Capitolo 38
KYLE'S POV
«Sei stato geniale, amico!» Ethan si complimentò con me, lasciandomi una pacca sulla spalla.
«Potete iniziare già a scegliere cosa faranno per noi» dichiarai, cominciando ad assaporare il dolce gusto della vittoria.
Per un'oretta la calma inondò la casa, ma si poteva già ammirare l'avvento della tempesta impetuosa.
Quando il campanello suonò, vidi Ryan annuire e James sorridermi, segno che avevo fatto centro e che il piano si era appena avviato.
Mi diressi alla porta con passo svelto e sorrisi al fattorino della pizza che, con sguardo interrogativo e confuso, volgeva il suo viso verso la finestra sopra la mia testa.
Una bacinella azzurra mi si parò esattamente davanti al viso, lasciandomi intuire il piano delle ragazze.
«Buonasera, ci scusi se non possiamo scendere, la pregherei gentilmente di prendere i soldi che sono nella bacinella e di lasciare la pizza lì» disse Desy cordialmente, e potevo immaginarla mentre sorrideva falsamente in segno di cortesia. Mi affrettai a tossire e prendere i soldi delle ragazze.
«Scusi, signore, la mia amica mi sembra un po' maleducata, la faccio scendere subito. Mi aspetti qui, cortesemente» cercai di essere il più gentile possibile, senza scoppiare a ridergli in faccia.
Sentii le ragazze imprecare ad alta voce quando udirono la mia voce, il che mi fece sorridere, prima di girare i tacchi, entrare in casa e lasciare la porta spalancata difronte alle scale.
Vidi Desy scendere poche scale e fermarsi esattamente davanti alla linea di scotch rosso attaccata a terra, segnante il confine tra i due piani. A un soffio dal suo naso sventolai i venti dollari, tirandoli via quando lei tentò di allungare un braccio.
«Tecnicamente hai superato la linea»
«No, che non l'ho fatto! Guarda!» disse sicura di sé guardando i suoi piedi.
«Guarda il regolamento, principessa, è appeso proprio qui»
I ragazzi dietro di me cominciarono a ridere sotto i baffi. Il piano era stato attuato alla grande!
Con sguardo sconcertato, le ragazze si voltarono tutte verso la parete, fissando incredule il foglio affisso al muro.
«Ma questo non è giusto!» tentò Desy, incrociando le braccia come una bambina a cui è stato negato un giocattolo al negozio.
«Ehi, Desy, ormai hai perso, vieni pure a prendere la pizza» la incitò Ethan.
Con incredulità, Desy pregò con lo sguardo le ragazze che, con alzate di spalle e sguardi delusi, convinsero la ragazza a superare la linea rossa, rubarmi i soldi dalle mani e pagare frettolosamente il fattorino, ringraziandolo timidamente e in modo impacciato.
«Oh, no no. Questa la lasci qua» le rubai la pizza dalle mani, lasciandola con sguardo supplicante e le braccia a mezz'aria.
«Ma...» soffiò spontaneamente.
«Un patto è un patto»
Aprii con agili mosse il contenitore e addentai velocemente il primo pezzo che trovai.
«Pensavo sarebbe stato più difficile vincere con lei» mi sussurrò Ryan, addentando anche lui un pezzo di pizza.
Nonostante il nostro patto fosse ancora valido, stavamo provando a mettere le nostre divergenze da parte, per non creare problemi all'interno del gruppo che col tempo si stava formando inconsciamente.
«Che facciamo ora? Le altre sono ancora di sopra» mormorò James con la bocca piena di cibo.
«Non per molto» dichiarai, facendo in modo che Ethan capisse di dover mettere in atto il secondo piano della serata.
«Con Desy di mezzo non potrei riuscirci» constatò poi il mio amico, al che mi offrii, con non molta ostilità, di tenerla occupata.
«Desy, vieni con me, dai»
«E perché dovrei? Sembra tu stia parlando con un cane...» sbuffò, incrociando le braccia al petto, ma bastò un mio solo sguardo fulminante che lei ricordò del patto e mi seguì in giardino, dove ci sedemmo su una panchina in marmo con alcuni mosaici molto colorati ed evidentemente antichi.
«Certo che questo patto è proprio una stupidaggine» pensò, rabbrividendo per la fresca brezza notturna.
«Serve che ti ricordi che l'hai ideato tu?» le domandai retoricamente, poggiandole la mia felpa bordeaux sulle spalle.
Senza riuscire a proferire parola, mi riservò uno sguardo riconoscente, ancora più bello sul suo viso angelico, con le guance paffute colorite e le labbra carnose rosso fragola intorno ai suoi denti perfettamente dritti e bianchi. Non mi ero neanche accorto di star facendo lo stesso, fin quando non distolse lo sguardo, rispondendomi: «Sei tu quello che ha posto la pena, non io».
«Ma se non ci fosse stata la proposta del patto, io non avrei mai ideato una punizione» conclusi. Semplice e ragionevole, no?
«Io e te non saremo mai d'accordo, eh?» domandò, pensando a chissà cosa.
«Non è detto» riuscii a rispondere soltanto, pensando ai nostri baci. Quasi mai mi sbagliavo, ed ero certo che fossero piaciuti a lei, tanto quanto a me; quindi... sì, potevamo essere d'accordo su qualcosa.
«Quindi... perché siamo qui fuori?» chiese poi, con un cipiglio sul volto, facendo in modo che non calasse il silenzio.
