Guardai il tabellone con i voti e il tempo. Cinque secondi e l'arbitro avrebbe fischiato per la fine della partita. Non c'era tempo per passare. Feci qualche passo svelto e lanciai la palla con la massima precisione possibile in quel momento e da quella distanza. Forse per la stanchezza, nessuno intercettò il mio tiro. Probabilmente speravano la mia mira facesse fiasco. Mi guardai intorno per un millesimo di secondo e vidi tutti concentrati sul movimento della palla. Un silenzio assurdo dominò il campo e gli spalti, quando la palla toccò il bordo del canestro, roteando un po', del genere "cado, non cado", tenendomi sulle spine. Poi, ad un tratto, la palla decise di graziarmi, entrando totalmente e definitivamente nel canestro. Tutto ciò che seguì furono urla di gioia. Le cheerleaders iniziarono il loro coro di vittoria, gli spalti si svuotarono per entrare in campo ed elogiarci e la squadra avversaria, vinta, si ritirò negli spogliatoi. I ragazzi mi alzarono in aria come un trofeo, prima di ricevere quello vero. Poi alzarono la coppa dorata grande circa mezzo metro.
Barbie mi saltò addosso, pronta per assaporare la vittoria che non era affatto sua e prendere in mano il trofeo per una foto. La scansai non molto delicatamente e mi diressi verso Desy, rimasta ad un angolo del campo con il sorriso sul volto, probabilmente perché non amava prendersi meriti non suoi. Mi tolsi la fascia rossa legata in testa e i capelli mi cadettero ormai arricciati sulla tempia e sulla fronte. Effetto sudore. Senza dirle nemmeno una parola, misi la fascia sulla sua testa. Quel gesto fece arrossire le sue guance. L'alzai un po' come una bambina e la strinsi tra le mie braccia, sussurrandole delicatamente: «Voglio la tenga tu. Te l'ho detto che avrei vinto».
«Non ne ho mai dubitato» sentii sorriderla sul mio petto. Inspirai il suo odore per poi staccarmi.
DESY'S POV
«Aspettateci fuori. Dopo andiamo a festeggiare» ci disse Ethan, chiudendo la porta degli spogliatoi. Senza neanche accorgermene, stavo toccando di nuovo la fascia che poco prima Kyle mi aveva donato. Era un gesto così semplice, eppure così importante per me. Sentivo che nel mio cuore stava nascendo un sentimento sempre più forte.
«Jas, tutto okay?» chiesi alla ragazza pallida in viso e immobile come un cadavere.
«Sì... no, in realtà no»
Ricevendo diversi sguardi interrogativi, continuò a parlare, mentre, con lenti passi, noi ragazze procedevamo verso il cancello di uscita della scuola.
«Megan non vorrei ripeterti le...» iniziò.
«Lo so, lo so. Senza offesa» rise quella, scuotendo una mano e lasciando continuare la ragazza.
«Io non capisco cosa passi per la testa di Ethan. Un giorno ci ignoriamo, l'altro ci scanniamo, e quello dopo ci baciamo. E non sono certo io quella bipolare, o meglio, tripolare! Secondo me è figlio di un demone» cominciò, parlando anche di cose insensate, come se stesse chiacchierando tra sé e sé.
«Cioè, non intendevo quello, Meg»
«Lo so, lo so, tranquilla. Puoi dire tutto ciò che pensi anche se si tratta di mio fratello»
«Okay...» sussurrò «... in qualunque caso, non intendevo figlio del demone geneticamente»
«Ci eravamo arrivate» Katy la prese in giro. Jas ruotò gli occhi, un po' come me e sentii un pizzico di familiarità.
«Comunque...» tentò di cominciare, però fu subito fermata da delle forti voci che sembravano parlare con noi.
«Abbiamo trovato la nostra vittoria, ragazzi» affermò uno dei ragazzi della squadra di basket avversaria, con una birra in mano e una sigaretta sull'orecchio. Era grande e grosso, con una cicatrice sull'occhio destro che non prometteva nulla di buono, la barba rossa cresciuta, un orecchino con una piuma all'orecchio sinistro e gli occhi... scoppiati e rossi.
