Capitolo 40
Il giorno dopo Katy parlò con il preside e, ovviamente, Abbey era già in prima fila per i preparativi. Mi trovavo in palestra a collaborare con il mio nemico solo perché lo avevo promesso alle mie amiche. C'era un mucchio di persone che già faceva avanti e dietro, scervellandosi a sistemare tutte le decorazioni a nostra disposizione.
«Ehi, ragazzi, prestatemi attenzione per un secondo» richiese Abbey, mettendosi su un palco in legno, appena posizionato sul lato destro della palestra. Come se non avesse già tutta l'attenzione della scuola, data la sua minigonna e la sua profonda scollatura.
«Questo sarà il nostro anno, cosa ne dite di proporre un tema?»
Vedendo tutte le teste annuire, continuò, per la prima volta rivelando un'idea abbastanza fattibile: «Che ne dite delle favole?»
La maggior parte, ero sicura, annuì senza neanche capire le sue parole, altri solo perché erano d'accordo con l'idea. Era facile, per una come lei, ottenere ciò che voleva con il minimo o nullo sforzo.
«Le favole hanno una grande varietà, credo sia l'ideale» concluse, prima di scendere dal palco, ancora in fase di costruzione, e dare ordini a destra e manca per la preparazione di tutto il necessario per un tema ruotante intorno alle favole. Tema o meno, avevo già messo l'anima in pace, convinta dell'idea di non dover partecipare. Volere o meno, non potevo comunque, o meglio, ogni anno trascorrevo la giornata con mio padre, perché, come io avevo perso una madre, lui aveva perso una moglie ed era anche peggio. Era una specie di tradizione ormai.
***
Il pomeriggio era quasi terminato e la sera era giunta alle porte, così come la fine del liceo. Le prime sistemazioni erano state effettuate, ma, nel complesso, la palestra sembrava un'enorme mix di idee e di personalità; molti oggetti erano appoggiati sul palco in attesa di essere sistemati come decorazioni, vasi di fiori finti erano posizionati in ogni angolo e quello che sarebbe stato il prato era un tappeto verde arrotolato nel primo spazio disponibile per poi dover essere steso a terra. La palestra, al termine delle giornate disponibili per la preparazione, sarebbe dovuta diventare un grande giardino fiorito illuminato da grandi lampade raffinate attaccate alle pareti tutt'intorno, che per il momento erano soltanto semplici lampadine penzolanti. Tutto sommato non era stato molto difficile unire diversi progetti in un unico solo.
«Tesoro, andiamo, dai!» Abbey chiamò euforica Kyle, trascinandolo per un braccio. Lui, senza formulare una lettera, prese lei per mano e la portò con sé.
«Desy, andiamo anche noi?» mi domandò Meg, guardando il mio viso, preoccupata. Annuii, scuotendo la testa, per dirle che tutto andava bene. Be', a parte che non sapevo quale fosse il mio posto nel mondo e che, l'unica cosa che volevo, sapevo di non poterla avere.
***
Il giorno dopo, i preparativi continuarono, quello dopo ancora e quello appresso decisi di restarmene a casa, a studiare per l'interrogazione che il giorno dopo avrei dovuto affrontare. Non avevo ancora capito come facessi ad accumulare tutto lo studio e a doverlo affrontare in un'unica giornata. Era davvero una tragedia!
Nel tardo pomeriggio decisi di uscire fuori e sedermi su una panchina, portando un libro che avrei letto nella più piena tranquillità.
«Desy!» mi salutò Kyle, sedendosi sulla panchina vicino a me. Lo guardai, staccando gli occhi dalla mia preziosa lettura, vedendolo sbirciare il titolo del mio libro.
«Kyle» dissi, chiudendo il libro, posizionando l'indice tra le pagine come segnalibro.
«Devi dirmi qualcosa?» continuai, aggrottando la fronte, guardando il suo viso pensieroso.
«No... cioè, sì! Domani ci sarà l'ultima partita della mia squadra, mi farebbe piacere se venissi» rispose, fissando la strada davanti a noi.
«Perché...- stavo iniziando a domandare, ma non lo feci, capendo che aveva fatto un grande sforzo ad essere gentile con me. Erano giorni che non mi rivolgeva la parola-. Credo che ci sarò» dissi, invece, lasciando un sorriso sul suo volto così contagioso che comparve anche sul mio, di viso.
Il sole stava tramontando e nella mia vita non avevo visto cosa più bella del crepuscolo. In quel momento mi sentii osservata, mentre ammiravo quella meraviglia dai colori caldi con sfumature di rosa, viola e rosso, unite in modo unico.
Ogni tramonto è diverso da un altro, ma la cosa che li accomuna è la loro bellezza. Ogni tramonto fa uscire fuori una parte di te e ti dona un po' di serenità mischiata a malinconia, lasciandoti in bocca una dolcezza inaspettata e una tristezza cupa.
Guardai Kyle e pensai che lui somigliasse davvero troppo ad un tramonto. Sempre diverso, eppure sempre così spettacolare. Forse il panorama più bello che avessi mai visto non era l'imbrunire della giornata, ma lui. Lui era il mio tramonto. Guardavo i suoi occhi, nei quali si specchiavano i miei. Si leggeva il dolore, quel profondo dolore che ti lacera dentro senza una spiegazione plausibile. Eravamo solo due ragazzi che avevano affrontato troppo per essere tali. Due bambini cresciuti troppo presto per vedere il bello della vita; e, momenti come quelli, erano le uniche cose che riuscivano a farci spegnere per un attimo l'interruttore e farci dimenticare i nostri problemi.
«Ogni persona dietro al suo sguardo cela un segreto... Kyle, qual è il tuo?» pensai, staccando ormai gli occhi dal crepuscolo e ammirando solo lui.