«Nessun perché» risposi secco. Piani di cui tu non fai parte, avrei dovuto risponderle.
«Non vuoi dirmelo» constatò facilmente ed un sorrisetto scappò dalle mie labbra. Ovvio che no.
Eravamo seduti vicini, ma neanche una piccola parte del nostro corpo era in contatto e i minuti in silenzio erano un misto tra l'imbarazzo e la tranquillità. Ma, d'altronde, avrei dovuto saperlo, con lei era sempre stato un mix di emozioni contrarie e uguali.
«Quindi... stai ancora con Barb- ehm, scusa, Abbey?» domandò, scuotendo la testa per il nomignolo e torturandosi le unghie smaltate e semi-mangiucchiate delle dita.
Non potei fare a meno di accennare un mezzo sorriso per il modo in cui ormai era abituata a chiamare Abbey. In effetti era appropriato, bella come una bambola con il cuore di plastica.
«Perché? Ti interessa?» alzai un sopracciglio, spronandola a versare la verità.
«Sì, cioè no. Era pura curiosità. Sai, come quando guardi le scarpe di una persona e pensi: "Chissà che numero indossa...", oppure quando guardi un prosciutto gigante in un negozio e pensi: "Chissà quanto pesa...", oppure ancora quando...» cominciò a parlare tanto freneticamente che ad un certo punto fui io a fermarla, o meglio la mia risata.
«Ti faccio ridere? Somiglio ad un clown per caso?» disse semi-arrabbiata, indicando il suo viso.
«Non ho capito cosa possano c'entrare le scarpe o il prosciutto...» mormorai a singhiozzi per le risate. A volte trovavo impossibile contenermi con quella ragazza, su tutti i fronti, a dire la verità.
«Be', in realtà nemmeno io. Non ricordo neanche più perché l'ho detto» sorrise sinceramente.
«Facciamo un gioco, mentre aspettiamo qualcosa» propose, sottolineando "qualcosa", facendomi capire di aver intuito almeno in parte.
«Tipo?»
«Non lo so... domande su di noi!» esclamò poi, fiera di sé per aver avuto un'idea tanto brillante e coinvolgente.
Evitai di scoppiarle a ridere direttamente in faccia, vedendola mettersi comoda, girarsi verso di me e incrociare in modo impacciato le gambe. Feci lo stesso, trovandomela difronte.
«Inizio io» sorrise felice, sembrando una bambina di cinque anni e frizionando velocemente i suoi capelli scuri e morbidi.
«Il mio colore preferito?»
«Devo risponderti?» domandai con la fronte aggrottata.
«No, l'ho detto tanto per dire» sorrise, prendendomi in giro.
«Okay... azzurro» tentai, ricordando immediatamente.
«Giusto! -batté le mani con un gran sorriso stampato in volto- Ora tocca a te!»
«Qual è lo strumento musicale che suono meglio?»
«Ma non è giusto! È una domanda soggettiva!»
«Rispondi lo stesso»
«Il pianoforte?!» tentò, dopo attimi di silenzio, con una solita posa da pensatrice, mentre con un dito strofinava il naso freddo e rosso.
«Sbagliato!» annunciai dopo aver prodotto un suono di errore. In realtà non era del tutto errato... anzi, non lo era affatto.
Desy sbuffò, per poi dire: «Ho sbagliato... tocca di nuovo a te»
«Bene... qual è la cosa o persona che amo di più al mondo?»
«Questa è difficile...- pensò, girando e rigirando gli occhi in cerca di una possibile soluzione- Tuo fratello!» esclamò e io buttai all'aria tutte le sue speranze con un semplice movimento del capo.
«Come no? Allora tua madre? Tuo padre? Il tuo cellulare? James?» chiese uno dopo l'altro ricevendo sempre risposte negative.
«Non è possibile! Lo sapevo che non hai un cuore!» esclamò ridendo sotto i baffi.
Te, sei tu la persona che amo di più al mondo, avrei quasi dichiarato.
Cazzo, quanto cazzo mi fa essere smielato questa ragazza?, pensai però subito dopo.
Non sono neanche certo che l'amore esista, perché credere che sia reale e davanti ai miei occhi?, mi chiesi, senza riuscirle a dichiarare la verità; ma meglio così.
«Mi arrendo... me lo dici?»
«No... continuiamo, dai»
Sbuffando, mi chiese: «Cosa piace a me di più al mondo?»
E lì... non riuscii proprio a trattenermi. Sarà stato il mio ego smisurato o la mia voglia di farlo, ma lo feci: «I miei baci» sussurrai, e, prima che riuscisse a captare il significato delle mie parole, le mie labbra erano già sulle sue, frementi di averne sempre di più. Perché era aria per i miei polmoni, ossigeno per la mia vita. Mi sentivo come se avessi tappato il naso per un po' di tempo e dopo fossi riuscito a riprendere aria. La sensazione gratificante di ottenere ciò che si desidera. Sentire il suo sapore mischiato al mio. Il suo calore confondersi col mio. Il cuore battere all'impazzata. Le mani tra i suoi capelli soffici e lisci tremanti per l'ardente desiderio che il mio corpo e cuore stavano a stento trattenendo. La ragione era ormai scomparsa, lasciando il posto al cuore. E i suoi occhi... dicevano che quello era ciò che voleva. Me, come io volevo solo e soltanto lei. Niente era più doloroso e piacevole di averla di nuovo tra le mie braccia e sapere che non sarebbe stato per sempre.
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