Gli altri risero dietro di lui, avvicinandosi a noi con fare minaccioso. Istintivamente mi misi davanti alle ragazze e, quando un altro parlò, allargai anche le braccia: «Quale ti piace di più?».
«Questa mora sembra dimostrare molto coraggio» rispose quello che sembrava essere il capobanda.
«Ragazze, credo sia meglio andare» sussurrai, girandomi verso di loro, provando invano a non farmi sentire.
«Credo che non andrete da nessuna parte» sentii alitarmi sul viso non appena lo ebbi voltato di nuovo. Oh cazzo!
«Non ti conosco e non ci tengo a farlo, quindi faccio quel che mi pare» dissi sfrontata, senza lasciarmi intimorire apparentemente, anche se dentro stavo sperando che Dio o qualche Santo venisse in mio soccorso.
Quasi ringhiando, mi afferrò violentemente un avambraccio, al che lanciai involontariamente un grido di dolore. Cercai invano di divincolarmi dalla sua presa.
Guardai le mie amiche che, intimorite, si stavano facendo sempre più dietro, mentre il "ragazzo" davanti a me stava avvicinando sempre di più il suo viso al mio collo. Istintivamente tirai una ginocchiata nelle parti basse e si allontanò il tanto che bastava per farmi indietreggiare.
«Lasciate stare le altre, prendete questa puttanella» biascicò il ragazzo dolorante a terra, mentre con la testa mi indicava ai suoi amici. Vidi tutti avvicinarsi a me, e le mie amiche saltargli letteralmente addosso, tentando di farli cadere. Ma furono loro a finire per terra, quasi contemporaneamente. Non mi restava che pregare, per me e le mie amiche.
Fa' che intervenga qualcuno, fa' che intervenga qualcuno, continuavo a ripetere mentalmente, mentre ormai tutti i ragazzi mi avevano raggiunta e bloccato gli arti. Il capobanda, intanto, si era alzato e mi aveva raggiunta.
«Prendetevela con chi può difendersi, codardi» sentii dire.
A quelle parole aprii gli occhi, che per la paura avevo tenuto chiusi. Qualcuno lassù aveva davvero ascoltato le mie preghiere.
Max si avvicinò con passi svelti e felpati, centrando, con un gancio, il viso del capobanda, che violentemente si accasciò nuovamente a terra, ai miei piedi, mentre sentivo le prese degli altri allentarsi sulle mie braccia e gambe. Max immerse per un secondo i suoi occhi verdi smeraldo nei miei, per assicurarsi che stessi bene, ed io gli annuii per tutta risposta.
«Cosa cazzo sta...?»
Mi girai verso la voce. Kyle. Dietro di lui tutti gli altri. Riuscii a cacciare un sospiro di sollievo.
«Ragazzi, andiamo!» disse uno dei ragazzi che ancora teneva la presa su di me.
Velocemente iniziarono a correre via, lasciando da solo il loro capobanda, con la testa china sulla strada, che immediatamente la alzò, urlando: «Non potete lasciarmi qui». Ma nessuno sembrava dargli retta. Era rimasto solo.
Max mi afferrò delicatamente una mano tremante, rassicurandomi, e dicendo verso gli altri ragazzi: «Chiamate la polizia».
Ryan prese il telefono e, non appena gli ebbero risposto, riferì a grandi linee l'accaduto, o meglio, quello che pensava fosse avvenuto.
Kyle fu subito vicino a me, mentre gli altri andarono dalle ragazze che a stento riuscivano a tenersi in piedi dopo lo schianto a terra.
«Stai bene?» domandò preoccupato, guardando il livido che man mano si stava facendo più evidente sull'avambraccio scoperto.
«Sì, sì...» sussurrai, prima di sentirmi mancare le forze e prima che la vista si appannasse e poi oscurasse completamente.
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