Capitolo 33

KYLE'S POV

«Ma quanto cazzo hai bevuto?» domandai teneramente e sorridendo, guardandola in viso. Era difficile non ridere per la sua espressione, soprattutto perché era rossa in volto.

«Non-non si dicono le parolacce, s-sei un bimbo cattivo» mi puntò un dito contro, balbettando le prime parole che le vennero in mente senza filtro cervello-bocca.

«E menomale che sono io il bimbo cattivo!» esclamai, ridendo e trasportandola verso l'uscita.

«Dici alla stella di spegnersi, mi fanno male gli occhi» disse, mettendo una mano davanti alla luce e cercando di tenere gli occhi aperti.

«Non è una stella, principessa, è solo un lampione. E no, non posso farlo spegnere» ridacchiai, stringendola ancora di più. Era troppo dolce e così fragile tra le mie braccia. Nascose la testa sul mio petto per evitare di essere catturata dalla luce.

«Ragazzi, recuperate le ragazze, io accompagno Desy. Ho incontrato Megan prima, tornerà con Joe, non preoccupatevi» dissi ai ragazzi, prima di camminare verso il parcheggio.

«Perché mi chiami principessa?» chiese giocherellando con i bottoni della camicia, chiudendoli e aprendoli. L'effetto dell'alcool si faceva sentire potentemente. Tutto ciò che le passava per la testa diventava parole dette a voce. Mi piaceva la Desy ubriaca.

«Non te lo dico»

«E io ti lascio»

«Perché? Stiamo insieme?» ridacchiai.

«Tu l'hai detto!», incrociò le braccia, sbuffando come una bambina di tre anni, ricordando l'episodio di quella sera stessa.

«Ed è vero?»

Scosse la testa velocemente.

«E vorresti lo fosse?» domandai ancora. Vediamo se è vero che il vino veritas, pensai. Alzò le spalle, senza dare una risposta precisa.

«Ah... ma allora sei stronza anche da ubriaca?!» risi della mia conclusione e lei si nascose tra le mie braccia, ridendo con me. Potevo sentire il suono meraviglioso della sua risata invadermi i timpani.

«Voglio saperlo!» continuò imperterrita e, credo che, se avesse potuto, avrebbe sbattuto anche un piede per terra più volte, come una bimba capricciosa.

«Cosa?»

«Perché mi chiami così!»

«Così come?»

«Lo sai! Non fare il finto tonto!»

«Ho un vuoto di memoria, scusami» la presi in giro ridendo.

Incrociò di nuove le braccia al petto, sbuffando.

«Entra! Ti riaccompagno a casa» le dissi aprendo lo sportello dell'auto con molta difficoltà.

«Ma io non voglio andare a casa! Mi sto divertendo!»

«Sei una rompi-coglioni, lo sai? Non ti sta bene proprio niente, eh?»

«Sono una rompi-coglioni?» domandò, guardandomi con due occhioni dolci, quando fu sul sedile anteriore.

«Una bella rompi-coglioni» ripetei io, ammaliato dalla sua bellezza, prima di chiudere con uno scatto secco lo sportello ed entrare nel lato del guidatore. Accortamente le allacciai la cintura, per poi partire piano.

«Non vuoi andare a casa?»

«No» scosse la testa.

«E dove vuoi andare?»

«Ovunque» rispose vaga. 

Se fosse stata in lei, non avrebbe mai detto certe cose. Sapevo che avrei potuto chiederle qualsiasi cosa e, magari, ottenere anche qualche risposta facilmente. Il giorno dopo non se ne sarebbe ricordata. Mi passò per la testa di poter anche vincere la scommessa, ma non era in quel modo che volevo farlo, non ingannandola del tutto. 

La portai nel mio posto preferito. Era un'altura da cui era possibile vedere tutta la città, tutti gli abitanti che somigliavano a piccole formiche insignificanti, tutte le luci che sembravano piccole stelle; la cosa più bella era il cielo, scuro e pieno di vere stelle, con la luce della luna piena così vicina che era più potente di una decina di lampioni. Questa, in cielo, quella sera, sembrava splendere ancora di più, dandomi modo di vedere perfettamente il viso della ragazza. Era un luogo in cui non avevo mai portato nessuno, era solo mio, e non sapevo perché ci stessi portando lei. Forse perché sapevo che non avrebbe ricordato, oppure perché ormai sentivo che lei era parte di me.

«Non mi risponderai?»

Le sue domande stavano per farmi irritare. Parlava troppo. 

Quando mi voltai verso di lei, vidi il suo profilo che tentava di fissare il cielo da dietro il vetro della macchina.

«Vieni!» le dissi, prima di scendere dalla macchina e aprirle lo sportello. 

Presi una coperta dal cofano, mettendola sul prato all'angolo della strada, e la invitai ad accomodarsi. Dopo aver fatto lo stesso, le risposi: «Non lo so, per me sei una principessa». E io la strega cattiva, continuai mentalmente.

«Tipo Fiona?» domandò puntando i suoi occhioni dolci nei miei. Risi, era buffa, e scossi la testa. No, Fiona era un'orca che si trasformava in principessa.

«Ariel?» tentò, facendomi scuotere nuovamente il capo. Ariel era una sirenetta.

«E quale? E quale?» domandò poi convulsamente, sbuffando.

«Somigli a Biancaneve!»

Ci pensò su, sdraiandosi e guardando le stelle.

«E perché?»