«Meglio che tu non lo sappia» disse dopo un po'.
Continuai a fissarlo interdetta e nel frattempo i suoi occhi furono ancora nei miei. Ops, non credevo di averlo detto ad alta voce!, pensai, sorridendo per l'imbarazzo. Era un mio stupido pensiero e nessuno doveva conoscere le mie riflessioni. Eppure lo sapevo, noi eravamo magici così, sebbene fossimo il ghiaccio e il fuoco, la luna e il sole, la notte e il giorno. Noi eravamo soltanto noi, sebbene un "noi" sapevo non sarebbe mai esistito.
Il rumore del clacson mi risvegliò dai miei pensieri e quella sensazione di familiarità che stava avvolgendo il mio corpo scomparve in un secondo.
«Ci si vede, allora» mi salutò Kyle, alzandosi dalla panchina ed entrando nella nuova e vistosa auto rosa di Abbey che, con sorriso finto e tirato, mi guardò trionfante, esibendosi poi con il ragazzo in uno scambio disgustoso di saliva, proprio davanti ai miei occhi. Poco dopo la macchina sfrecciò tentennante per la guida sconsiderata di Barbie.
Fissai il cielo, pensando che nulla nella mia vita stesse andando per il verso giusto. La domanda per il college, inviata il mese prima, non aveva avuto ancora una risposta, e speravo solo che almeno il futuro mi riservasse delle belle sorprese, dato che il presente non me ne stava regalando poi così tante.
Tornai dentro casa, sdraiandomi sul letto. Ero così stanca che, con il libro di biologia tra le mani, mi addormentai, per svegliarmi solo quando suonò il campanello.
Di colpo mi alzai dal letto, avendo un forte giramento di testa e andando alla porta. Aprii mio fratello, ancora sbadigliando, notando che il cielo alle sue spalle era già pieno di piccole stelle luminose. Salii di fretta in camera, presi il mio cellulare in carica, sbirciando l'orario. Erano le nove di sera. Non avevo mangiato molto quel giorno e avevo un certo languorino allo stomaco. Mio padre e Sasha erano andati fuori a cena da amici, o almeno è quello che ricordavo avesse detto papà prima di uscire, mentre io ero assorta nello studio.
Mi affacciai alla finestra per vedere ancora una volta le stelle invadere la notte e la luna piena illuminare con la sua forza il cielo, come un faro. Davanti ai miei occhi si fermò la figura di Kyle che, gesticolando, stava dando spettacolo del suo corpo mezzo nudo, parlando al telefono con la fronte aggrottata e le sopracciglia alzate.
"Tutto okay?" scrissi su un foglio, mostrandoglielo non appena ebbe interrotto la sua chiamata e si fu seduto.
"Stanco del dramma" rispose, sbuffando. Non riuscii ad evitare di sorridere, pensando che Barbie fosse davvero stancante anche per lui. Risi e lui mi fulminò con lo sguardo, scherzando.
"Manca poco alla festa di fine anno" lo guardai scrivere, con la penna tra le mani e la lingua tra le labbra.
"Lo so..." risposi, senza capire dove stesse andando a parare.
Per un attimo immaginai come sarebbe stato se mi avesse invitato, scrivendolo su quel foglio, nel nostro modo di parlare senza scannarci a vicenda.
Le mie fantasie furono messe a freno dal suo prossimo messaggio: "Aspetta, devi darmi una mano". Ovvio, non sarei mai stata colei da portare al ballo; solo l'amica pronta ad aiutare.
Vidi Kyle allontanarsi dalla finestra, per aprire l'armadio e prendere diverse cravatte e un vestito nero ancora interamente ordinato nella custodia di plastica trasparente. In piedi, davanti alla finestra, scartò il vestito dall'involucro, indossando la lussuosa giacca nera rifinita con strisce bianche in alcuni punti, poi prese l'album su cui era solito scrivermi: "Quale credi sia meglio?". Lessi il messaggio e lo vidi posizionare al collo una cravatta dopo l'altra. Escluse immediatamente alcune cravatte colorate, vedendo il mio viso dubbioso o totalmente negativo. Alla fine la scelta era praticamente caduta tra le cravatte tradizionali: bianca o nera?
"Quale ti piace di più?"
"Non saprei" risposi, guardando poi con il viso inclinato prima a destra, poi a sinistra. In realtà credevo gli donasse particolarmente il nero, però volevo lasciare la scelta definitiva a lui.
"Credo mi piaccia più la nera" scrisse poco dopo con un piccolo sorriso. Sorrisi di rimando, facendogli capire che era anche la mia prima scelta.
"Mi fa piacere che tu abbia chiesto un mio consiglio" scrissi sinceramente. Mi fece piacere anche che fossi stata la prima a vederlo indossare quella giacca.
"In realtà, l'ho fatto solo perché abiti proprio qui" era scritto sul foglio successivo, con una emoticon con la linguaccia. Lo vidi scosso dalle risate e la cosa non poteva che farmi ancora più piacere. Sentivo il cuore scaldarsi per la felicità, una cosa che solo lui sapeva fare, senza neanche rendersene conto.
"Mi stai offendendo" gli feci leggere prima di chiudere la tenda con un dolce sorriso sulle labbra, il cuore più leggero, che prepotentemente pompava sangue nel petto, e le guance che sapevo stessero prendendo fuoco.
Forse non sarei stata io ad andare al ballo con lui, ma ero così felice fossi stata la sua confidente anche per qualcosa di così stupido che mi sentivo la prima nel suo cuore. Senza neanche farci caso avevo già scritto su un foglio: "Ti amo". Perché non dovevo avere paura di amare e poi bastava soltanto confidarlo a me stessa, per il momento.
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