«La smetterai mai con le domande?» alzai gli occhi al cielo. Sebbene mi irritasse, mi piaceva comunque avere una conversazione con lei.

«E dai! Rispondi solo a questo! Prometto che non ti farò più domande dopo» scosse la testa come una bambina.

Sorrisi: «Biancaneve ha i capelli scuri- e le spostai una ciocca dietro l'orecchio, girandomi a pancia in giù per guardare qualcosa di addirittura più bello del cielo stellato- ha la pelle chiara- e le accarezzai una guancia, avvicinando il mio viso al suo, mentre la ragazza restava attenta ad ogni mia parola- ed ha le labbra rosse» conclusi ad un soffio da lei.

«C'è solo una differenza...» continuai, ormai ammaliato da lei, come sotto l'effetto di una pozione d'amore.

«Cosa?» soffiò velocemente sulle mie labbra.

«Che le tue sono da baciare» sussurrai, prima di fiondarmi sulle sue labbra, baciandola con così tanta foga che la sentii trattenere il fiato. 

Ero felice, felice davvero, perché non si stava tirando indietro e perché sentivo che cercava di averne sempre di più, di volere davvero ciò che era.

«Guarda che puoi respirare, principessa» risi sulle sue labbra e lei si fece tutta rossa, facendo sciogliere il mio cuore. Non poteva immaginare che fosse nelle sue mani e nemmeno io.

«E tu sei il mio principe?» domandò lasciandomi di stucco. Come avrei potuto rispondere realmente? Ero il principe o la strega?

***

Mezz'ora dopo eravamo di nuovo in macchina e lei era troppo silenziosa per il suo solito.

«Che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» domandai, mettendole una mano sulla coscia e strofinandola.

«I gatti mangiano le lingue?» domandò seria e io scoppiai a ridere.

«Lascia perdere... perché stai in silenzio?» le chiesi tornando serio.

«Non posso più farti domande...» mise il broncio, guardando la mia mano. Risi, perché davvero stava rispettando quella promessa.

«Posso fartene un'altra?» domandò inclinando il capo teneramente.

«E va bene...» acconsentii.

«Perché mi hai baciata?»

«E tu perché non ti sei tirata indietro?»

Ci pensò un secondo e poi si imbronciò, stringendo le braccia al petto e dondolando le gambe sul sedile.

«Ti ho fatto prima io una domanda!»

«Ed io ho detto che potevi farla, non che avrei risposto!» risi.

«Sei uno stronzo»

«Ne ho sentite di peggio» sorrisi.

Ci fermammo ad un semaforo rosso e lei iniziò a borbottare qualcosa: «Al mio tre diventa verde, vuoi vedere?», domandò scommettendo da sola, senza però aspettare una mia risposta. Non sapevo se ridere o piangere per il suo stato. Era così buffa.

«Uno... due...» aspettò altri secondi e solo quando il semaforo scattò verde, lei urlò, facendo una ola, felice «...tre!». Scoppiai a ridere, pigiando l'acceleratore.

«Hai visto? Sono una maga!»

«Sì, certo, sei una maga» risi ancora. Quanto avrei voluto stringerla tra le mie braccia!

«Dove vuoi andare?» le domandai dopo un paio di minuti di tranquillo silenzio.

«Non lo so, giriamo ancora un po'... mi piace la città di notte!» sussurrò, continuando a guardare fuori al finestrino.

Trascorse altro tempo, che impiegai nel pensare alla nostra situazione, alle troppe bugie, alla sua sproporzionata bontà.

«Principessa» le sussurrai, ma nulla. La scossi con un braccio con cautela e un grugnito dolce uscì dalle sue labbra. Si era addormentata.

Non potevo portarla a casa sua in quello stato, così decisi di portarla nella mia, mettendo in chiaro nella mia testa che non avrei approfittato di lei nel caso in cui si fosse risvegliata.

Arrivati, parcheggiai e silenziosamente la presi in braccio. 

Dopo un'impresa per aprire il portone, salii silenziosamente le scale e, con passi felpati, la portai nella mia stanza, adagiandola sul letto. 

Avrei dormito nella camera per gli ospiti, se solo lei inconsciamente non mi avesse pregato di restare: «Non te ne andare, per favore». Non capivo se stesse sognando o se fosse semi-sveglia.

«Se restassi, ti arrabbieresti domani mattina» le sussurrai pian piano.

«No, no, lo prometto, resta» si mosse, lasciando anche a me uno spazio in cui allungarmi. Decisi di restare, togliendo solo la camicia a mo' di maglietta, anche se, di solito, dormivo solo con i boxer.

Prima di allungarmi vicino a lei, presi il suo cellulare e mandai un messaggio al padre, dicendogli che Desy sarebbe rimasta a dormire da Katy, tutto questo immedesimandomi in lei.

Entrai sotto le coperte e mi girai dall'altro lato del letto per non avere la tentazione di stringerla tra le mie braccia. Un attimo dopo sentii lei rigirarsi tra le coperte e le sue esili braccia stringermi, come fossi il suo peluche. Sorrisi e mi girai lentamente.

«Ho freddo, scusa» borbottò, per scusarsi di avermi abbracciato.

«Sshh, buonanotte, principessa mia» le sussurrai all'orecchio, prima di avvicinarla a me delicatamente, facendo aderire il mio petto nudo alla sua schiena, baciarla sui capelli e proteggerla con il mio corpo ed il mio calore.

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